Questa è l’estate del nostro scontrino, resa inglorioso inverno dalle incessanti polemiche sotto il solleone d’Italia. Così diceva, ci pare, Riccardo III. Se non ci inganna la memoria, Rick non era poi questo emblema di equilibrio e mindfulness.
In questi giorni abbiamo assistito incolpevoli – e, di certo, senza sottrarci né al diritto di cronaca, né a qualche sacrosanta opinione – alla Battle Royal degli scontrinatori vs scontrinati; dei ristoratori vs clienti fotografanti e dei mangiatori di toast a metà vs praticamente tutti.
Visto che dentro ognuno di noi c’è un po’ di Napoli, non ce ne vogliano i lettori di Cinisello Balsamo, osiamo dire che le avvincenti (?!) vicende degli scontrini monstre, c’hann’ un po’ rutt’… l’estate! C’hann’ rutt’l’estate!
Scontrini folli: dal toast dimezzato del lago di Como, alla torta sporzionata a Palermo
Non ci siamo fatti mancare proprio niente. Tutto iniziò da un toast da condividere.
Quando si dice la banalità del male (gastronomico): il toast non è proprio quella prelibatezza to die for. L’idea di dividerlo perfino in due, un po’ sgomenta.
Diciamo una scomoda realtà? Personalmente, i toast li abbiamo sempre visti tagliati a metà di default. Sapete quegli allegri triangoli rettangoli tanto cari a Pitagora? Quindi di che diamine stiamo parlando?!
Evidentemente a Como, la geometria è reato; i toast omologati, solo quadrati. Senza i rudimenti della più elementare geometria euclidea diventa subito coerente la richiesta di 2 euro causa dimezzamento toast: si sarà chiesta la consulenza del cuginetto del figlio del proprietario di Bergamo Bassa. Lì sì che i triangoli vanno per la maggiore!
Al netto delle sciocchezze, resta allucinante sotto ogni punto di vista scrivere su di uno scontrino “supplemento taglio toast 2 euro” o similari.
Perfino Ebenezer Scrooge pesterebbe gratis il biscottino del dolce Timmy per fargli un salvifico zuppone di latte. Il problema, però, è maggiore e diverso.
Indubbiamente, è vero e verificabile che negli ultimi quindici mesi l’Italia è stata investita da macroscopiche speculazioni finanziarie. Questa tempesta ha oggettivamente riportato rincari variabili dal 50 al 70% in diversi frangenti e su diversi asset per ogni tipo di imprenditore. Qui noi ci limitiamo al food. Eppure, anche in questo ambito così ristretto – e, Dio mi perdoni, non proprio preminente rispetto al movimento delle sfere celesti – sembra impossibile fare riflessioni lucide.
Se è vero come è vero che:
– i costi fissi e le utenze gas/energia elettrica si sono impennati insensatamente, per poi riabbassarsi (non sempre in modo armonico e, in ogni caso, non prevedibile né governato da nessun ente);
– uguale sorte hanno avuto – e anche in dipendenza dall’aumento dei costi energetici – i prezzi di moltissime materie prime a partire dal famigerato grano;
– il comparto è uscito a fatica e spesso indebitato dalla congerie pandemica, che ha colpito brutalmente il settore della ristorazione;
– e, infine, né il costo del lavoro e né la tassazione sono diminuiti,
ecco che evidentemente lo spazio per creare margine (non diciamo profitto) per le aziende legate alla somministrazione di cibo ha subito un forte restringimento.
Su questo, non ci saranno molte contestazioni.
Quindi hanno ragione i ristoratori a dare di matto e a proporre sconti o omaggi se ci si porta il nécessaire per il coperto da casa? O a sporzionare torte portate dalla pasticceria a 20 euro per prestazione?
No. Anche perché gran parte degli aumenti di costi che abbiamo elencato sopra sono stati patiti anche da tutti gli altri cittadini (e tanti altri comparti produttivi erano stati brutalmente stremati dagli anni del Covid).
Quindi hanno ragione i clienti sempre e comunque e tutti i ristoratori sono truffatori (ma anche i concessionari degli stabilimenti balneari non scherzano)?
Nemmeno! Hanno tutti torto, quindi! Sì! E non solo perché abbiamo ragione solo noi stampa, anzi proprio per il contrario. Sono i mezzi di informazione ad avere più torto di tutti!
Prendere questi fattoidi, buoni al più per il giornale della parrocchia, e farne questione di vita e di morte è immorale e fuorviante. E distoglie l’attenzione dalla realtà.
Al netto dei maleducati che abbondano e ordinano un toast e una bottiglia d’acqua in quattro e il toast lo vogliono pure in due piattini e dei (come vogliamo chiamarli?) volpini che pensano sia cosa buona e giusta chiedere due euro per tagliare il famigerato toast a metà e vantarsene scrivendolo sullo scontrino parlante, il problema è un altro.
Anzi sono due. La scarsa attitudine al pensiero complesso.
Questa maledizione non fa cogliere: al ristoratore medio che servire un benedetto toast tagliato a metà, non è la stessa cosa realizzare e servire due mezze porzione di primi piatti (si accenni anche che una mezza porzione non potrà mai avere il prezzo della metà matematica di quello della porzione intera. Ma solo per vedere i vortici negli occhi dei beoti, siamo crudeli!) e, contemporaneamente, al cliente tipo che, se invece di ordinare (e pagare) il dessert del ristorante, si porta la sua bella torta della pasticceria Pinuccia (si spera con scontrino di accompagno, se no vengono anche i Nas) fare venti porzioni in altrettanti piattini ha un costo in termini di forza/lavoro e tempo per il ristoratore, oltre che al mancato guadagno di non aver venduto un dolce (anzi venti porzioni di dolce, che di certo non coincidono).
Ma il problema più grande è il secondo. Noi (ristoratori, consumatori, giornalisti, blogger, maître à penser della prima e dell’ultima ora) ci scanniamo e non ci rendiamo conto che i nostri mille splendidi governi – che si susseguono a cicli rapidissimi da bipolari, più che da bipolaristi – ci hanno lasciati soli da decenni in un mercato impazzito senza più né regole né decenza.