Ma insomma com’è la cacio e pepe di Alessandro Borghese a Venezia? Leggere la recensione del locale che la star di Quattro ristoranti ha aperto all’interno del Casinò della città lagunare potrebbe in effetti risolversi nella lettura della nostra opinione su un unico piatto, risparmiando un bel po’ di fatica al lettore e saltando direttamente a più sotto. Avrebbe tuttavia poco senso poiché la letteratura e la storia del cinema sul tema del gioco d’azzardo sono piene di esempi in cui puntare tutto su un unico numero riserva degli imprevisti.
Alessandro Borghese e Venezia
L’idea di aprire un ristorante in laguna risale a fine 2019, com’è noto. Borghese stesso l’ha raccontato in un’intervista al Corriere: “Dopo l’acqua alta del novembre 2019, il sindaco di Venezia Brugnaro, che è un mio amico, mi ha chiesto di cucinare per una raccolta fondi di Confindustria. Quella sera ho scoperto che il Comune aveva lanciato un avviso esplorativo per affittare parte del palazzo del Casinò a un’attività di ristorazione: ho subito inviato una manifestazione di interesse e il progetto è stato scelto”. I tempi dei lavori si sono inevitabilmente dilatati causa Covid finché, a fine giugno 2022, ha aperto le porte al pubblico “AB – Il lusso della semplicità”. Dopo Milano, ecco quindi la seconda sede del progetto di Borghese.
L’ambiente e gli spazi
Il ristorante si trova all’interno del Casinò di Venezia, più precisamente Palazzo Ca’ Vendramin Calergi, edificio cinquecentesco che si affaccia sul Canal Grande tra Casa Volpi e Palazzo Marcello. Per gli amanti dei numeri, ecco qualche dato: il ristorante si sviluppa su una superficie di 740 mq, di cui 400 interni e 340 di giardino. Giardino ed approdo acqueo sono effettivamente i migliori biglietti da visita per chi decida di prenotare un tavolo qui: suggestivi e cinematografici, svolgono perfettamente il ruolo assegnato. A Palazzo Ca’ Vendramin Calergi tuttavia si può arrivare anche a piedi, deviando dal percorso che da Piazzale Roma o dalla stazione conduce verso Rialto: meno fascinoso del precedente, l’arrivo a piedi consente tuttavia di osservare una parte del palazzo che probabilmente sfugge ai più.
Il ristorante si trova al piano terra e l’ingresso è aperto a tutti, non solo agli ospiti del Casinò. 5 le sale che compongono il locale, con destinazione diversa: ristorante vero e proprio (un’ottantina i coperti), bistrot, pasticceria, cantina dei vini e bar. Come a Milano, anche qui gli spazi interni sono adibiti a galleria d’arte temporanea, in cui giovani artisti possono esporre le loro opere. Il design degli ambienti mantiene un legame con il ristorante milanese. L’illuminazione è discreta (a tratti lievemente scarsa) ma tuttavia in grado di valorizzare gli arredi, che prediligono colori che si muovono su toni scuri: i legno dei tavoli, le sedute ottanio, i tovaglioli rossi, gli specchi dall’effetto moltiplicatore, il banco di colore verde bottiglia rivestito in pietra lavica smaltata, la parete dedicata ai vini. Il racconto è quello di un luogo elegante, moderno che tuttavia potrebbe spingere un po’ di più nel racconto di sè, con particolari più coraggiosi. Concessione all’esuberanza del personaggio sono il faccione che riveste la porta che conduce alla cucina – percepito tuttavia più come gioco scherzoso che come autocelebrazione – e un ritratto tra quelli in sala. Il servizio è attento, cortese, professionale.
La cucina
Tra proposte immancabili (cacio e pepe), piatti che utilizzano materia prima locale (veneziana o veneta), qualche riferimento orientaleggiante e l’impiego di tecniche collaudate (bassa temperatura, affumicatura), l’impressione generale è quella di un menu che corrisponde al luogo in cui si trova e alla sua clientela: piatti che non rischiano e comprensibili dal punto di vista gustativo. In effetti, i clienti che arrivano sono di varia natura: si va da chi conosce il personaggio televisivo e si accosta alla sua cucina con curiosità o un pizzico di soggezione, chi affianca all’esperienza di gioco quella in un ristorante di un volto noto, chi – magari perché straniero- nulla sa del Borghese televisivo. Bisogna, insomma, parlare a tutti e da tutti possibilmente farsi capire. Su questo punto sta proprio il nocciolo della questione: da un volto tv che ha fatto di una personalità esuberante, quasi istrionica, i suoi tratti distintivi, da un giudice attento e da un osservatore acuto, ci si aspetterebbe qualcosa di più, sia in termini di gusto che in fatto di accostamenti.
La carta
Il menu prevede la possibilità di scegliere alla carta o a degustazione. Nel primo caso, dopo un’apertura affidata a dei Chic-cheti (rilettura ironica dei cicheti veneziani o forse riferita al concetto di “lusso della semplicità”) che tuttavia non legano con la tradizione locale, si passa ad antipasti (30-34 euro, con un baccalà mantecato a recuperare), primi (28-35 euro; qui a parlare veneto sono le linguine alla busara e i tagliolini con ragù di gallina padovana), secondi (38-40 euro, con pesci e carne a giocare di colori e consistenze) e dolci (16-18). Degustazione: 5 portate a 115 euro, 7 a 140 euro. Carta vini ampia.
I piatti
Un inatteso benvenuto (che apre il menu degustazione) vede spiccare su tutti l’anguilla alla brace, con il pesce morbido, dal sapore pieno ma privo della consueta grassezza. Coperta da una cloche a tenere il calore, servita in un piatto dal fondo dai toni ramati (che richiamano il colore del pepe utilizzato, quello di Tasmania) e dal bordo bianco a fare da cornice, arriva in tavola il piatto simbolo della cucina di Borghese. Una cacio e pepe ben eseguita, con lo spaghetto nervoso, i toni agrumati del pepe a lasciare la bocca pulita e leggera ed infine la giusta consistenza della crema di formaggio. Complessivamente un piatto buono, corretto, forse eccessivamente mitizzato, ma centrato. La successiva anatra alla torba convince meno: se la carne e la cottura funzionano, è l’accostamento con il resto degli ingredienti a mancare il bersaglio. Lo spinacio arriva solo in parte a dare freschezza al palato; il lampone, pur funzionando dal punto di vista estetico, spinge un po’ troppo verso i toni acidi, mentre i grue di cacao costringono la bocca a fare i conti un amaro troppo marcato, inatteso, che penalizza il resto.
Uno o due ingredienti in meno e il piatto sarebbe stato perfetto. Stesso destino per il dolce, la mousse di ricotta al pepe, cioccolato fondente affumicato, pera Williams. Se è un dessert che non vede nella dolcezza il suo tratto principale (non ci si devono aspettare toni zuccherini, insomma), è pur vero che il complesso risulta poco equilibrato. Gli ingredienti risultano più una somma che un totale omogeneo. Leggermente densa la crema di ricotta (che vede anche caprino e panna), pere e zenzero purtroppo poco marcati, mousse al cioccolato regolarmente eseguita. Nel complesso il singolo boccone, pur prendendo ogni singolo elemento, non riesce a trovare l’equilibrio perfetto. Una pera più decisa, anche nella delicatezza, e uno zenzero più marcato avrebbero centrato l’obiettivo, consentendo al palato di trovare completezza.
Il conto è accompagnato da un simpatico riferimento alla trasmissione televisiva.
Opinione
Situato all’interno di Palazzo Vendramin Calergi, sede del Casino’ di Venezia, “Il lusso della semplicità” è il ristorante di Alessandro Borghese nella città lagunare. Il contesto è elegante e la cucina richiama in parte il contesto geografico di riferimento e in parte se ne discosta proponendo o signature dish dello chef televisivo o proposte più contemporanee che vedono l’impiego di tecniche e ingredienti del fine dining.
PRO
- Contesto elegante che non sfocia nell'autocelebrazione
CONTRO
- Alcuni piatti potrebbero essere valorizzati di più grazie ad accostamenti mirati, magari rischiando un po'