Luoghi comuni, negligenza e deduzioni scientifiche provvisorie: così le leggende metropolitane prosperano, specie quando si parla di pizza napoletana, la mitica tonda tipica tanto difficile da replicare a casa, di cui oggi abbiamo l’arroganza di fornirvi la ricetta completa.
Sei passaggi per la preparazione (impastamento, puntata, staglio, appretto, stesura, cottura), più tutti i consigli che possiate desiderare per sciogliere dubbi riguardo a farine, ingredienti da utilizzarsi (lievito di birra, capiamoci subito), tempistiche e forno ideale, l’annosa questione dei forni.
Orgoglio nazionale e patrimonio dell’Unesco, marciamo a passo spedito verso la ricetta completa della pizza napoletana fatta in casa, nella sua più insuperabile versione. Sua maestà la margherita, naturalmente.
La pizza napoletana: una definizione
Al solito, cominciamo chiarendoci le idee su cos’è e cosa non è la pizza napoletana.
Simbolo del Made in Italy e vera ossessione nazionale, questa specifica tipologia è storia e orgoglio dei pizzaioli napoletani, la cui arte è stata inserita ufficialmente il 7 Dicembre 2017 nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità.
Le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
La sua prima comparsa può esser fatta risalire a un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725: Vincenzo Corrado, cuoco del principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sui cibi più comunemente presenti a Napoli dichiarò che il pomodoro veniva impiegato per condire la pizza e i maccheroni.
In quello stesso secolo, comparvero le prime vere pizzerie.
La descrizione reperibile nel disciplinare dell’Associazione Verace Pizza Napoletana può essere riassunta come segue: la pizza napoletana è un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno, tra quelle della platea e della volta per quanto riguarda il forno a legna, dai 380 ai 485 °C, per un tempo che oscilla tra i 60 e i 90 secondi. Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura, morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su sé stessa a portafoglio o libretto. L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il famoso cornicione), la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.
Forno a legna o a gas?
Pizza Napoletana – Cottura in forno a legna
Pizza Napoletana – Cottura in forno elettrico
Appare quindi evidente quello che per anni è stato il primo grosso limite nel replicare in casa questa tipologia di pizza: la temperatura.
Fissiamo quindi questo paletto una volta per tutte: la pizza napoletana nel forno di casa non si può fare. Occorre ribadirlo al fine di evitare fraintendimenti: una pizza realizzata allo stesso modo dall’impasto alle fasi di riposo, dalla stesura alla farcitura ma cotta a 250 °C non è definibile napoletana, in quanto non rispetta le sue caratteristiche distintive.
Chiariamoci, sarà anche la pizza più buona del mondo, ma è una pizza tonda, non una napoletana.
Quali sono quindi gli strumenti che consentono di sfornare questo prodotto tanto amato?
La tradizione vuole l’utilizzo del forno a legna, l’unico che fino a qualche decennio fa era in grado di raggiungere le proibitive temperature e la trasmissione di calore necessaria per realizzare una perfetta verace pizza napoletana, grazie alla spinta esercitata dal piano refrattario e ad una volta in grado di generare un irraggiamento sufficiente alla cottura rapida richiesta.
E’ ancora così?
Assolutamente no: oggi le stesse condizioni sono replicabili perfettamente in uno dei tanti modelli di forni a gas o elettrici presenti sul mercato, il cui irraggiamento, conduzione e convezione di calore siano progettati a dovere, risultando per altro decisamente più comodi e immediati da utilizzare.
Per quanto romantico possa essere il caro, vecchio forno a legna, la sua gestione merita qualche attenzione in più per mantenere la fiamma sempre alta e la temperatura costante, e senza una mano esperta il vostro prodotto potrebbe non essere così facile da replicare.
E no, non conferisce un magico sapore caratterizzante alla pizza, questa è una leggenda metropolitana: i 60 secondi necessari a cuocere una napoletana non sono neanche lontanamente sufficienti a permettere al semilavorato di catturare gli odori del fumo. E anzi, se così fosse meglio allarmarsi, in quanto potrebbe essere sintomo di legna umida, sporca e non stagionata, responsabile quindi della generazione di fumo nocivo e non certo a norma HACCP.
La farina
Al solito, la scelta degli ingredienti deve basarsi unicamente sul tipo di risultato che intendiamo ottenere.
Un discorso che vale soprattutto per la farina, elemento principale di tutto il processo pizza.
La napoletana nasce come un prodotto realizzato con basse idratazioni, farine medio-deboli (220-240 W), pochissimo lievito e un quantitativo importante di sale utile per stabilizzare lievitazioni corte condotte prettamente a temperatura ambiente; un tempo infatti non esistevano certo celle frigorifere o camere a temperatura controllata, e le uniche farine disponibili erano i grani italiani tipicamente poveri di glutine.
Oggi le cose sono decisamente cambiate; abbiamo a disposizione farine di qualsiasi tipologia, adatte a qualsivoglia scopo, coltivate e macinate nel nostro paese.
Ma soprattutto i laboratori delle pizzerie e le nostre case sono dotate di frigoriferi e, nella maggior parte dei casi, di macchine per impastare; perché non sfruttare il progresso tecnologico quando ci torna utile per stabilizzare le variabili?
Perché dovremmo per forza lasciarci convincere dai professionisti che parlano di “punto di pasta” o “l’impasto a occhio”, quando pesando tutto e lavorando per consapevolezza azzeriamo il rischio di commettere errori inutili?
Per adattarci ai tempi e alla concezione di un “prodotto moderno”, il metodo e la ricetta proposti in questa sede si riferiscono quindi all’uso del frigorifero o di una cella, alzando sia il W che l’idratazione, mantenendo costante il lievito e riducendo il sale.
Cosa significa “prodotto moderno”? Una pizza leggera, tecnica ma semplice, calibrata, standardizzabile e digeribile; oggi mangiare non può significare semplicemente riempirsi la pancia, ma vivere un’esperienza sensoriale e gratificante.
La tipologia principalmente utilizzata per la produzione di napoletana è la 00 di grano tenero, in quanto l’impasto deve risultare fortemente estensibile, deve poter essere tirato a mano fino ad ottenere una sezione di pochi millimetri senza rompersi, e svilupparsi in concomitanza del cornicione; al contempo deve anche risultare scioglievole al morso e mai tenace in bocca, quindi l’utilizzo di farine troppo forti o di idratazioni molto elevate è altamente sconsigliato, perché potrebbero rivelarsi difficoltose sia nella stesura sia nella cottura.
Crusca e fibre presenti nelle farine integrali e semi-integrali, nonostante il profilo nutrizionale e i sapori più marcati, trattengono l’umidità e ostacolano in parte la formazione del glutine.
Realizzare una napoletana con farine “alternative” non è impossibile né tantomeno vietato, chiariamoci, ma potrebbe risultare più complesso specie in presenza di una materia prima non particolarmente performante.
I tempi
A confronto con un altro mostro sacro come la teglia romana, la realizzazione dell’impasto della napoletana è ben più semplice, complice la minore idratazione che consente di ottenere un ottimo risultato anche a mano.
Ciò che fa davvero la differenza è l’equilibrio delle diverse fasi di maturazione e lievitazione, che devono essere bilanciate in relazione alle caratteristiche del prodotto finito; un panetto perfetto e pronto alla stesura dovrà essere facilmente estensibile senza arrivare a rottura, ma soprattutto dovrà avere una distribuzione di gas equilibrata, per poterli spingere verso il bordo con estrema semplicità.
Niente bolloni per intenderci.
Per questo motivo solitamente l’appretto (o seconda lievitazione) è più lungo e viene effettuato a temperature che non superino i 20-22 °C, in modo da far lavorare i lieviti lentamente e in maniera meno violenta.
In sintesi, l’importante è che le fasi di riposo (puntata e appretto) vengano svolte con tempi e temperare corrette, per le quali potreste dover condurre qualche sessione di test nei vostri ambienti di lavoro prima di trovare la quadra.
La panificazione richiede pazienza, costanza, passione e dedizione.
Lievito e sale
Lo scopo del sale non è solo quello di conferire sapidità, ma di migliorare sensibilmente le caratteristiche della maglia glutinica, oltre a stabilizzare la lievitazione durante i tempi lunghi di appretto richiesti; per questo motivo il quantitativo è leggermente superiore a quello di una teglia romana.
La funzione dei lieviti è invece quella di nutrirsi degli zuccheri dell’impasto, producendo peraltro l’anidride carbonica che fa gonfiare il semilavorato.
Tradizionalmente, la pizza napoletana viene realizzata mediante l’uso di lievito di birra (Saccharomyces Cerevisiae) fresco, acquistabile solitamente in cubetti da 25gr., o secco, in rapporto di 1/3 rispetto al fresco.
Niente lievito madre, non vi è di alcuna utilità per questo tipo di prodotto.
Conferisce struttura, ma avete una sezione di 2 millimetri scarsi. Allunga la shelf-life, ma ve la pappate in 2 secondi netti. Conferisce sapore, ma avete un cornicione vuoto e una sezione di 2 millimetri, sovrastata da ingredienti.
Per concludere, richiede infine rinfreschi bilanciati e regolari, e quindi paradossalmente il mantenimento è molto più semplice per un professionista che per un amatore; senza un lievito madre in perfette condizioni i risultati saranno spesso altalenanti e sarà difficile comprendere la causa di determinati risultati non voluti.
Un paio di grammi di lievito di birra fresco, tempi di maturazione bilanciati e passa la paura.
Ingredienti
Per 7 pizze da 32cm
Per l’impasto:
- 1 kg di farina di grano tenero di tipo 00 (300 W);
- 650 g di acqua;
- 28 g di sale fino;
- 2 g di lievito di birra fresco.
Per la farcitura:
- Pomodoro San Marzano DOP dell’Agro Sarnese-Nocerino;
- Fiordilatte di Agerola;
- Basilico fresco;
- Olio extravergine di oliva.
Impastamento
La fase di impastamento può essere eseguita sia a mano che per mezzo di una planetaria o di un’impastatrice professionale.
Sciogliete il lievito nell’acqua e versatene il 2/3 nella farina man mano, attendendo che la precedente venga assorbita prima di aggiungerne altra.
Verso la fine mettete il sale, per poi continuare fino ad aver esaurito l’acqua prevista. Terminato l’impastamento, trasferite sul piano e chiudete in pagnotta, ripiegandolo su sé stesso 3 o 4 volte ogni 10-15 minuti. Il risultato deve essere una forma liscia, uniforme, asciutta e ad una temperatura di almeno 24 °C.
Riponete quindi in un recipiente unto di olio a temperatura ambiente (20-24 °C) per circa 4 ore, in modo che parta la lievitazione; tale prerequisito è di fondamentale importanza soprattutto per gli impasti diretti casalinghi in quanto, considerando le moli decisamente inferiori al contesto professionale, posizionare il tutto in frigorifero troppo presto potrebbe bloccare l’impasto, impedendo ai lieviti di svolgere la loro preziosa funzione.
Puntata
Trascorse le 4 ore, si ripiega nuovamente l’impasto e lo si ripone con il contenitore in frigorifero a 4-6 °C per 24 ore. In questa fase l’impasto matura, cresce verso l’alto e la maglia glutinica si stabilizza.
Staglio
Trascorsa la puntata, riprendete l’impasto e porzionatelo nei pesi desiderati, in questo caso in sette parti uguali che saranno di circa 235-240g.
Il contenitore migliore per l’appretto è la classica cassetta in plastica con coperchio, ormai reperibile facilmente; posizionateli all’interno a distanza ravvicinata in modo che si sorreggano da soli dandosi forza.
Come dei veri fratellini.
Appretto
Durante lo staglio l’impasto viene manipolato, i lieviti ridistribuiti e la maglia glutinica rafforzata. Lo scopo dell’appretto è quello di rendere possibile l’ultima lievitazione e maturazione, oltre a permettere l’estensibilità necessaria alla stesura.
Lasciateli a dormire per 6-8 ore a una temperatura di 20-22 °C (o in frigorifero per altre 24 ore) e attendete la magia.
Stesura
Rendere un soffice e morbido panetto sottile come un foglio di carta non è semplicissimo e richiede parecchia pratica.
La prerogativa però è che l’impasto arrivi al punto giusto, ben lievitato ma soprattutto estensibile e asciutto, in modo che non si attacchi mentre lo allargate.
Immergetelo in un cumulo di semola rimacinata di grano duro ben setacciata (riduce l’attrito e in cottura tosta donando sapore) e schiacciate con le dita dal centro verso il bordo per spostare l’aria, lasciando circa 1-1.5 cm in modo da formare il cosiddetto “cornicione”.
Le prime volte potete proseguire in questo modo, capovolgendo il panetto fino ad aver quasi ottenuto la dimensione finale, diciamo per circa i 3/4 del totale; questo perché con l’umidità degli ingredienti aggiunti in fase di farcitura si allargherà ulteriormente, facilitandovi il lavoro.
Se siete più abili, potete usare la tecnica dello schiaffo cara ai partenopei, tanto ardua quanto rapida ed efficace, ma molto difficile da spiegare a parole.
Sostanzialmente consiste nel tirare un lembo di pasta con la mano sinistra, capovolgerlo sul braccio destro, per poi dare uno schiaffo con la mano riportando il disco sul piano mentre si imprime una rotazione di 90 gradi.
Se vi è venuto mal di testa, lasciatelo fare ai pizzaioli.
Spolverate leggermente il piano con giusto un velo di semola, quel tanto che basta per non farla attaccare, e preparatevi al condimento.
Farcitura
Una buona mise en place è un’ottima pratica per quanto riguarda la realizzazione della napoletana; tenete presente infatti che più il disco di pasta rimane sul banco più aumenta il rischio che si attacchi o si rompa, rovinandovi il lavoro.
Avere tutti gli ingredienti pronti davanti a voi potrebbe salvarvi la vita.
Per stavolta semplifichiamo le cose e puntiamo al massimo godimento: degli ottimi pelati San Marzano schiacciati a mano per non alterarne le caratteristiche organolettiche, del fiordilatte tagliato a listarelle, del basilico fresco ben lavato e un filo di olio extravergine di oliva.
In via opzionale, potete anche prepararvi una manciata di parmigiano e/o pecorino da aggiungere prima della cottura.
Con un mestolo largo posate circa 100g di pomodoro al centro, per poi distribuirlo a spirale verso l’esterno del disco lasciando in pace il cornicione, che dovrà gonfiarsi e fungere anche da corona per gli ingredienti.
Mettete il basilico (che sotto la mozzarella eviterà di bruciarsi), 80g di fiordilatte e infine un giro d’olio.
Cottura
Trasportate con le dita la pizza sulla pala leggermente infarinata, ridategli una forma tonda coprendo tutta la superficie, e infornatela nel vostro potente mezzo.
Abbiamo già ribadito quanto, a parità di temperatura, conduzione, irraggiamento e convezione di calore, utilizzare un forno a legna, a gas o elettrico sia pressoché identico per la riuscita del prodotto.
Nel caso abbiate un forno elettrico performante, impostate la temperatura a 480 °C con il 100% di potenza dal cielo e il 5-10% di potenza dalla platea; con un forno a legna o a gas, attendete che il termometro arrivi a 450-480 °C.
In entrambi i contesti verificate con un termometro laser che la platea sia almeno intorno ai 420-430 °C.
In caso contrario la pizza sarà cotta sopra ma non sotto; ricordatevi che la difficoltà maggiore nella gestione di una napoletana sta nel mantenere un equilibrio tra le due componenti di cottura, conduzione (tramite il piano refrattario) e irraggiamento (tramite la camera, la fiamma o le resistenze).
Con un movimento deciso infornate la pizza e controllatela a vista.
In un forno a legna o a gas, considerando che la sorgente di calore diretto è puntuale e localizzata sul fianco, dovrete girarla spesso per ottenere una cottura uniforme, ma attendete circa 30 secondi altrimenti rischiate di bucare la base con il palino.
Nel forno elettrico al contrario, spesso le resistenze sono disegnate in modo tale da evitare tale processo, o perlomeno di limitarlo a una girata di 180 gradi; con temperature così alte e tempi di cottura così brevi infatti, anche solo il risparmio di quei pochi secondi di perdita di calore possono fare la differenza.
Tenete sempre conto che difficilmente avrete in casa forni enormi in refrattario, capaci di mantenere le temperature stabili per ore.
Gli strumenti pensati per il contesto domestico sono il più delle volte in acciaio e soprattutto hanno una camera piccola; la distribuzione del calore potrebbe non essere sempre ottimale.
Controllate costantemente la base della pizza, e se risulta troppo avanti rispetto alla parte superiore mantenete alzata la pizza con il palino fino a cottura ultimata.
Quando il prodotto ha raggiunto una colorazione uniforme, dopo circa 90 secondi, sfornatelo, e terminate la farcitura con un ultimo giro di olio EVO e una spolverata di Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi.
Vi fermo subito: i classici puntini da leopardo che notate sulla superficie non sono bruciature o difetti tangibili.
Semplicemente, a causa dello shock termico dovuto alle alte temperature di gestione la reazione di Maillard avviene prima sulle bollicine più piccole ed esterne, dove l’impasto è particolarmente sottile grazie alla maglia glutinica.
E no, non si tratta nemmeno del fantomatico “difetto da panetto freddo”, leggenda metropolitana che abbiamo avuto modo di smentire insieme a Giovanni Tesauro.
Grazie alla rapidissima cottura, la freschezza degli ingredienti rimane pressoché invariata, permettendovi di gustare una margherita aromatica, profumata ed invitante, dove nemmeno l’olio ha raggiunto il suo punto di fumo e sprigiona quindi tutto il suo potenziale organolettico.
Sfornate, impiattate, date un ultimo giro d’olio e godetevi questo capolavoro di artigianalità.
[ Immagini: Alessandro Trezzi | Lorenzo Caccia Photography ]