Dove collocate idealmente il pollo arrosto? Probabilmente, sulla tavola della domenica, simbolo commestibile dell’unità familiare, ma anche specchio delle sue dinamiche.
Quante lotte tra fratelli per chi si potesse aggiudicare la coscia! Mentre mamma si serviva solo una fettina di petto senza pelle (sai, la linea, ammiccava a papà). E nonna, zitta zitta, si ritagliava il boccone del prete, e mangiava solo quello sostenendo fiera che fosse il meglio del meglio, in realtà per non privare figlio e nipoti del resto del succulento volatile.
Scommetto che ognuno di voi ha aneddoti uguali o diversi sul rito casalingo del pollo arrosto. E non sto parlando di quello, peraltro delizioso, di rosticceria (che mi ha salvato la vita, fra l’altro, durante un paio di traslochi, quando la cucina non era ancora – o non più – montata).
Ma di quello acquistato fresco, condito e cucinato a regola d’arte nel forno (al barbecue è un capitolo a parte)
So che molti di voi hanno già la loro ricetta perfetta. Del resto, per dire, ce l’ha anche un grande come Ferran Adrià che la inserì nel libro Il pranzo in famiglia (uscito in Italia per Phaidon nel 2011), dove per famiglia non intendeva moglie e pargoli ma i ragazzi di brigata.
Il supermegachef spagnolo riuniva in un corposo volume, diviso in menu, quel che si cucinava a El Bulli prima dei turni di servizio.
Che è poi quel che si cucina nelle nostre case quando non cediamo alle lusinghe del gastrofighettismo ma vogliamo solo magnà.
Fermo restando che vogliamo mangiare bene e, quindi, evitare gli errori più comuni anche nel fare un semplice pollo arrosto.
1. Afferrare il primo pollo che passa
Mai come in questo caso la qualità è importante. Un pollo di batteria, pallido e molliccio, perde su tutta la linea se confrontato a un pollo bio “ruspante”, allevato con tutti i crismi, ben pasciuto e libero di sgambettare e sviluppare i muscoli.
Il pollo industriale preso al volo al super è acquoso e rende il sugo una brodaglia trasparente. La carne si spappola sotto i denti e quando afferrate la coscia vi resta l’osso in mano.
Quello ruspante è colorito già da crudo, ha la giusta quantità di grasso sottocutaneo, che ammorbidisce la carne e rende croccante la pelle, mai troppo fina. E quando lo andate a mangiare, che usiate coltello e forchetta o le mani, dovete un po’ lavorare per staccare i bocconi, ma che soddisfazione!
Perché è vero che il pollo è pronto quando la carne si ritira dagli ossi e se ne stacca facilmente, ma facilmente non significa appena la sfiorate.
Al contrario, una certa tenacità è garanzia che avete acquistato un buon prodotto.
Dosi. Posto che Ferran Adrià per 4 persone consiglia un pollo da 2 chili, io vi dico che, in generale, un pollo si taglia in 6 parti (2 cosce con il loro sottocoscia, 2 ali con la loro parte di petto, i 2 mezzi petti restanti) e quindi – quale che sia il suo peso – è giusto per 6 persone, 7 se c’è nonna che si accontenta del boccone del prete.
2. Non condirlo a sufficienza
Potete fare come lo chef spagnolo, che cosparge l’esterno – ben oliato e salato – con scorza di limone e una polvere fine di alloro, rosmarino, timo e pepe.
Potete fare come i francesi, strofinarlo di aglio e ungerlo con burro fuso.
Ma va bene anche il solo olio, massaggiato insieme al sale raggiungendo anche le pieghe sotto le ali e le cosce.
Come sapete, il pollo ha una cavità. Che può essere semplicemente salata e pepata (fatelo prima di condire l’esterno), oppure accogliere ingredienti aromatici.
Vi siete appassionati al metodo Adrià? Metteteci spicchi di limone (lo stesso di cui avete grattugiato la scorza) e un paio di aglio vestiti. Ma non privatevi della libertà di infilarci rametti di salvia e rosmarino o di quel che vi piace di più.
3. Lasciarlo languire nel fondo
Arriviamo al momento del forno. Che deve essere già caldo. Molto caldo. Adrià indica 220°, che potete abbassare a 210° se usate la funzione ventilata che io prediligo: è vero che tende un po’ a seccare, ma potete sempre irrorare la bestia con il suo fondo di cottura, per mantenerla morbida.
Il fondo di cottura: questo sì che può essere un problema. Perché se mettete il pollo nella teglia e non ve ne occupate più, i succhi che rilascia creano sul fondo una pozza che, fatalmente, rende la base del pollo lessa e molle.
Due le soluzioni.
La prima, di Adrià: cuocete il pollo per i primi 25 minuti con il petto verso il basso, poi giratelo a petto in su per i restanti 35 minuti circa (i tempi, secondo me, sono per un pollo di circa 1,8 chili, naturalmente aggiustabili in base al vostro forno/pollo).
La seconda, di FRM: disponete il pollo su una griglia, posta sopra alla teglia o alla leccarda, in modo che i succhi si raccolgano sotto.
Unendo le due tecniche (sulla griglia a petto in giù, poi a petto in su) si ottengono i risultati migliori.
Certo, a meno che non abbiate (e sappiate usare) il girarrosto. O quegli aggeggi in coccio che sembrano un sombrero messicano, sulla cui punta infilare il pollo che così sgocciola sugo senza entrarvi mai in contatto.
Sì, c’è anche la variante yankee con la lattina di birra, con cui “impalare” il volatile: qualcuno l’ha mai testata?
4. Non ridurre il sughetto
Quale che sia la tecnica di cottura scelta, alla fine sul fondo della teglia si sarà formando un abbondante fondo. A questo punto, occorre togliere il pollo dal tegame e tenerlo in caldo: mettetelo in un piatto coperto da alluminio, ma senza stringerlo, per non creare l’effetto sauna che fa perdere croccantezza.
Poi, come insegna il maestro Adrià, deglassate il fondo sulla fiamma con qualche cucchiaio di vino bianco e acqua, fate ridurre e, se proprio volete una cosa elegante, filtrate al colino cinese. Ma anche no.
5. Dimenticare le patate
Non c’è pollo arrosto senza patate al forno. Io non amo farle nella stessa teglia, perché finiscono con l’inzupparsi nel fondo e risultare per metà lesse.
Anche in questo aiuta la funzione ventilata del forno, che facendo circolare il calore permette che cuociano anche se la loro teglia è sotto a quella del pollo.
Basterà portarle in alto (magari a grill acceso), mentre rifinite la salsa, per dare loro la botta di colore finale.
Poi, potete sempre fare come Ferran, che serve il pollo – quello stesso preparato con tanta cura e amore – accompagnato da patatine a fiammifero nel sacchetto.
Del resto lui, con le patatine in busta, fa anche (nello stesso libro) una omelette. Insomma, Carlo Cracco non si è inventato nulla – ma almeno, la San Carlo lo ha pagato!