Sembra che le donne, geneticamente, percepiscano il gusto piccante più intensamente degli uomini e, quindi, lo amino meno. Avuta questa informazione, mi sono trovata a riflettere su quanto sia sviluppata la mia parte maschile.
Perché adoro il peperoncino. In tutte le sue forme: fresco a rondelle, secco in polvere, in pasta e in salsa. Un ingrediente che metterei (di fatto, metto) un po’ ovunque ma che presenta tantissime insidie. Come i 5 errori, i più comuni, che vado a elencarvi.
1. Pensare che i calabresi siano i più forti al mondo
Sono buoni, certo. Piccanti, non c’è dubbio. Ma nella scala Scoville, quella che misura il grado di intensità dei peperoncini, i calabresi sono abbastanza in basso: fra le 15mila e le 30mila unità. Per intenderci, la capsaicina, che è il principio attivo piccante, pura arriva a 16 milioni di unità. L’americano Carolina Riper, probabilmente il più piccante al mondo, sembra raggiunga i 2 milioni, anche se il dato è controverso fra gli esperti, ma insomma, l’ordine di grandezza è quello. L’Habanero giallo messicano sfiora le 500mila.
Solo esempi. Da cui se ne ricava, però, che nonostante generazioni cresciute orgogliosamente a ‘nduja, sgranocchiando diavolilli a colazione (ma anche pappacelli campani), spiace dirlo ma non siete voi i campioni. Vi battono alla grande i sudamericani (del resto, il peperoncino sembra sia originario della Bolivia) e gli orientali, Thai in testa. Anche se questi ultimi sono sì forti, ma con poche sfumature di gusto, mentre i sudamericani, come i nostrani, presentano una maggiore e apprezzabile complessità aromatica.
2. Guardarlo e basta
Pensavate che il colore identificasse la piccantezza di un peperoncino. E avete preso alla leggera l’Aji peruviano, dall’aria tutto sommato abbastanza innocua con quel suo bel colore arancio, così simpatico.
Avete abbondato spargendolo a piene mani sul vostro ceviche homemade, e adesso state andando a fuoco (a proposito, in caso correte al punto 5). Perché ignoravate che il colore, del peperoncino, dice poco o nulla.
A parte il verde, che identifica sempre peperoncini immaturi e quindi, sì, più gentili che se fossero colti in piena stagione (il messicano Jalapeño, per intenderci), tutte le altre sfumature dal giallo al rosso sono solo caratteristiche distintive delle diverse specie. Ma non hanno nessun rapporto con la quantità di capsaicina presente nel frutto. Da questa importante premessa deriva l’errore di cui al punto 3.
3. Provarlo alla cieca
Se conoscete quel che avete per le mani, saprete da soli come comportarvi. Se, al contrario, state cogliendo i primi frutti di una nuova pianta o, al mercato, avete acquistato peperoncini mai provati prima, l’assaggio non è un’opzione ma un obbligo.
Perché se sbagliate dosaggio, rovinate il piatto. Il piccante copre tutto. Anche il gusto dell’olio buono e dell’aglio sapientemente rosolato di uno spaghetto di mezzanotte.
Attenzione però: facendo il test sulla parte finale, la punta del peperoncino, sappiate che state assaggiando comunque la meno piccante. Il perché al punto successivo.
La prova d’assaggio vale anche per i peperoncini secchi che, se “freschi” (ovvero, di produzione recente) saranno più intensi, mentre perderanno via via che stagionano nella vostra dispensa.
Stesso discorso per i fiocchi (peperoncini secchi frantumati grossolanamente) e le polveri. Queste ultime da non confondere con la paprica, che è ricavata da una varietà di peperone dolce, sebbene esista anche in versione piccante, e caratterizzata da un aroma distintivo diverso da quello del semplice peperoncino.
Infine, per quel che riguarda paste, salse et similia, naturalmente non esiste una regola: dipende dalla ricetta e dalla presenza di altri ingredienti forti, come pepe o zenzero. Anche se ho sperimentato che quelle thailandesi sono, insieme alle indiane, fra le più “cattive”.
4. Credere che il piccante sia nei semi
Quante volte avete letto, in una ricetta, “private il peperoncino dei semi”? Io stessa l’ho scritto migliaia di volte e, per un certo senso, a sproposito.
Perché la capsaicina non è all’interno dei semi ma nella sostanza, vagamente gelatinosa, che li avvolge. Si chiama “placenta” ed è il sistema che madre natura, sempre meravigliosa, ha ideato proprio per proteggere i semi e assicurare, così, la prosecuzione della specie.
Questa sostanza è, infatti, un forte battericida e antiossidante. È presente anche nei peperoni dolci ma in tal caso la struttura molecolare differisce per la disposizione degli atomi e non risulta piccante.
Però, attenzione: se coltivate varietà piccanti accanto ad altre che non lo sono, in queste ultime la molecola si “attiva” e diventano piccanti anch’esse, cosa che forse chi ha un orto ha sperimentato.
Tornando a dove sta la capsaicina, è evidente che le parti più a contatto con la placenta ne saranno in un certo senso “contagiate”: oltre ai semi, i filamenti cui sono attaccati e la polpa nelle vicinanze. Ecco perché la punta del peperoncino, priva di semi, è un po’ meno forte della parte vicina al picciolo.
5. Non sapere come spegnere l’incendio
Perché sentiamo il piccante? Perché la capsaicina attiva gli stessi recettori che percepiscono il calore. Ecco spiegata l’esistenza di ricette che, per esempio, abbinano al peperoncino erbe rinfrescanti, come la menta o il semplice prezzemolo.
Cosa succede se, dopo aver assaggiato un boccone troppo piccante, beviamo (acqua, vino o birra che sia)? Che il liquido diluisce e sparge in giro le sostanze responsabili del gusto intenso. Insomma, non spegne l’incendio ma, al contrario, lo alimenta.
C’è invece una sostanza che contrasta quelle piccanti ed è la caseina, che ne blocca l’assorbimento a livello dei ricettori.
Capite perché gli indiani bevono chai (tè con latte e zucchero) e lassi (bevanda a base di yogurt)? E perché nella cucina messicana si usa accompagnare i piatti con sour cream, panna acida?
Naturalmente, siamo nell’ambito del sovradosaggio. Che – e lo ribadisco – è davvero l’errore più imperdonabile che possiate commettere. Se peperoncino dev’essere, peperoncino sia. Ma famolo piccante, non immangiabile.