“Non date mai a un siciliano un brodo per Natale”.
Nel codice non scritto della gastronomia isolana ci sono poche regole, questa però è inamovibile.
Il problema con i siciliani autentici è che potrebbero offendersi, pensando di essere trattati non con la dignità dell’ospite, ma come malati.
Benché sia di nuovo il loro momento, la Sicilia non è terra di brodi. Neanche di cappelletti: il pranzo di Natale è fatto da sempre di consistenze, pienezze, abbondanze.
Cosa, allora, non può mancare nel pranzo di Natale siciliano?
Segue rapida veduta d’insieme di 5 pietanze tradizionali e intramontabili, sia che si opti per la cena della Vigilia, o per il pranzo del 25.
CRISPELLE “C’ANGIOVA” O RICOTTA FRESCA
A Catania immancabili nel cenone natalizio sono le crispelle.
Fatte con farina e lievito di birra e ripiene di acciughe o di ricotta fresca, vengono poi fritte in enormi pentoloni colmi di olio nelle numerose crispellerie della città.
La preparazione della forma è quanto di più folcloristico esista nelle pietanze catanesi.
La pasta passa da una mano all’altra nel giro di pochissimi secondi e viene poi buttata nel pentolone. La velocità della formazione della crispella è sbalorditiva.
Fra le migliori a Catania quelle de ‘Il chiosco delle crispelle’ in via Vincenzo Giuffrida, Prestipino in Corso delle Provincie e Viglianisi in via Plebiscito.
Untuose al punto giusto, da sole, in occasioni normali, potrebbero fungere da cena. Ma nel menu di Natale rappresentano appena un antipasto.
RIPIDDU NIVICATU
E’ una rivisitazione della pasta con il nero delle seppie.
Nasce nel 1974, quando ancora da queste parti non esisteva la spettacolarizzazione del piatto, su idea di Giuseppe La Rosa, padre degli attuali titolari de ‘La Siciliana’, tempio della gastronomia tradizionale catanese.
Il ripiddu nivicatu richiama sia nel nome che nella forma l’Etna in eruzione sul piatto. Il fascino nero di Catania è servito.
La preparazione è semplice ma di grande effetto anche per un pranzo di famiglia: della ricotta fresca viene fatta riscaldare su forme di ghisa create appositamente ed unte di olio affinché il preparato non si attacchi al fondo.
Nelle forme viene poi posto il risotto al nero delle seppie per essere successivamente sformato.
Sul cratere viene infine fatta colare una striscia di lava: salsa di pomodoro resa leggermente piccante dall’aggiunta di peperoncino. La ricotta fresca dona morbidezza al piatto dal condimento nero, usualmente abbinato alla ricotta salata o, per i più tradizionali, al pecorino.
PASTA NCACIATA
Opulenta, ricca, “ncaciata“, cioè piena di cacio. La pasta ncaciata ha origini nel messinese, ma fa parte, sia pure con qualche variazione nel condimento, della tradizione natalizia di ogni città siciliana.
Ragù, uova sode, melanzane e ovviamente cacio in quantità per il piatto che rappresenta al meglio il gusto della cucina delle nonne siciliane. Nel gelese e ad Agrigento viene aggiunto il cavolfiore, nel catanese le melanzane.
Da non confondere con la pasta “ncasciata“, un’altra preparazione siciliana, che invece significa incassata, messa in cassetta e poi infornata.
BACCALA’ FRITTO E “PIPI SICCHI” DI AUGUSTA
E’ un classico del pranzo (o cena) di Natale e viene ripresentato anche al cenone di Capodanno.
Fra le preparazioni del baccalà, scegliamo quella di Augusta, città a metà strada tra Catania e Siracusa, ma con tradizioni peculiari e rimaste intatte.
Il baccalà augustano si distingue per la presenza dei pomodori secchi. Il pesce, appartenente alla famiglia dei merluzzi, prima della preparazione deve essere ammollato in modo che le carni diventino polpose e morbide perdendo il sale.
Posto in una ciotola con pomodori secchi fatti a piccoli pezzi e cipolletta fresca, viene poi incorporato alla pastella e fritto in abbondante olio caldo.
Ne verrà fuori una polpetta schiacciata e croccante.
Ad Augusta il baccalà fritto viene accompagnato dai “pipi sicchi”, preparazione che ricorda quella dei peperoni cruschi lucani.
I peperoni utilizzati per essere essiccati sono rossi e caratterizzati da uno spessore sottile e da un basso contenuto di acqua. Il peperone consente così una rapida essiccazione praticata secondo un metodo naturale: per due o tre giorni, nei mesi estivi, i peperoni appena raccolti vengono stesi su reti nella penombra di locali asciutti e ben areati.
Vengono poi conservati, al momento della preparazione si fanno rinvenire in acqua bollente. Infine vengono cucinati insieme a leggero soffritto di cipolla e pomodori pelati.
FALSOMAGRO
Il nome dice tutto. La pietanza sembra magra ma è solo apparenza. Una fetta di carne ricavata dal perno o fesa, battuta in modo da spianarla, disposta a rotolo e legata con lo spago.
All’interno tutta una farcia di condimenti che contribuiscono a rendere il magro falso: una fetta di mortadella adagiata sulla carne a contenere salsiccia, cipollotto, formaggi vari, prezzemolo. La farcia varia da città a città. A Catania si usa più la mortadella, mentre nelle altre zone si opta per il prosciutto e la pancetta.
Per un perfetto taglio, nella città di Palermo, basta andare da Cottone, in via Messina Marine. La macelleria, che si trova in una zona quasi degradata, è gestita dai quattro membri della famiglia Cottone, guidati dal padre, Emanuele.
Risoluti nella scelta di far crescere il loro progetto, alla ricerca delle carni pregiate in Sicilia e nel resto dell’Italia, i Cottone sono consapevoli di affidare il futuro della piccola macelleria nelle mani di Francesco.
Ambizioso, riflessivo, compunto, anche un po’ “cocco di mamma”, Francesco segue le orme del padre, stuzzica l’orgoglio dei Cottone, aggiunge un tocco di eleganza programmata al progetto di famiglia.
Più “ribelle” ma fondamentale per il futuro della macelleria è Annachiara, secondogenita, che non riesce tenere a freno la passione per la fotografia, unendo utile a dilettevole e contribuendo non poco a elevare le carni, fotografate egregiamente.
SFINCI DI NATALE
A Palermo sono dolci natalizi, nel ragusano sono rituali di San Martino. Le sfinci di cui parliamo sono quelle “aruci“, dolci, che possono confondersi con lo sfincione salato.
Secondo la tradizione, la suocera dovrebbe prepararle al genero.
Scegliamo la versione con le patate. Si impastano fino a ottenere una massa molliccia e si fanno lievitare per circa due ore. Si possono aromatizzare a piacere con scorza di limone o cannella. Infine si friggono in abbondante olio e a cottura ultimata vengono immerse nello zucchero.
E va bene, avevamo detto che erano cinque i piatti siciliani per il menu di Natale. Ma senza dolce che Natale è?