La pizza bianca “a grip” non è altro che una romana bianca sulla quale, verso fine cottura, si stende uno strato sottile di mozzarella o di un altro formaggio, poi ripassata in forno per raggiungere livelli di croccantezza indicibili.
Oggi vi insegnamo la ricetta, che ho appreso nel periodo più smanettone della mia malattia per la pizza fatta in casa, durante il quale ho ammirato e provato a replicare alcuni lavori di Daniele Papa, che del “metodo a grip” è l’inventore: romano, classe 1985, cuoco, consulente e docente di pizza in teglia, alla pala e tonda, la cui ricetta più nota è una pizza bianca insaporita da creme diverse.
Cosa intendiamo per grip
Grip, dall’inglese, significa “aderenza“. Il nome del metodo fa riferimento proprio all’effetto ottenuto dalla crosta sottile: aderenza, cioè la presa necessaria per trattenere gli altri ingredienti, specie creme, formaggi e verdure applicate prima della cottura in forno. Senza grip, questi ingredienti tenderebbero a mescolarsi rendendo troppo umido l’impasto.
In tal modo invece la pizza, fatta appena rinvenire in forno prima di essere servita, conserva le caratteristiche iniziali ed è possibile mettere in evidenza la farcitura. Un’esigenza, questa, che va perfettamente incontro alla natura della pizza in teglia romana, prodotto tipicamente da banco che, servito anche diverse ore dopo la cottura, deve mantenere il più possibile le caratteristiche iniziali.
I benefici sono notevoli anche nel contesto casalingo. Avete amici a cena? Perfetto, potete preparare il tutto con largo anticipo, per poi rigenerarla e servila al momento con farciture differenti.
La crema d’amido
In genere per una crema di formaggio servono roux, latte o panna.
La classica besciamella insomma, alla quale si aggiunge il formaggio grattugiato. Il problema è che in tal modo le creme risultano pesanti e rischiano di coprire il sapore degli altri ingredienti.
L’idea di Daniele Papa prende spunto da una tecnica molto nota: la mantecatura dell’amido nel risotto. Per preparare la crema si porta l’acqua alla temperatura necessaria per trasformare l’amido in gel (tra i 50 e i 70 °C) con l’aiuto di una certa quantità di farina. Tale gel è poi utilizzabile per ogni tipo di salsa.
Nonostante sia leggera e delicata, questa base trasferisce alle pietanze un piacere simile a quello della mantecatura appena citata.
Dopo averla fatta raffreddare leggermente, si può impiegare in diversi modi.
Una crema cacio e pepe fatta con amido, pecorino e pepe nero macinato, oppure una aglio, olio e peperoncino ottenuta grazie a un’emulsione d’olio, peperoncino e della nostra duttile base.
L’impasto
Il livello successivo è realizzare un impasto dall’idratazione più elevata rispetto al classico 75% che vi ho proposto in altre ricette di pizza alla teglia romana.
Il maggior quantitativo di acqua (gestita in maniera corretta e supportata da un processo e da una cottura adeguati) semplifica le cose al momento del rinvenimento specialmente nei classici forni a incasso casalinghi, evitando che la pizza diventi troppo secca.
L’idratazione per l’impasto di oggi, calcolata sul peso totale della farina impiegata, è dell’85%.
Attenzione però, sono due le condizioni per svolgere un lavoro da vero nerd:
- Una farina dall’assorbimento minimo del 65% (lo trovate scritto nella scheda tecnica, richiedibile al mulino), una delle caratteristiche più importanti che devono influenzare il vostro acquisto di una farina per pizza;
- Una planetaria o, meglio ancora, un’impastatrice a spirale. L’impasto richiede infatti forza e costanza di movimento faticosi da raggiungere a mano, motivo per cui serve l’aiuto di una macchina (che peraltro molti di noi oggi hanno già in casa), al fine di inglobare più aria possibile e di incordare al meglio lo stesso impasto.
Non avete né la farina richiesta né l’impastatrice? Allora rifatevi il mio metodo classico per pizza in teglia romana con il 75% di idratazione.
Cottura e rinvenimento
La digeribilità della pizza, diversamente da quanto si pensa, non dipende tanto dal lievito, dall’idratazione o dalle ore di maturazione, ma dalla cottura.
Una pizza cotta male con una struttura non ancora cristallizzata risulta ben più indigesta di un’altra maturata 96 ore, ve lo posso assicurare.
In un impasto che abbia inglobato molta aria, ben maturato e lievitato, il calore entra meglio assicurando una pizza in teglia con alveoli regolari e ben distribuiti, crosta sottile, morbida all’interno ma croccante fuori.
A guadagnare in questo caso sarà anche il rinvenimento, permettendo un recupero ottimale delle caratteristiche iniziali o addirittura un miglioramento delle stesse.
Ingredienti
Dosi per 3 teglie 30×40:
Per l’impasto:
- 1 kg di farina di grano tenero di tipo 1 (320W);
- 850 g di acqua;
- 25 g di sale fino;
- 5/10 g di lievito di birra fresco.
Per la crema:
- 500 g di acqua;
- 100 g di farina;
- Pecorino q.b;
- Pepe nero macinato q.b.
Per la farcitura:
- Guanciale tagliato fine;
- Pomodorini datterino;
- Mozzarella;
- Pecorino q.b.
- Pepe nero macinato q.b.
Preparazione della crema cacio e pepe
Scaldate l’acqua tra i 50 e i 70 °C, dopodiché setacciate al suo interno la farina, mescolando bene con la frusta per evitare la formazione di grumi.
Attendete che il composto sia sceso almeno a 30 °C e aggiungete del pepe nero macinato e del pecorino grattugiato a piacimento fino a consistenza desiderata.
Impastamento
La fase di impastamento, è fondamentale che avvenga con l’ausilio di una macchina, come un’impastatrice a spirale o una planetaria dotata di foglia e gancio.
A causa dell’elevata idratazione infatti, è impossibile ottenere un risultato degno con il solo aiuto delle mani, e soprattutto senza il supporto di un’ottima farina con un assorbimento minimo di almeno il 65%; se dovessero mancarvi uno solo di questi requisiti, tenete per buono l’impasto già visto al 75% di idratazione.
Cominciate sciogliendo il lievito in un bicchiere dell’acqua della ricetta e aggiungete l’acqua nella farina man mano, solo quando la precedente è stata perfettamente assorbita.
Per lavorare al meglio con la planetaria l’acqua deve essere fredda da frigorifero, in modo che l’impasto possa sopportare un tempo più lungo di lavorazione e formazione del glutine senza eccedere dai 27 °C.
Una simile accortezza non è necessaria per l’impastatrice a spirale moderna, che di norma scalda molto meno di una planetaria.
Dopo aver aggiunto circa i 2/3 dell’acqua aggiungete il sale, per poi continuare fino ad aver esaurito l’acqua prevista.
Terminato l’impastamento trasferite sul piano e chiudete per formare una pagnotta, ripiegandola su sé stessa fino a ottenere una forma liscia, uniforme, asciutta e ad una temperatura di almeno 26 °C.
Riponete quindi in un recipiente unto di olio a temperatura ambiente (20-24 °C) per circa 2 ore, in modo di consentire alla lievitazione di partire adeguatamente.
Puntata
Trascorse le 2 ore ripiegate nuovamente l’impasto e riponetelo con il contenitore in frigorifero a 6 °C per almeno 24 ore, o comunque per un tempo che dipenda dalla vostra disponibilità, senza però eccedere dalle 48.
In questa fase l’impasto matura e la maglia glutinica si stabilizza, formando la struttura finale del vostro semilavorato.
Staglio
Trascorse le ore della fase precedente, riprendete l’impasto e porzionatelo nei pesi desiderati, in questo caso in tre parti uguali, una per ogni teglia.
Fate molta attenzione a formare i panetti conservando tutta l’aria faticosamente generata durante la puntata.
Posizionate le pagnotte in recipienti unti o in una cassetta di lievitazione.
Appretto
Lo scopo dell’appretto è quello di rendere possibile l’ultima lievitazione e maturazione, oltre a permettere l’estensibilità necessaria alla stesura, di fondamentale importanza per stressare il meno possibile il vostro panetto e conservare tutta l’aria sviluppata durante le fasi di lievitazione.
Lasciate quindi il tutto a temperatura ambiente (20-24 °C) per 4-6 ore, fino a quando le pagnotte non saranno raddoppiate e perfettamente rilassate.
Mi raccomando, ho detto rilassate, non collassate.
Stesura
Ribaltate il panetto su una superficie cosparsa di semola rimacinata di grano duro, che diminuisce l’attrito con il piano di lavoro e in cottura tosta conferendo sapore.
Dopo aver infarinato anche la parte superiore della massa, premete delicatamente con l’ultima falange delle dita, spingendo l’aria che allargherà piano piano l’impasto fino a quando la forma non sarà indicativamente larga circa i 2/3 della superficie della teglia.
A questo punto caricate la massa sull’avambraccio, scrollate la farina in eccesso e adagiatela sulla teglia precedentemente spennellata con poco olio.
Allargate poi tutti i lembi, portandoli adiacenti al bordo, fino a stesura ultimata.
Cottura
Per ottimizzare al meglio la cottura in presenza di un’idratazione così elevata, l’impasto deve poter asciugare di tutta l’umidità residua accumulata al suo interno.
Se avete la fortuna di possedere un forno professionale per pizza, lavorate quindi a temperatura leggermente più bassa della norma, cuocendo a 300 °C in camera, con il 100% della potenza in platea e il 30% della potenza al cielo.
Se lavorate invece con il caro, vecchio forno a incasso casalingo, preriscaldate semplicemente alla massima temperatura (250-270 °C) in modalità statica, per poi infornare con la teglia a contatto con il pavimento, non prima di aver dato un giro di olio per agevolare la reazione di Maillard, specialmente sui bordi.
Quando la base è ben colorata, toglietela e trasferitela sotto la resistenza superiore fino al raggiungimento della doratura superficiale.
A circa due minuti dal termine della cottura, adagiate sulla vostra meravigliosa teglia la mozzarella a fette sottili avendo cura che siano perfettamente asciutte; in caso contrario sarà impossibile farle divenire croccanti.
In questa fase potete anche aggiungere un piccolo sprint, distribuendo qualche grammo di peperoncino tritato sopra allo strato di formaggio.
Ripassate quindi in forno fino a ottenere il risultato ottimale, sfornate e adagiate su una griglia rialzata per asciugare e raffreddare.
Terminate la farcitura con qualche spennellata di crema Cacio e Pepe, del guanciale reso croccante in padella, qualche pomodorino datterino e un ultimo tocco di pecorino e pepe nero per chiudere in bellezza.
Tagliate, azzannate e godete.
[Crediti: Daniele Papa, Giovanni Tesauro, Gabriele Raimondi]