Un prodigioso saggio di Carlo M. Cipolla, storico dell’economia, aveva, tra le sue mille virtù, un titolo al fulmicotone: Allegro ma non troppo. Cipolla parlava dell’impatto deflagrante della stupidità, con grande soavità e ironia. Con un po’ di malizia, riprendiamo questo ineccepibile titolo, per parlare di Allegrìo, nuovo progetto polifunzionale su Roma di Sabrina Corbo, imprenditrice nel settore dell’energia elettrica ecosostenibile, aperto lo scorso maggio.
Dal brunch al post dinner, Allegrìo si propone di fare compagnia durante tutto il giorno ai suoi clienti, ai quali auguriamo di vivo cuore di non soffrire di sindrome di Stendhal. Altrimenti, anche solo entrare negli spaziosi locali di via Veneto potrebbe essere un problema.
Se, infatti, dal brunch, si può passare a un lite lunch, indugiare per un tè (o magari un cocktail) e poi finire con una cena, in ogni caso saggiando le pizze dell’ischitano Ivano Veccia, e perfino inciampando (s)fortunatamente in un Dj set, ugualmente, camminando da una sala all’altra di questo ambizioso locale, una xamamina potrebbe servire.
Uscite da un sogno lisergico di Luigi XIV, con feat. di Lello Esposito (qui assurto alle glorie, quasi fosse il più insigne artista d’arte contemporanea napoletana) e altre sventurate partership, le quattro sale di Allegrìo non fanno dell’understatement la loro cifra fondativa.
Ma in fin dei conti qui si parla di cibo. Quindi, cercando di mantenere la bussola, e ipnotizzati da un povero San Gennaro assediato dai corni, vediamo cosa offrono Ivano Veccia (e Peppe Aiello) e il menu del segmento pizzeria della nuova perla di via Veneto, chissà se provocatoriamente situata di fronte al famigerato Crazy Pizza e al suo jamon. Se la pizza di Briatore non è balzata agli onori delle cronache per la sua bontà, quella di Allegriò lo è eccome: a due mesi dalla sua apertura compare alla posizione numero 19 nella 50 Top Pizza, classifica nota assaje, pubblicata non più di cinque giorni fa. Diciannove su tutta Italia, si intenderebbe, con tanto di “premio speciale One to watch” affiancato. Ma forse abbiamo inteso male e più che da “tenere d’occhio”, si intendeva “guardarsene bene”?
La pizza di Ivano Veccia da Allegrìo, gli antipasti e i fritti
La fame vien mangiando, ma noi siamo previdenti e ordiniamo subito polpette di vitello al sugo di San Marzano (15€) e supplì al ragout napoletano (4,50€). Buone le polpette, gustose, rotonde, morbide ma della gusta consistenza; supplì rimandato a settembre: panatura sottile e che quasi si staccava dal riso, che risultava un po’ troppo oltre di cottura e non molto incisivo nel sapore. Durante la seconda visita, resasi necessaria per quanto diremo a breve, spazio anche alla frittatina di pasta (4,50€) nella sua più canonica versione partenopea: molto piacevole, forse anche qui bucatino ai limiti del morbido, ma il risultato è molto convincente.
Triplete di pizze per una panoramica completa: la Margherita (12€), la Pizzaiuolo (15€) e la Mastù Pepp’ (18€). I prezzi sono medi, a tratti alti, ma coerenti con il luogo e con la qualità delle materie usate per i topping. In particolare, segnaliamo la ricorrente Mamma Bruna – in crema o scaglie – molto amata da Veccia, a quanto riferisce a più riprese il servizio. Questa toma di latte vaccino di razza bruna d’alpeggio, per il pizzaiolo ischitano è quasi una quadratura del cerchio: è presente in tre quarti del menu. Molta attenzione è data anche all’olio EVO – selezionato in base al topping proposto – sempre di alto profilo.
Il problema, però, è letteralmente alla base: la cottura dei dischi di per sé. Pizze che risultano biscottate nella parte superiore e inferiore, un po’ anemiche nelle parti più pronunciate e all’interno dei cornioni. Problemi di forno, impasti un po’ “stanchi”? Tesi suggestive ed entrambe sostenibili. Se l’errore può capitare con un’uscita – e in fin dei conti nemmeno dovrebbe, perché le pizze se non soddisfacenti oltre che servite possono sempre essere rifatte – ma tre volte su quattro e in due giorni diversi, diremmo proprio di no.
Resta un po’ l’amaro in bocca, soprattutto durante la seconda visita dove c’è stata caldeggiata dal personale la Capricciosa, nella versione vecciana, già insignita di premi e falpalà in varie situazioni. Qui, la cottura era davvero perigliosa e saranno le immagini a parlare più delle tante censure che si potrebbero pur fare.
Dispiace, perché i topping sono molto piacevoli, in particolare la Pizzaiuolo con il suo mix di pepi era davvero interessante e stimolante al palato. Che siano forse le coloratissime divise dei cameriere a disturbare Veccia (e Aiello, messo tra parentesi non per vezzo ma perché pare il grande assente nelle lusinghiere menzioni del servizio)?
Ambiente e servizio di Allegrìo
Le sale, come prima dicevamo, sono quattro, e hanno tutte una loro identità: nella mente di Giove (o sarebbe meglio dire di Marie Antoinette scesa a Napoli a trovare la sorella Maria Carolina), dovrebbero risuonare il mood di quel momento del cliente. Se si sente fortunato, via nella Lucky con le creazioni di Esposito; se si percepisce avventuroso, nella Intrepid, a meno che non sia affetto da fobia per i volatili che imperversano sulla carta da parati dedicata e così via, fino a giungere nel boudoir di una principessina leziosa costellata da miriadi di roselline rosa. Forse un omaggio al film su Barbie, per cui mezzo mondo è in febbrile hype.
L’acmè (o il fondo, perché nella vita e da Allegrìo, è sempre tutto relativo) è il bagno. Partiamo dall’assenza delle dotazioni di accessibilità e questo per un luogo aperto a maggio 2023 è irragionevole. Sul resto, diciamo che anche qui il rincorrersi di ori e forme impreviste non giova, ma chiaramente sono opinioni personali.
Il servizio è molto gradevole, accogliente, informato e moderatamente informale: dialogico ma non invadente. I tempi del forno ingiustificatamente lunghi. La doggy bag, richiesta la prima volta per due pizze, è arrivata solo per una. La seconda volta è arrivata prontamente, ma la confezione e il confezionamento potrebbero far svenire un napoletano almeno dieci volte di fila.
Per le divise dei camerieri possiamo solo suggerire un’ istanza sindacale.
Beverage, dolci di Mario di Costanzo e conto di Allegrìo
Carta dei vini monumentale e interessante, senza eccessi nei ricarichi. Più misteriosa la notazione dei calici divisi per struttura e poi specificati verbalmente dal servizio, metodo un po’ farraginoso per chi non sia esperto di vino, anche se i prezzi vengono subito prontamente dichiarati al momento della scelta. Circostanza utile, ma che può creare imbarazzo in presenza di più convitati.
Birra artigianale Baladin, presente in quasi tutta la sua produzione, o usuali etichette industriali. Vasta scelta di cocktail pensati da mixologist di grido.
I dolci sono ideati dal pastry chef napoletano Mario Di Costanzo che qui ha proposto creazioni molto interessanti, benché tutte sopra gli 11 euro. Eppure il conto, al netto di tutto, è equilibrato: i tanti problemi di Allegrìo, o meglio della pizzeria Allegrìo, non risiedono certo nel prezzo.
Opinione
Nato a maggio 2023 e già balzato agli onori della cronache gastronomiche, Allegrìo ci è apparso, invece, pieno di problemi di non poco momento. Pizze mal cotte, in alcuni casi perfino crude. Parti biscottate e parti indietro di cottura nella stessa pizza. Tempi di uscita delle pizze discontinui e troppo dilatati. Insomma c’è poco da stare allegri!
PRO
- spazio polifunzionale da vivere in più momenti della giornata
- servizio cortese, formato e professionale senza essere troppo formale o distante
- prezzi ragionevoli nel conto finale e nei ricarichi, soprattutto considerata la posizione del locale
- ottima pasticceria di Mario Di Costanzo, elegante e molto ben realizzata
CONTRO
- pizze problematiche
- ambiente sovraccarico
- nessuna dotazione di accessibilità