E’ questione di ore. Poi la classica frenesia per la World’s 50 Best Restaurants contagerà anche gli appassionati italiani, con speculazioni accese sui dominus della sola classifica che conta –volenti o nolenti– per i ristoranti d’elite (a meno di voler considerare una classifica la Guida Michelin).
Succederà tutto in una notte a New York (l’anno prossimo invece si trasloca in Australia).
Parliamo ovviamente della classifica annuale nata nel 2002 da un’idea della rivista inglese Restaurant Magazine, e assemblata sulla base del giudizio –molto criticato– di 837 esperti del settore.
A proposito, quali sono le principali critiche della vigilia?
La 50 Best è una lista di ristoranti interessanti, ma non si può rappresentare il meglio della gastronomia internazionale sulla base di uno strumento snob e costoso come il menù degustazione da 5 portate con i vini in abbinamento. Sarà anche il tratto unificante di (quasi) tutti i ristoranti presenti nella classifica ma bisogna essere più alla portata.
Essere alla portata non è certo il problema degli organizzatori, per loro è un po’ come quando entri da Chanel: se chiedi il prezzo è perché non te lo puoi permettere.
Tuttavia c’è qualcosa di spocchioso nell’idea dei giudici buongustai che si spostano per il mondo all’unico scopo di valutare alti e bassi di una cucina straniera, che magari conoscono appena, sulla base di una cena di qualche ora.
E poi sempre loro, i giudici, non sono tenuti a produrre la ricevuta dei ristoranti per dimostrare di esserci stati davvero. Una storia che solleva più di un dubbio sull’attendibilità del giudizio, che potrebbe essere influenzato per esempio da una cena offerta dal ristoratore.
Non si esce neanche dalla vexata questio delle quote rosa: lo scorso anno le donne presenti nella testosteronica 50 Best erano soltanto tre (Elena Arzak, figlia del celebre chef Juan Mari dell’omonimo ristorante di San Sebastian; Pia Leon co-chef del marito Virgilio Martinez al Central di Lima, in Perù; Helena Rizzo del Manì di Sao Paolo, in Brasile). Stessi numeri di un torneo di scacchi.
Il ricambio in vetta alla classifica è eccessivamente lento, in ballo per le prime posizioni ci sono sempre i soliti nomi, genere Oscar del cinema.
Per esempio il Noma di Copenhagen, primo per 5 volte negli ultimi 6 anni, premiato quanto Meryl Streep nel ruolo di attrice protagonista. Nello stesso lasso di tempo, El Celler de Can Roca di Girona, in Spagna, ha vinto due volte, l’ultima lo scorso anno.
Quanto al nostro Massimo Bottura speriamo faccia come Leonardo di Caprio, che malgrado gli elogi e la stima generale l’Oscar l’ha vinto solo quest’anno. Il fuoriclasse dell’Osteria Francescana nel 2015 è arrivato a un passo dalla vittoria, piazzandosi secondo. Tifiamo per lui per meriti evidenti e perché è l’italiano più quotato per la vittoria, come abbiamo fatto tutti con La Grande Bellezza di Sorrentino.
Dal Bel Paese, oltre agli italiani top 50 dell’anno scorso —Enrico Crippa, Piazza Duomo di Alba al numero 27 e i fratelli Alajmo, Le Calandre in 34esima posizione, dovrebbe esserci anche Davide Scabin, Combal Zero, Rivoli (TO).
L’esclusione dalla classifica dal numero 51 al numero 100 (in cui l’unico a renderci onore è Niko Romito, Reale Casadonna di Castel di Sangro), aveva fatto pensare a una pessima annata per lo chef, che ha perso una stella Michelin delle due che aveva. Ma per fortuna, qualcuno di autorevole la pensa diversamente.
Non ci contiamo molto ma potrebbero verificarsi delle sorprese: sono 8 i nomi scivolati dai primi 50 del 2015 ai 51/100 di quest’anno, viene da chiedersi chi li sostituirà.
Vi terremo aggiornati.
[Crediti | Link: Eater, Dissapore]