Se hai avuto la ventura, com’è capitato a me, di frequentare il mondo dei ristoranti prima da cliente poi da cuoco, capire i cambiamenti radicali intervenuti nel settore durante gli ultimi venti anni è senz’altro più facile.
Liberalizzazioni delle licenze, programmi televisivi, internet, TripAdvisor, Instagram…
Una consapevolezza che aiuta a distinguere la classe dall’improvvisazione, “l’artista” dal cialtrone, la convenienza dalla fregatura.
Ecco allora un vademecum spero utile per evitare gli errori più comuni al ristorante, salvarvi la serata e anche il portafoglio. Prego astenersi capisciotti per cui questi, come altri suggerimenti, sono soltanto banalità.
1) Non informarsi prima
La proposta culinaria delle nostre città si è ampliata al punto che il rischio di finire in ristoranti inadatti alle nostre aspettative è concreto.
Troppo caro, porzioni piccole, portate banali, accostamenti sbagliati, caos, luci e via lamentandosi.
A volte, diciamolo, il problema siamo noi perché quel locale –semplicemente– non fa al caso nostro.
Se non subite il fascino dell’esotico cosa ci fate nel locale a tema hummus? Perché andare nel ristorante con gli ingredienti che arrivano dall’orto sul retro se amate il sushi? L’atmosfera è conviviale e alternativa? Sì, ma a voi interessa che la pizza sia lievitata almeno 36 ore.
Orsù, smettetela di essere pigri e usate Google. Controllate i siti o le pagine Facebook dei ristoranti, guardate le foto, cercate i menù, leggete una recensione, bastano in tutto 5 minuti.
2) Non prenotare o arrivare in ritardo
Nella maggior parte dei locali la prenotazione non è fondamentale, ma fortemente consigliata per permettere alla cucina di organizzare al meglio il lavoro, specie nelle giornate di grande afflusso o nei locali perennemente pieni.
Non potete lamentarvi se arrivati davanti a un ristorante vi negano l’accesso perché i tavoli sono tutti prenotati. E nemmeno se, pur avendo prenotato, arrivate con oltre mezz’ora di ritardo senza avvertire, e il vostro tavolo viene dato a qualcun altro.
Una telefonata, oltre che buona educazione, è un dovere.
Buona parte dei ristoratori è vittima di un fenomeno che gli americani chiamano “No Show”, ovvero i clienti che dopo aver prenotato non si presentano. Spesso sono scherzi di cattivo gusto, anche dispetti fatti da ristoratori concorrenti. Altre volte semplice maleducazione dei clienti.
Non è più il tempo in cui con la ristorazione si diventava ricchi, qualche tavolo dato per pieno ma irrimediabilmente vuoto significa mancati incassi che a fine mese incidono sull’economia del locale, specie se dispone di pochi coperti.
Una soluzione di cui si parla da tempo è comunicare le credenziali della carta di credito al momento della prenotazione (come succede negli hotel), ma non so quanto sareste d’accordo. Nel frattempo una telefonata per riservare un tavolo e soprattutto per comunicare eventuali disdette o ritardi è un gesto che vi garantirà la riconoscenza dello staff.
3) Non prestare attenzione al menù
Una volta accomodati avete un’ultima chance per salvarvi da eventuali fregature: analizzare il menù!
Il menù rivela cosa e come mangerete, anche quanto vi costerà farlo, leggete con attenzione le parti scritte e imparate a leggere anche quelle non scritte.
Elenchi lunghi molte pagine potrebbero significare una cucina poco fresca, con impiego di basi pronte, prodotti surgelati e scarsa attenzione al dettaglio.
Avere tante voci nel menu costringe a fare ampie scorte e a ridurre i tempi di preparazione, spesso a scapito del sapore di un piatto.
Un menu snello, con ingredienti stagionali e la segnalazione dei fornitori (senza esagerare) è invece un punto a favore. Lo sono anche le spiegazioni dettagliate dei piatti e la lista degli allergeni, che è obbligatoria per legge.
4) Lamentarsi del conto
Partiamo dal presupposto che un altro obbligo di legge è scrivere i prezzi sul menù, e che molti ristoranti hanno il listino esposto anche all’esterno del locale. E’ evidente che il cliente dispone delle informazioni necessarie per capire se il pasto è alla sua portata e per stimare il costo finale.
Inutile recriminare dopo.
Possiamo discutere l’esperienza culinaria, se vale o meno il prezzo pagato, ma per questo vi rimando alla distinzione tra caro e costoso scritta da Luca Iaccarino nel suo Buonappetito, qui, su Dissapore.
5) Recensire, recensire, sempre recensire!
Il democratico web ha dato voce a chiunque abbia qualcosa da dire, o anche no. Non credo sia un bene assoluto e spiego perché partendo dai siti di recensioni, spesso un flagello per la ristorazione, come nel caso del più noto, il famigerato TripAdvisor.
Nato 17 anni fa come strumento per orientarsi nella scelta di hotel e ristoranti, alternativo al mondo delle recensioni scritte da misteriosi ispettori, ha perso molto dell’originaria capacità di rappresentare il giudizio sincero e disinteressato delle persone comuni.
Peccato, perché nel tempo, proprio quello che era il punto di forza di TripAdvisor, cioè la quantità delle recensioni, è diventato un sintomo di debolezza. Tante, troppe, e soprattutto, poco affidabili.
Anzi, spesso acquistate a pacchetti di decine, o anche centinaia, da società “specializzate” che le offrono ai ristoratori in cerca di posizionarsi meglio sul portale, o interessati a danneggiare i concorrenti con kit di recensioni negative.
Le conseguenze per i ristoratori onesti spesso si trasformano in veri incubi.
Ci sono altri sistemi per risolvere i problemi. Innanzitutto parlate subito. Non serve dire “tutto bene” e poi sparare a zero sul web. Una critica costruttiva esposta con educazione serve al ristoratore per migliorarsi e al cliente per ottenere qualche beneficio.
Una giornata storta può capitare, non va condannata mettendo sul ristorante una pietra tombale. Detto questo per i problemi più seri ci sono le autorità preposte (ufficio di igiene e Nas, per esempio).
Ma premiate chi lo merita con una recensione positiva. E parlate di cose che conoscete. Non impelagatevi in tecnicismi a cui siete estranei, non improvvisatevi chimici, fisici o storici. Criticare Massimo Bottura perché tortellini e bollito tolgono spazio alla sua “cucina molecolare” rivela una conoscenza delle cose modesta se non proprio imbarazzante.
5 + 1) Le polpette…
Ci sono piatti che per tradizione si fanno con il recupero, ovvero con gli scarti. Le polpette, per esempio, quelle che mio papà chiamava “le misteriose”, perché non sapevi mai quello che c’era dentro.
Questo non vale per le polpetterie gourmet ormai diffuse anche in Italia o per i ristoranti che hanno nel menu ricette specifiche. Nelle mense, nei bar, nelle tavole calde, nei ristoranti “All you can eat” la polpetta continua a essere un riciclo dei piatti avanzati i giorni precedenti.
Discorso simile per i vari pasticci, paste al forno, insalate di pasta… Insomma, in certi posti i piatti troppo pasticciati nascondono spesso la sorpresa.