Sabato scorso ho espresso un desiderio: che il clima invernale continui a essere mite, ma non troppo.
Avevo appena scodellato la prima polenta del 2019, e consuetudine vuole che quando si mangia qualcosa per la prima volta nell’anno, si esprima un desiderio.
[Lasagne di polenta: parlami d’amore ragù]
[Con la polenta taragna, fritta, concia, al forno o carbonera ci togliamo la voglia]
Chissà se, adesso che l’ho dichiarato a tutti, si avvererà. Vabbè, vorrà dire che farà freddo. Mi consolerò portando in tavola più spesso la gialla.
A patto che la ricetta della polenta venga preparata come si deve, evitando gli errori che spesso la corrompono irrimediabilmente. Come questi.
1) No, non esiste una sola polenta
Vivo forse nell’equivoco che in regioni come Sicilia, Sardegna, Puglia non abbiano idea di cosa sia la polenta, tutt’al più considerata cibo esotico alla stregua di –per dire– curry, sushi, fajitas.
Certo, non sarà un caso se il meridionale apostrofa il settentrionale col termine di polentone. Naturalmente, sono qui per ricevere le vostre smentite. E per fare, a beneficio di tutti, un ripasso delle varietà.
La polenta classica è quella ricavata dalla farina di mais. Il mais può essere giallo o bianco, in uso nel Nordest.
Può essere anche integrale o miscelato con grano saraceno (che non è propriamente un grano, così resta salva la peculiarità della polenta di essere alimento naturalmente privo di glutine), come nella ricetta della polenta taragna, caratterizzata da un sapore leggermente acidulo dato proprio dalla farina scura.
C’è poi la faccenda della grana: grossa è la tradizionale bramata bergamasca, fine la bianca del Triveneto. In mezzo, tutta una serie di sfumature, soprattutto se vi rivolgete a piccole aziende artigianali.
Io, per esempio, in questi giorni sto usando una farina di mais integrale bresciana macinata a pietra non troppo fine, che dà una polenta corposa e sapida.
2) E non esiste un solo modo di cucinarla
Quanta polenta lo vediamo in seguito. Il dubbio che assale i meno esperti, soprattutto se hanno acquistato sacchetti privi di indicazioni precise, è quanta acqua mettere.
Il minimo indispensabile con la classica bramata è 4 volte il peso della farina: così, otterrete una polenta ben soda, da tagliare con l’apposito coltello di legno (sull’apposito tagliere di legno, vedi punto 4).
Con le dovute eccezioni, però.
Vogliono più acqua, fino a 5 o addirittura 6 volte il peso, le polente più rustiche e quelle più vecchie (da quanto staziona quel pacchetto nella vostra dispensa?), che ne assorbono maggiormente, così come le più eleganti, servite all’onda e ottime, fra l’altro, con gli umidi di pesce.
L’acqua deve essere portata a bollore e salata. Io amo aggiungere un filo d’olio: dicono aiuti a non far formare grumi, non so se sia vero, ma mi adeguo. Quando bolle, abbassate la fiamma al minimo e versate la farina a pioggia, senza soluzione di continuità, mescolando con cucchiaio di legno o, meglio ancora, con una frusta, utile soprattutto con le macinature più fini.
Se, durante la cottura, la consistenza è più soda di quel che volevate, potete allungare la preparazione con altra acqua, purché bollente e unita poco a poco.
3) Serve la pentola giusta
La polenta si fa nel paiolo di rame. Però, il paiolo di rame costa tanto, ancor più nella versione con pala motorizzata incorporata, e non tutti ce l’hanno (fra l’altro, non va sull’induzione e chi ha una cucina moderna è nei guai).
Potete egregiamente sostituirlo con una capace casseruola antiaderente a fondo spesso (o sistemata su una retina spargifiamma). Non vi si formerà la deliziosa crosticina sottile, di polenta attaccata su fondo e pareti, che da bambini noi ci litigavamo. In compenso potrete rimestare un po’ meno spesso.
Che lo sapete, vero, che la polenta va rimescolata di continuo?
4) L’illusione di accorciare i tempi
La polenta cuoce mediamente in 40-50 minuti. Sempre con le dovute eccezioni: le più fini velocizzano un po’, le più grossolane allungano leggermente. Quindi, calcolate i tempi per averla pronta al momento di andare in tavola, insieme al resto. La buona notizia è che se è cotta con una decina di minuti in anticipo, tenerla in caldo è semplicissimo.
Coprite con un canovaccio l’apposito piatto di legno (o di quel che volete – va bene anche un tagliere), versatevi la polenta bollente, chiudete il canovaccio a fagotto e lasciate in attesa (non troppo, eh!) finché il resto del menu è in tavola.
Certo, 50 minuti sono tanto, sono quasi un’ora. Ma polente a cottura rapida o (orrore!) panetti pronti sottovuoto non sono contemplati. Almeno per me.
5) La quantità conta
Se la polenta è destinata a fare da accompagnamento a stufati e compagnia, il classico pacchetto da 500 grammi nutre agevolmente 6 persone.
Un poco meno (diciamo 350-400 grammi, sempre per 6) per le versioni arricchite da formaggio, come la concia valtellinese con la Fontina o la già citata taragna, che nel bergamasco si fa col Branzi, in Valtellina col Bitto.
Vi direi di calcolare circa 100 g di formaggio a persona, ma non vorrei essere accusata di braccino corto.
Se, infatti, questo dicono le regole generali, è sempre possibile, anzi, consigliabile, abbondare. Soprattutto nella versione liscia. Sia perché gli appassionati se ne serviranno più e più volte (mi passate un paragone arduo con le ciliegie?) sia perché è fra gli alimenti più riciclabili della tradizione.
Insomma, se ne avanza, non abbiate paura. Il giorno dopo potrà essere riproposta in mille modi: fritta (delizia assoluta), abbrustolita sulla piastra o sulla griglia e, naturalmente, pasticciata con l’avanzo dello spezzatino, fette di formaggio, burro a volontà.