Ormai ci siamo un po’ abituati: l’aglio, olio e peperoncino, piatto che per eccellenza rappresenta la rapidità di mettere in tavola un piatto alla buona (e per alcuni foriero anche di corna, come per la pasta in bianco o burro e parmigiano in alcune zone d’Italia), non è più un tabù sulle più ambiziose tavole gourmet. A volte in destrutturazioni più concettuali, in altre occasioni come ideale spalla di abbinamenti tra ricchi e poveri, magari con una tartare di crostacei o una generosa benedizione di caviale.
Eppure, come molti cambiamenti in cucina, tutta questa nonchalance sarebbe stata inconcepibile senza la visione libera e avanguardistica di alcuni pionieri, che in anni decisamente non sospetti hanno saputo scovare la grandezza dietro la semplicità. Ognuno a modo suo, chi in un’ottica di valorizzazione della materia prima, chi trovando nell’AOP una golosità trasversale con cui trascendere confini regionali e nazionali. Curioso, o forse no, che questa rivoluzione, piccola ma piccantina, sia caratterizzata da una quasi integrale trazione milanese, invece che prendere le mosse dall’originaria Campania, almeno come indicato nei ricettari di Ippolito Cavalcanti e Jean Caròla Francesconi, dove i “vermicelli aglio e uoglie” e i “vermicelli alla Borbonica” sono i riferimenti storici. A volte serve uno sguardo esterno, per cogliere i veri valori.
Il padrino della aglio olio e peperoncino gourmet: Aimo Moroni
Anno 1965, appena tre anni dopo aver aperto il “Luogo” Aimo Moroni crea uno di quei big bang multidisciplinari che danno vita a icone della cucina. Si parte dal “semplice” elemento gustativo: lo chef di Pescia voleva inserire una aglio, olio e peperoncino nella degustazione, ma non voleva che i suoi ospiti avessero il palato anestetizzato dal piccante: la ricetta andava leggermente rivista. Attraverso questo processo trova un’ottica ideale per raccontare la sua idea di cucina in cui non ne esiste una alta o bassa, né ricca né povera.
Esistono i prodotti, e la loro eccellenza, il cipollotto di Tropea, il peperoncino di Senise, gli spaghettoni Benedetto Cavalier: stiamo pure sempre parlando di quasi sessant’anni fa e certi concetti non solo non erano scontati ma erano assolutamente pionieristici, e quale miglior veicolo per raccontarli se non il piatto più trasversale della cucina italiana? Se vorrete rifarla a casa, troverete una moltitudine di ricette da fonti più o meno ufficiali, ma datemi retta: il cipollotto deve stufare almeno 40 minuti e quasi non prendere colore. Se non sviluppa dolcezza il piatto non riesce, se si crea Mallard perde eleganza. Buona fortuna.
La nuova generazione dell’aglio olio e peperoncino: Nicola Cavallaro
Bisogna dare onore al merito. Se l’aglio, olio e peperoncino è rientrata prepotentemente sulla scena gourmet, il merito è tutto di Nicola Cavallaro. Origini padovane e formazione da globetrotter, ha sempre gestito con competenza le ispirazioni che, con molta faciloneria, potremmo definire “etniche”. Ha quindi trovato in questa pasta -che a casa sua si mangiava tre volte alla settimana- un modo per raccontare la sua passione per i peperoncini, impreziosita dalle sue esperienze in giro per il mondo. Correva l’anno 2006 e il nostro, attualmente in forza a Un Posto a Milano, proponeva nel suo ristorante sui navigli la AOP che ha stuzzicato il trigemino di tutti i gastrofregni meneghini e non solo. Bisogna riconoscergli anche il merito di essere stato il primo a parlare di varietà di capsicum: Aji Amarillo, Rocoto e Cayenna, per un mix di dolcezza, piccantezza e colori. Aglio rosso a pomata, olio Pianogrillo Particella 34 e una selezione della pasta che si è evoluta col tempo, prima con Latini, poi Verrigni e attualmente con Pastificio Dei Campi.
Aglio olio e peperoncino in brodo: Andrea Berton
Prima ancora di creare un menù degustazione tutto dedicato ai brodi, Andrea Berton aveva già concepito la sua versione “al cucchiaio” della aglio, olio e peperoncino, trasformandola nel ripieno dei ravioli serviti in brodo di cicale di mare. Un’interpretazione, come ci si aspetta dal raffinatissimo chef padovano, smussata da ogni spigolosità e ad alto coefficiente tecnico, con un mix di aglio cotto a bassa temperatura e della sua infusione frullato e reso gelatina per farcire la pasta, per un piatto che -con poche variazioni- lo accompagna fin dai tempi del Trussardi alla Scala, circa dal 2011.
L’aglio olio e peperoncino VIP: Antonino Cannavacciuolo
Correva l’anno 2005, e agli albori della comunicazione gastronomica online giravano voci incontrollate su un talentuoso cuocone campano, che si era da poco insediato in un’affascinante villa moresca sul lago d’Orta. Nella primissima carta del suo nuovo ristorante, Antonino Cannavacciuolo aveva già concepito il suo piatto signature, le “Linguine di Gragnano con calamaretti, salsa al pane di Coimo” che tre stelle Michelin e innumerevoli ceffoni dopo sono ancora immarcescibile nella carta di Villa Crespi.
Un’AOP di lusso, con i calamaretti a dare un tono gourmet, ma dove è il pane ad essere la vera chiave di volta: la rustica spolverata di pangrattato che a volte irrobustisce la versione classica diventa una salsa, in cui Antonino mette in mostra i muscoli tecnici con una creazione setosa, concentrata ed equilibrata, e creando un legame tra Mediterraneo e Piemonte usando quello di Coimo, un pane nero di segale tipico della val Vigezzo. Quello dell’aglio, olio e peperoncino resterà un tema nella cucina del futuro giudice di Masterchef, un tocco che, come il passion fruit e le cotture in crepinette, resterà tra le sue firme e riproporrà anche nei piatti dei suoi bistrot.