Con il loro profumo di bosco, traghettano la cucina verso l’autunno. Sono i funghi spontanei, capitanati da porcini, finferli (detti anche gallinacci o cantarelli), ovoli e chiodini, sicuramente i più diffusi e conosciuti.
C’è chi ama raccogliere i funghi nei boschi, chi preferisce comprarli dall’ortolano di riferimento e chi, infine, si affida alla grande distribuzione.
In tutti i casi, per sfruttare al meglio questa occasione (non dimentichiamo che i funghi selvatici sono disponibili solo per poche settimane all’anno) è bene tener presente alcune regole, ovvero, evitare gli errori più comuni, dalla scelta alla cucina di porcini & Co.
1. Raccoglierli a caso
Per la mia natura prudente, vorrei parlare solo di quel che comprate perché la raccolta dei funghi è materia irta di insidie. Siccome so che molti, al contrario, adorano passeggiare nei boschi in cerca di boleti e gallinacci, vi metto in guardia dal farlo impreparati.
La raccolta dei funghi spontanei non si può fare a caso.
Tutte le regioni obbligano il cercatore, anche amatoriale, al possesso di un tesserino, pongono limiti di quantità (in genere, intorno ai tre chili a persona) e stabiliscono il calibro minimo degli esemplari che si possono asportare, specie per specie. Chi non segue le normative rischia, oltre al sequestro del raccolto, sanzioni salate.
I regolamenti variano da regione a regione e anche dalla condizione del “cercatore”, per esempio se residente o meno nel comune in cui si reca a funghi. Basta fare una rapida ricerca in rete, o contattare le autorità locali (enti parchi, comunità montane e simili) per scoprire le direttive della zona che vi interessa. Il mio suggerimento è di non ignorarle.
2. Sbagliare attrezzatura
Organizzata la vostra gita, dovete armarvi dei giusti strumenti: bastone, coltellino, spazzolino e cesta.
Il bastone serve per smuovere delicatamente il fogliame a terra senza danneggiare quel che potrebbe esserci sotto.
Il coltellino si usa per tagliare i funghi alla base (vietato strapparli!) e, insieme allo spazzolino, per togliere il grosso del terriccio: operazione che, fatta sul posto, disperde le spore che daranno vita a nuovi funghi.
Anche durante il trasporto i funghi devono poter spargere le spore in giro per il bosco, cosa che non accadrebbe se riposti in sacche di tela o, peggio, buste di plastica. Ecco perché si usano le ceste di vimini. Che, oltretutto, permettono all’aria di circolare mantenendo “fresco” il raccolto.
3. Sentirsi sicuri di sé
Avere il tesserino non significa automaticamente essere esperti micologi. Se, quindi, siete alle prime armi, il consiglio è di non passare direttamente dal bosco ai fornelli ma fare tappa al centro micologico locale. Al solito, informatevi: il servizio è erogato dalle aziende sanitarie che vi indicheranno dove recarvi per far controllare da un esperto che quel che avete raccolto sia commestibile.
Inutile ricordarvi che ogni anno le cronache sono costellate da casi più o meno gravi di avvelenamento. Quasi tutte le specie eduli (esclusi forse solo i finferli) possono essere facilmente confuse con altre tossiche: può succedere con russule, vesce, mazze di tamburo e persino porcini.
Non fidatevi di foto, immagini in rete, impressioni personali, consigli di un vecchietto che passava di lì o, peggio ancora, leggende e dicerie. Tipo che se il fungo è mangiucchiato da qualche animaletto del bosco, significa che non è velenoso.
A meno che non siate davvero esperti, affidatevi a chi può darvi un responso sicuro.
4. Non leggere l’etichetta
E veniamo al più rassicurante caso in cui, per fare incetta di funghi, vi rechiate dall’ortolano, al mercato o al super.
Il controllo micologico, che per l’amatore è solo un consiglio, per chi commercializza funghi è un obbligo di legge. L’etichetta deve riportare chi ha “visitato” il prodotto, certificandone la salubrità. Se è facile verificarlo sui funghi confezionati, dal fruttivendolo si può chiedere il documento relativo a quanto esposto nelle cassette. Ed è inutile che vi dica di diffidare dei venditori improvvisati ai bordi delle strade, vero?
5. Sottovalutare la provenienza
L’etichetta deve riportare anche l’origine dei funghi. Molti di quelli che trovate in commercio in città arrivano dall’Est Europa: dalla vicina Slovenia, ma anche da Polonia, Romania, Bulgaria, Repubblica Ceca.
La grande distribuzione e i commercianti onesti non ve lo nasconderanno, mentre qualche “furbetto” potrebbe omettere l’informazione. Se avete dubbi, non esitate a chiedere il documento di cui sopra che certifica la provenienza di quel che state acquistando.
Perché è chiaro che, per giungere in negozio a Milano, un cestino di cantarelli altoatesini avrà fatto meno strada del suo omologo polacco, e i funghi deperiscono rapidamente, oltre a perdere profumo man mano che il tempo passa.
Oltre a ciò, c’è una delicata questione di sfruttamento della manodopera che, in alcuni Paesi (per esempio, nella regione dei Carpazi), è una vera e propria piaga. Insomma, prima di cedere alla gola, sarebbe il caso di porsi qualche problema etico.
6. Non saper riconoscere la qualità
Non c’è bisogno di essere grandi esperti per riconoscere i funghi “a naso”. Infatti, un profumo intenso, di bosco, fresco e “umido” (per quanto possa apparire “umido” un aroma) indica che state facendo un buon acquisto, a prescindere dalla provenienza.
Altro segnale da non sottovalutare è la compattezza: gambi o cappelli grinzosi e asciutti sono da scartare, così come i funghi che appaiono eccessivamente leggeri. Infatti, il peso cala man mano che il fungo invecchia e l’acqua, di cui è composto in massima parte (più del 90%), evapora.
Piccole rosicchiature qua e là sono fisiologiche, ma se i morsi sono grandi e numerosi meglio lasciar perdere. Così come i funghi che presentano ampie parti mollicce e marciumi vari.
7. Essere superficiali
Comprate i funghi in una vaschetta confezionata? Badate a quel che c’è sotto: potrebbe accadere che in cima ci siano begli esemplari grossi e intatti che celano, però, briciole smangiucchiate e gambetti sottili.
Sempre a proposito di confezione, se è avvolta nel cellophane, non deve esserci eccessiva condensa all’interno. Comunque, sempre meglio acquistare funghi sfusi o avvolti in retine.
Diffidate anche degli esemplari molto sporchi. Se non altro, perché pulirli è sempre abbastanza noioso, come vado a spiegarvi.
8. Pulirli male
Il terriccio è il nemico perché, se non lo eliminate bene, ve lo ritrovate nel piatto. Il fastidio sarà lo stesso della sabbia nelle vongole: un sinistro scricchiolio sotto i denti, oltre a un antipatico gusto fango.
Quello alla base dei gambi si raschia con un coltellino tenendo la mano molto leggera. Se abbondante, meglio scorciare i gambi, operazione peraltro necessaria con alcune specie, come finferli di grandi dimensioni e chiodini, che hanno la parte finale fibrosa e dura.
I cappelli si puliscono passandoli delicatamente con un panno o con carta da cucina inumiditi. Potete anche spazzolarli con uno spazzolino a setole morbidissime (tipo uno spazzolino da denti per neonati).
Solo in casi estremi (per esempio, terriccio fra le lamelle) potete sciacquare rapidamente i funghi passandoli sotto un filo (ma un filo davvero) di acqua corrente fredda.
Vietato metterli a bagno: i funghi sono come spugne, si impregnano d’acqua e perdono sapore. Fra l’altro, in cottura rilasceranno abbondante liquido di loro: come dicevamo, sono composti d’acqua per più del 90% ed è meglio non incrementare questa percentuale lasciandogli assorbire quella dell’ammollo.
9. Cuocerli a lungo
Ovoli e porcini, deliziosi crudi (soprattutto i primi, leccornia da gourmand), se sottoposti a cottura devono stare in padella solo pochi minuti. Il tegame ben caldo e la fiamma alta permetteranno di rosolarli senza che l’acqua di cui al punto precedente crei un laghetto in cui i nostri crogiolerebbero lessandosi e risultando mollicci.
I cappelli dei boleti sono ottimi anche passati sulla piastra caldissima oppure impanati e fritti, ricetta perfetta anche per vesce e mazze di tamburo.
Un po’ più lunga, e a calore più dolce, la cottura dei finferli e dei chiodini, che in genere si cucinano in umido per una quindicina di minuti o poco più.
Se volete fare un risotto coi funghi, non vi venga in mente di metterli in casseruola sin dall’inizio: cuocerebbero troppo risultando gommosi. Nel caso dei porcini, saltateli nella pentola, teneteli da parte, preparate nello stesso recipiente il risotto e riuniteli negli ultimi 2-3 minuti. Oppure, fate un risotto bianco e mantecatelo alla fine con un sugo di gallinacci.
10. Elaborarli troppo
Attenzione ai condimenti. Per via della consistenza spugnosa, tendono a inzupparsi d’olio, che poi rilasciano impietosamente nel piatto, un po’ come fanno le melanzane. La loro struttura sconsiglia anche l’aggiunta di liquidi, che sia una sfumata di brodo o una spruzzata di vino. E per evitare che caccino più acqua di quel che già faranno naturalmente, salateli solo a fuoco spento.
Naturalmente profumati e aromatici, più li lasciate al naturale meglio è. Un pizzico di erbe (timo, alloro, prezzemolo, salvia, rosmarino), uno spicchietto d’aglio, una punta di peperoncino, poco pomodoro per “tocchi” e intingoli in umido sono tutto quel che serve per esaltare il profumo del bosco, senza coprirlo.