Nella terra delle cime di rapa e del pane di Altamura, la varietà di prodotti venduti nei forni è disarmante, specialmente per quanto riguarda l’impasto. Come spesso accade per la maggior parte delle focacce d’Italia, anche la focaccia Barese nasceva con tutta probabilità per sfruttare il calore iniziale del forno a legna non ancora a temperatura per cuocere il pane, e utilizzata per sfamare i panettieri durante le ore di lavoro. Oggi può essere ritenuto un controsenso (il pane solitamente si cuoce tra i 180 e i 220 °C, la focaccia tra i 240 e i 280), ma ai tempi era una pratica più comune di quanto possiate immaginare, specialmente per concedere agli instancabili artigiani qualche piccola gioia, anche solo una volta a settimana.
La ricetta originale prevedeva semola rimacinata di grano duro, patate lesse, acqua, lievito e sale, con un topping di pomodori freschi spaccati a mano, abbondante olio, origano e qualche oliva baresana per conferire un gradito sprint di gusto deciso e piacevolmente amarognolo. L’immagine collettiva più comune riporta giusto due o tre olive, in quanto ingrediente non proprio economico, ma oggi possiamo decisamente abbondare.
Pensate che la focaccia barese è celebre a tal punto da esser divenuta persino protagonista di un film del 2009, “Focaccia Blues”, storia del panificatore di Altamura che nel 2002 fece chiudere il vicino McDonald’s a colpi di pane e focaccia.
Urge però un chiarimento: tra la versione pugliese e la specifica barese c’è una differenza di fondo: mentre la prima racchiude tutte le focacce prodotte (e consumate) in tutta la Puglia (a partire dalla periferia di Bari) e subisce un’ulteriore lievitazione in teglia dopo la stesura, la barese viene stesa, condita e subito infornata. A subire il principale cambiamento è proprio la struttura; la pugliese è alta e soffice, la barese bassa e croccante.
Come già abbiamo avuto modo di specificare più volte, di fatto la prima rientra di diritto tra le “focacce” e la seconda tra le “pizze”, ma poco importa, non stiamo qui a spaccare il capello in quattro.
Ah signori, facciamo due o tre premesse prima di cominciare, giusto per evitare di scendere in polemiche inutili:
- Nota 1: tradizionalmente la focaccia barese è tonda, ma le migliori teglie per la cottura che il 99% degli appassionati ha in casa propria (me compreso) è rettangolare; quindi non datevi noia se i prodotti che vedete in foto hanno qualche angolo: a definire una tipologia non è certo la forma, ma le sue caratteristiche tecniche e strutturali.
Avete una teglia tonda, che conduca bene il calore e il cui bordo sia almeno di 2 cm? Fatela tonda.
Altrimenti non datevi pensiero e usate la miglior placca da forno che avete in casa, anche se triangolare. - Nota 2: no, non serve il forno a legna, lo abbiamo già detto e ridetto.
- Nota 3: sì lo so, ci vogliono le olive baresane, ma avete idea di quanto sia difficile trovarle fuori Bari?
Non abbiamo certo la presunzione di proporvi la VERA ricetta della focaccia barese, ci mancherebbe. Quel che state per leggere è la mia interpretazione personale, studiata per risultare accessibile e ripetibile in un contesto domestico. La cosa realmente importante è una e una soltanto: è bona da matti.
La farina
Più che di una farina sola, per le focacce del Sud Italia spesso si parla di mix; come ben saprete nelle rigogliose terre meridionali domina il grano duro, dai sapori rustici e fortemente caratteristici, ma non così semplice da utilizzare come il fratello tenero.
Il prodotto molito dal grano duro e adatto alla panificazione è la cosiddetta semola rimacinata.
Tra grani duro e tenero esistono differenze sostanziali, che già abbiamo avuto modo di trattare in un articolo dedicato. Il colore del grano duro tende al giallo per la presenza di carotenoidi, le sostanze contenute nella farina che conferiscono, tra le altre cose, un boost di sapore al prodotto finale; il glutine, corto e stretto, consente di ottenere una maglia glutinica fitta e resistente, con alveoli piccoli e uniformemente distribuiti.
In genere è in grado di assorbire e trattenere maggiori quantità d’acqua (60-68% contro i 50-60% del grano tenero) e ha una resa più elevata.
Di contro, è meno stabile e più tenace, ragione per cui il grano duro s’impiega spesso insieme a quello viene tenero, anche per raggiungere un livello di leggerezza maggiore.
Tenete poi conto che gli impasti di grano duro risultano di norma meno asciutti rispetto ai corrispondenti di grano tenero, con una consistenza molto simile a quella degli gnocchi anche a causa dell’aggiunta di patate; una base di farina bianca consente di stabilizzare il tutto e facilitare la gestione nelle fasi di manipolazione.
In genere è possibile trovare ricette con solo farina di grano tenero, chi solo semola, e chi un mix di entrambi più o meno bilanciato da una parte o dall’altra.
L’olio
Per l’ennesima volta ci ritroviamo di fronte al solito dilemma: olio o non olio?
Pare che non possa esistere focaccia senz’olio nell’impasto, e il solo accennare alla sua dimenticanza fa sorgere solenni dubbi e condanne.
Nell’impasto della focaccia l’olio ha la funzione di qualsiasi altro grasso: se usato almeno intorno al 6-8% sul peso della farina rende il tutto più estensibile, malleabile e, avvolgendo le bolle di anidride carbonica che si formano durante la lievitazione le stabilizza. L’alveolatura diventa così più omogenea e la struttura della mollica molto soffice.
Ma ragazzi, parliamoci chiaro: ciò che vogliamo è un prodotto moderno, una leggerezza il più possibile accentuata.
Caratteristiche intrinseche come morbidezza e fragranza possono essere raggiunte a pieni voti con farine e processi fatti a misura; avete il grano duro e le patate, a che vi serve quello sputo d’olio, che costa, non ne percepirete mai la presenza e per giunta rischia di rovinarvi l’impasto se aggiunto in maniera errata?
Piuttosto versatene in abbondanza sulla superficie post-cottura per arrotondare il gusto, che male non fa.
Il processo
Siamo alle solite.
Come spesso accade nella rivisitazione di grandi classici intoccabili, stiamo per fare del male a qualcuno.
Non me ne vogliate, ma qui parliamo di riproduzioni casalinghe, con metodi studiati per renderle standardizzabili e ripetibili a oltranza.
Come potete immaginare, per la preparazione della focaccia barese viene usato il lievito madre, soprattutto considerando che (come già specificato) a preparare la focaccia in Puglia erano soprattutto i panettieri.
Ormai dovreste averlo imparato: la gestione del lievito madre complica la vita degli impasti casalinghi, risultando meno sicura e fin troppo variabile, per nulla in accordo con quei concetti di standardizzazione e ripetibilità che stiamo cercando.
Vogliate dunque perdonarvi se vi consiglierò strenuamente l’utilizzo del lievito di birra e di una maturazione in frigorifero; il risultato non sarà da meno, ve lo posso assicurare.
Il vero discriminante dell’impasto tuttavia è l’utilizzo delle patate; lessate, schiacciate, fatte raffreddare e aggiunte in misura del 10-20% sul peso totale dell’impasto, consentono di alzare a dismisura l’asticella, allungando in maniera impressionante la shelf-life e donando fragranza e morbidezza.
Di contro complicano parecchio la gestione dell’insieme, che richiederà non poco allenamento per poter padroneggiare la ricetta della focaccia barese a dovere.
Ingredienti
Ingredienti per tre teglie 30×40 o per quattro teglie tonde da 32 cm di diametro:
Per l’impasto:
- 500 gr di farina di grano tenero di tipo 00 (300 W);
- 500 gr di semola o di sfarinato di grano duro;
- 650 gr acqua;
- 150 gr di patate lessate, schiacciate e fatte raffreddare;
- 15 gr lievito di birra fresco;
- 25 gr malto d’orzo in sciroppo o 5 g di malto diastasico in polvere;
- 25 g sale fino.
Per la farcitura:
- 400 gr di pomodori;
- 100 gr di olive nere denocciolate;
- olio extravergine di oliva;
- sale Maldon;
- origano essiccato.
Preparazione
Impastamento
Sciogliete lievito e malto nell’acqua e aggiungete il tutto al mix di farine precedentemente mescolate tra loro.
Una volta ultimato l’assorbimento dei liquidi è il turno delle patate, e infine del sale.
Lavorate l’impasto finché non risulterà liscio e omogeneo.
Puntata
Posizionate la massa in un contenitore stretto dai bordi alti, unto con un goccio d’olio e chiuso ermeticamente e lasciatela puntare per mezz’ora a temperatura ambiente.
Considerando l’elevata umidità dell’impasto (grazie all’utilizzo di una percentuale maggiore di acqua e delle patate), al contrario della genovese non dovete temere particolarmente la formazione della pelle.
Staglio
Ricavate pagnotte di egual peso da sistemare in altrettanti contenitori ben oliati, per poi riporre tutto in frigorifero a circa 4°C per 18-24 ore.
Appretto
Al termine di questa fase l’impasto sarà quasi triplicato; ungete le teglie con abbondante olio e rovesciateci dentro i panetti.
Stesura
Ribaltate i panetti in modo da tornare ad avere la parte superiore verso di voi, che risulterà ora ben unta; stendetela con le mani fino a che non risulterà uniforme in tutta la superficie.
Con i polpastrelli premete con forza per formare le classiche fossette, marchio di fabbrica di questa preparazione.
Farcitura
Completata la stesura, spaccate i pomodori direttamente sopra la pasta in modo che il succo ne bagni la superficie; aggiungete qualche oliva denocciolata, abbondante olio e origano, una presa di sale Maldon e il gioco è fatto.
Cottura
Nel caso utilizziate un classico forno casalingo, preriscaldate il forno al massimo della temperatura in modalità statica e cuocete per circa 20 minuti.
Per agevolare la cottura del fondo, lasciatela sul pavimento nella prima fase per rendere la base croccante, dopodiché spostatela sotto la resistenza superiore per completare la doratura superficiale.
Se doveste invece avere a disposizione un forno elettrico professionale, ormai ampiamente diffusi anche in casa, preriscaldate a 280 °C, utilizzando però il 100% della potenza della platea (il piano inferiore) e il 30% di potenza del cielo (la parte superiore) per far asciugare l’umidità data dal succo dei pomodori.
Sfornate e lasciate raffreddare su una griglia rialzata per evitare che la condensa rovini la friabilità della base, e irrorate con un ultimo, generoso filo di olio extra vergine, in modo che il calore faccia sprigionare tutti i profumi.
Ah, un’altra aggiunta di origano non fa male a nessuno, sapevatelo.
Perfetto, siete finalmente pronti per tagliare e gustarvi l’intenso aroma di questo croccante materassino di patate, olive e pomodoro.
Non prendiamoci in giro, che ve ne fate della shelf-life più lunga? Scommetto la mia riserva di farine che non vi durerà per più di un’ora!