Crema. Base secca da immergere in una bagna. Polvere di copertura.
Detta così la faccenda sembra molto semplice, di quelle che si possono liquidare con una cucchiaiata risolutiva. Ma se i protagonisti sono crema al mascarpone, savoiardi imbevuti nel caffè e cacao in polvere, le cose si complicano, e di molto.
Nei mesi scorsi è scoppiata una polemica tra regioni confinanti –Veneto e Friuli Venezia Giulia– sulla paternità del dolce italiano più noto, imitato e (ahimè) interpretato del mondo: il tiramisù.
Il Friuli ha battuto in volata il Veneto, ottenendo per decreto governativo l’inserimento del tiramisu nell’elenco dei Pat (Prodotti agroalimentari tradizionali). “Uno scippo”, lo ha definito infuriato il governatore veneto Luca Zaia, che ha contrattaccato richiedendo la Dop (Denominazione di origine protetta) per il Veneto.
Non potevamo starcene con le mani in mano: Dissapore doveva chiarire a chi spetta la paternità del tiramisù, e doveva farlo prima che la polemica montasse a tal punto da smontare la crema al mascarpone.
Dopo aver raccolto informazioni abbiamo preso e carte alla mano siamo andati in un luogo simbolico, lì dove tutto ha avuto origine (o almeno così si pensa), cioè al ristorante Le Beccherie di Treviso.
Riepilogo: le ragioni del Veneto
Primi anni Sessanta: Speranza Bon Garatti, titolare assieme al marito Ottorino del ristorante Il Camin, in zona Stiore a Treviso, realizza la “coppa imperiale al Fogher”, secondo alcuni al culmine del pranzo offerto in onore della regina greca Federica di Hannover, preparata con pan di Spagna, caffè, crema di mascarpone e cioccolato fondente grattugiato. Molto simile all’attuale tiramisù, come notate.
Pochi anni dopo, nel ristorante Le Beccherie di proprietà dei coniugi Alba Di Pillo e Ado Campeol, amici dei Garatti, per mano di Alba e del pasticcere Roberto Linguanotto nasce il Tiramisù, Tiramesù in dialetto.
E’ il 1972, la ricetta è l’evoluzione di una preparazione molto diffusa nelle famiglie e che nel 1955 la stessa suocera di Alba, al tempo in attesa del figlio Carlo, prepara per la nuora. Una sorta di colazione sostanziosa a base di zabaione e caffè.
Dal 1955 al 1972, anno in cui il dolce entra nel menu, passano diciotto anni, necessari a perfezionare la ricetta, quella di forma rettangolare che conosciamo oggi e che prevede savoiardi, crema di mascarpone, caffè e cacao.
Nel 1981, il gastronomo trevigiano Giuseppe Maffioli scrive nella rivista “Vin Veneto” un articolo sul tiramisù come parte di un servizio dedicato ai dolci al caffè.
Scrive “Tutte le ricette suesposte appartengono a un repertorio più frequente nella cucina mitteleuropea di Trieste e tuttavia con stretta parentela con quella veneziana che per lungo tempo è stata influenzata dagli immigrati asburgici. È nato recentemente, poco più di due lustri orsono, un dessert nella città di Treviso, che fu proposto per la prima volta da un certo cuoco pasticcere di nome Loly Linguanotto, che, guarda caso, giungeva da recenti esperienze di lavoro in Germania.
Il dolce e il suo nome tiramisù, come cibo nutrientissimo e ristoratore, divennero immediatamente popolarissimi e ripresi, con assoluta fedeltà o con qualche variante, non solo nei ristoranti di Treviso e provincia, ma anche in tutto il grande Veneto ed oltre, in tutta Italia”.
Il 15 ottobre 2010 la ricetta del tiramisù de Le Beccherie viene depositata con atto notarile presso l’Accademia Italiana della Cucina.
Riepilogo: le ragioni del Friuli Venezia Giulia
Al ristorante Roma di Tolmezzo, Norma Pielli, modificando il “dolce Torino”, ricetta n. 649 dell’Artusi, e sostituendo il cioccolato con il caffè oltre a burro e latte con il mascarpone crea il “trancio al mascarpone”.
C’è la copia di un conto rilasciato dal ristorante nel 1959 e poi la citazione “par indolzi: di tirimi-su un pôc” (per dolce: un po’ di tirimi-su) in due cene del 1963 e ’65; in seguito sarebbe emersa anche la ricetta, scritta in data non precisata.
Nello stesso periodo a Pieris (Gorizia), frazione di San Canzian d’Isonzo, nasce la “coppa vetturino tirime sù” nel ristorante di proprietà di Toni Cosolo: la ricetta prevede pan di Spagna bagnato nel marsala, zabaione, mousse al cioccolato e cacao in polvere.
Silenzio, parla Carlo Campeol
Incontriamo Carlo Campeol alle Beccherie, ristorante di cui è stato titolare fino al 2014, ora rilevato da Paolo Lai. Da quando si è diffusa la notizia della paternità friulana Campeol è stato in silenzio, rifiutando dichiarazioni e interviste.
Con Dissapore però decide di parlare: “Mi ritengo un osservatore esterno e privilegiato”, esordisce. E ci passa subito nuove informazioni.
“Il Tiramisù è l’evoluzione di quello che veniva chiamato sbatudìn, il tuorlo d’uovo sbattuto con lo zucchero e senza alcol, che si dava nelle famiglie a bimbi e anziani bisognosi di energia e forza. La chiave di volta per la trasformazione in tiramisù è stata l’aggiunta del mascarpone, fatta per la prima volta qui alle Beccherie, capace di donare al dolce la consistenza cremosa necessaria per sostenere i savoiardi bagnati di caffè.
Ricordo bene che lo presentammo nel 1972 a Milano, in occasione di quella che allora si chiamava Fiera Campionaria (una sorta di Expo ante litteram). Presentammo la cucina trevigiana e assieme a sopressa, risotto e faraona in salsa pevarada, portammo anche il tiramisù.
Se solo riuscissimo a ritrovare quel documento….
Perché quello darebbe ufficialità. Una cosa è riportare una nota o un conto, altro è che la stampa ne parli diffondendo la creazione del dolce”.
E la stampa non ne parla se non nel 1981, come dicevamo. Rovistando tra carte e documenti abbiamo scoperto che:
— la prima menzione del nome tiramisù risale al 1980. Il lemma “tiramisù” viene identificato come di origine veneta nel testo “Le parole dialettali” di Paolo Zolli del 1986.
— Pietro Adami, della delegazione udinese dell’Accademia italiana della Cucina, originario di Raveo, nel 1985 ha scritto un volume intitolato “La cucina carnica”, arricchito da ulteriori ricerche nell’edizione del 2009. In nessuno dei due volumi viene citato il tiramisù.
— Nel 1995 il cuoco carnico Gianni Cosetti, chef patron del Roma di Tolmezzo, pubblica un volume intitolato “Vecchia e nuova cucina di Carnia”: neppure lui cita il tiramisù.
“L’errore”, prosegue Campeol “è stato quello di aver fatto confusione tra lo sbatudin e il tiramisù”. Accanto a Campeol è seduto Paolo Lai, che conferma: “Si sono confusi nome e prodotto e si è creata un’associazione erronea”.
Quando gli chiediamo conto di ricette improbabili con fragole, ananas e altre amenità, Campeol è categorico:
“L’unica soluzione è la Dop. Ci vuole il disciplinare e persino la tracciabilità degli ingredienti. Senza quelli purtroppo non si può fare nulla e si può chiamare tiramisù qualsiasi cosa”.
Stessa fermezza quando gli chiediamo degli albumi montati a neve, previsti nella ricetta che per l’Accademia italiana della Cucina del Friuli è la ricetta originale del ristorante Roma di Tolmezzo: “Gli albumi non ci vanno: la consistenza cremosa viene garantita solo dal mascarpone”.
Il tono di Campeol è accalorato ma mai sopra le righe: è il tono di chi tiene alla tutela di un prodotto e pretende che venga divulgato e consumato nella versione originale.
Ecco quindi la procedura per la Dop e da parte di Paolo Lai l’impegno –preso già da qualche tempo– di esaltare ancor più i singoli ingredienti.
“Vogliamo coinvolgere” ci dice Lai “gli artigiani locali nella fornitura dei singoli ingredienti, in modo da stabilire un legame ancora più forte con il territorio. Tra ottobre e novembre ci saranno una serie di eventi a tema: la giornata del tiramisù, indetta a Treviso per il 1° ottobre, dove Le Beccherie collaborerà con la Fondazione Maffioli all’organizzazione della discussione, cui parteciperanno, tra gli altri, gli istituti alberghieri del territorio e gli chef di Assocuochi Treviso.
E la Coppa del mondo del tiramisù, progetto partito proprio da Treviso che vedrà disputarsi la finale nel centro città, il 4 e 5 novembre.
Ma alla fine, ci chiederete, com’è questo tiramisù
Il tiramisù delle Beccherie
Il profumo del cacao arriva per primo. La tavolozza dei colori è limitata: i gialli pastello e i marroni rubano la scena, ma senza arroganza.
Al taglio la consistenza è morbida, non spugnosa. Al palato la dolcezza è misurata, l’impiego del mascarpone fresco aumenta di una punta l’acidità spazzando via ogni dubbio sulla pesantezza.
Sulle labbra si ferma la polvere di cacao, in bocca l’aroma del caffè. La mano regge il cucchiaino, uno strumento che affonda il colpo ritmicamente.
Nel menu delle Beccherie viene proposto in due versioni: l’originale e quella “destrutturata” o “sbagliata”, che modifica le consistenze rendendo liquido ciò che era solido e viceversa.
Qui trovate la ricetta: fatene buon uso.
Ingredienti
12 tuorli d’uova
½ kg di zucchero
1 kg di mascarpone
60 savoiardi
caffè quanto basta
cacao in polvere
Preparazione
Preparare il caffè e lasciarlo raffreddare in una ciotola;
Montare a spuma 12 tuorli d’uova con ½ kg di zucchero ed incorporarvi 1 kg di mascarpone ottenendo così una crema morbida;
Bagnare 30 savoiardi con caffè facendo attenzione a non inzupparli troppo e disporli in fila al centro di un piatto circolare;
Spalmare sui savoiardi metà della crema e poi sovrapporre un altro strato di 30 savoiardi bagnati con il caffè’, spalmare poi la superficie con la rimanente crema di mascarpone;
Cospargere il mascarpone con del cacao magro setacciato;
Passare in frigo sino al momento di servire.
[Crediti | Immagini: Caterina Vianello]