Parlare della ricetta del ragù di carne è, lo so bene, infilarsi in un vespaio. Tutti i cucinieri hanno la loro formula perfetta, i loro segreti di famiglia e – sì – anche le loro idiosincrasie su cosa vada messo o meno, fatto o non fatto. Sicché, mi accingo in punta di piedi, e sperando di non urtare nessuno, sull’impervio sentiero dei 5 errori più comuni che qualcuno (no, non voi fedeli lettori di Dissapore!) potrebbe commettere nel preparare il ragù alla bolognese, il sugo principe della tradizione italiana.
Disclaimer: a scanso di equivoci, vi comunico che la mia ricetta di riferimento per questo post è quella riportata dall’Enciclopedia della Gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti. Mixata con la mia esperienza personale. Che non è detto sia legge.
1. Usare carne qualsiasi
Doverosa premessa: vado a parlarvi del ragù alla bolognese – che quello napoletano è un’altra cosa. Quindi, il ragù fatto di carne macinata. Quale carne è presto detto: un misto in parti uguali di bovino e suino. Già, ma quali tagli?
Senza addentrarmi nelle nomenclature regionali di questo e quello, vi dirò semplicemente, come vuole la regola dei miei post, cosa non usare: polpa magra.
Insomma, non va bene la trita scelta o sceltissima di manzo o vitellone, né la smilza lonza di maiale. Mentre c’è chi del suino ci mette persino la pancetta fresca – vedete un po’ voi – un taglio tradizionale del bovino è la cartella, ovvero il diaframma, ma non tutti i macellai ce l’hanno (il mio per esempio fa fatica a procurarsela). Quindi, lanciatevi su tagli da bollito e stracotto o sulle parti più grasse della coscia del maiale. Aggiungendo, se volete, anche un poco di polpa di salsiccia fresca, possibilmente dolce e non troppo speziata.
Senza dimenticare che il tritacarne del macellaio fa un lavoro rapido e omogeneo, ma il valore aggiunto di un ragù tritato al coltello può valere la fatica, di tanto in tanto, di lavorare la carne da voi.
2. Fare un soffritto grossolano
Forse è una mia mania, che il soffritto non superi in dimensioni l’ingrediente principale delle preparazioni. Questa regola vale, per esempio, per lo scalogno del risotto (guai se i pezzetti sono più grandi dei chicchi) e a maggior ragione quando si tratta di ragù, dove i grumetti di carne macinata o i minuscoli dadini al coltello non devono soccombere a tocchi abnormi di cipolla-sedano-carota.
Un trito fine manuale è l’ideale: meglio evitare il cutter, che riduce tutto in poltiglia. A proposito di verdure, piccola raccomandazione: sfilate bene il sedano, perché nulla è peggio che trovarsi fra i denti le parti più fibrose.
3. Rosolare tutto insieme
La carne e le verdure rosolano con modi e tempi diversi. La prima ha bisogno di fiamma viva, le seconde di appassire dolcemente. La prima, se ben rigirata nel grasso (olio, burro o un mix dei due: a voi la scelta), colorisce rapidamente, le seconde hanno bisogno di stufare piano piano senza caramellizzare. Insomma, le due operazioni vanno separate.
Fate come volete, prima l’una e poi le altre o viceversa, anche nella stessa casseruola, per poi riunire il tutto e sfumare con il vino, bianco o rosso secondo il vostro credo (io sono per il rosso). Altro dettaglio da non sottovalutare sono le quantità: se state cucinando ragù per un esercito, le rosolature preliminari vanno fatte poco per volta, perché gli ingredienti devono prendere il calore in modo uniforme, cosa impossibile se sono ammassati in uno strato spesso.
4. Cuocere a fuoco basso
Riuniti gli ingredienti di base ed evaporato l’alcol, è il momento della parte liquida del ragù, ovvero il pomodoro più il brodo di carne e/o il latte (sì, io sono del partito del latte nel ragù: chi mi segue?).
Piccolo inciso sul pomodoro: sappiate che vale tutto, secondo il vostro gusto, dal concentrato – anche in purezza – alla passata fino ai pomodori freschi. Se optate per questi ultimi, scottateli, pelateli e privateli dei semi: buccette e semini duri risultano sempre fastidiosi.
Dunque, è ora che comincia la cottura. Che, come enunciato nel titolino di questo paragrafo, non deve avvenire a fuoco basso. Ma bassissimo. Quindi, una volta che la salsa alza il bollore, riducete la fiamma al minimo e inframmezzate la retina. Aiuterà anche usare un tegame a fondo spesso o in coccio, che diffonderà il calore con inesorabile dolcezza. Ricordate di mettere il coperchio, magari lasciando un piccolo spiraglio per far sì che sfiati appena, ma non troppo.
5. Credere alla favola del ragù rapido
Diffidate di qualunque ricetta si intitoli “al ragù rapido”. Perché il ragù rapido non esiste. I migliori ragù sono quelli che sobbollono dalle due ore in su. Durante le quali, sulla carta, potreste anche dimenticarvene: in realtà, dovrete controllare di tanto in tanto che non occorra aggiungere un poco di liquido e, già che ci siete, dare una rimescolata, che quello che stava sotto salga sopra e viceversa.
Compito affatto ingrato: a ogni controllatina, a ogni rigirata, vi perderete sempre più nei fumi odorosi e suadenti, pregustando la tagliatella o la lasagna che verrà. A proposito, avete messo il sale e il pepe? No vero?
Salare all’inizio una preparazione che cuoce così a lungo, concentrando via via il sapore, è assai rischioso e se, per caso, foste stati di mano generosa, potreste ritrovarvi con un sugo eccessivamente saporito. Il momento giusto per condire il ragù è pochi minuti prima di spegnerlo, appena prima di mettere a bollire l’acqua per la pasta. Verificare se il gusto è giusto (e scusate l’allitterazione) è facilissimo: prendete un boccone di pane fresco, tuffatelo nella salsa, chiudete gli occhi e assaporate. Anticipando l’immancabile scarpetta che verrà.