Ho fatto ciò che mezza Italia avrebbe voluto fare. Nella top 5 dei miei giorni indimenticabili entra di diritto quello in cui mi sono infiltrato nel laboratorio di Iginio Massari per scoprire come fa il mitico panettone venduto ancora prima che finisca di lievitare.
Non c’era riuscito nessuno finora: l’ansia da prestazione mi ha fatto sudare freddo e ha dato solennità ulteriore a un momento da incorniciare. Insomma, non so se sono stato chiaro: ho visto fare il panettone a Iginio Massari dal vivo e passo passo. E non so se mi spiego, mi sono anche fatto dare la ricetta (non ditelo in giro, ma la pubblichiamo domani, come regalo di Natale anticipato per voi che ci volete bene).
Iginio Massari non è soltanto uno dei migliori pasticceri italiani: i suoi stessi colleghi lo ritengono “il migliore”, una specie di Ferrari della pasticceria italiana, il “palato assoluto” capace di scovare ogni singolo ingrediente di un dolce al primo morso.
Uno dei pochi che può dare del tu ai pasticcieri francesi che ne hanno riconosciuto la grandezza scapicollandosi a Brescia per strappargli i segreti della lievitazione.
MASTERCHEF E IL PIÙ GRANDE PASTICCERE
Massari non è più solo il cocco degli addetti ai lavori, la tv lo ha sdoganato al grande pubblico e oggi, nell’era della gastrocrazia, gli hanno pure dedicato un fan club.
Ora, immaginate i fan adoranti in preda allo sgomento quando le vendite del panettone sul suo sito web (dove c’è pure un blog) sono state sospese per eccesso di domanda.
Dovrebbe essere chiaro che a dispetto del successo Iginio Massari resta un artigiano, la sua è una pasticceria non un’industria.
Invece le leggende si sprecano: dall’ordine rifiutato alla dirigenza del Real Madrid, ai clienti disposti a sborsare 1000 euro sull’unghia pur di portarsene uno a casa, ai ristoranti stellati che ne vorrebbero 200 alla volta.
E non è una mossa di marketing. L’ho visto coi miei occhi: alla pasticceria Veneto di Brescia lavorano 21 persone, certo, ma la produzione in base a spazi e forni (uno da 100 e l’altro da 70 kg, usati anche per pandoro e Bussolà, tipico dolce bresciano) è già al massimo, oltre non potrebbe andare.
Prima dell’apertura al pubblico, alle 8 di mattina, dopo essere stato al caldo del laboratorio per tutta la notte, sono uscito al freschetto e c’erano già decine di persone in coda per comprarne uno.
LA CRONACA E I SEGRETI DEL MAESTRO
L’appuntamento è per le 3:45 di una notte bresciana sottozero, sono puntuale come uno svizzero. Lui è già lì da un’ora (dopo averne dormite un paio), col suo sorrisone da splendido 73enne.
Anzi lui è sempre in laboratorio, almeno quando c’è il panettone in produzione. Da qui non ne esce uno se il suo occhio supervisore non ha dato l’okay.
Il primo impasto è già pronto, ha infornato i pandori, e con un suo collaboratore si prepara alla seconda mandata mentre detta i tempi per inserire gli ingredienti negli impasti.
I ritmi prenatalizi sono frenetici: si parte alla fine di novembre e si va avanti fino all’antivigilia per sfornare ogni giorno 500 chili di panettoni in pezzature da mezzo, 1, 3 e 5 chili.
“Una volta facevo il 750 grammi, ma mi sono accorto che era troppo grande per le coppie che lo acquistavano”.
Costo al pubblico quest’anno 35 euro al kg.
Dopo Natale, direte voi, Massari ritornerà a dormire più di due ore a notte e se ne andrà in crociera con il fan club.
Sbagliato, con l’anno nuovo la produzione riprende a ritmi meno forsennati, e prosegue interrompendosi solo nel periodo pasquale, per dare spazio alle colombe, e in estate da luglio a metà agosto.
Nel pomeriggio precedente la mia visita è stato preparato il primo impasto utilizzando farina, zucchero, burro, acqua e tuorlo d’uovo inseriti in un’impastatrice a bracci tuffanti che lavora fino a ottenere una pasta setosa.
A questo punto viene inserito il lievito madre e il resto del tuorlo d’uovo che vengono lavorati fino a quando si iniziano a vedere grosse bolle d’aria sulla superficie della pasta.
“Nell’impasto non serve troppo lievito e il profumo dev’essere alcolico, non di acido acetico”
L’impasto viene poi lasciato 10/12 ore nella stufa a 26°/28° fino a quando non ha triplicato il volume.
Non so se avete capito, lo ripeto: “Mr. Panettone” sta dispensando perle di saggezza in esclusiva.
Fatene buon uso.
A metà della notte si parte con il secondo impasto, operazione che inizia con l’inserimento del primo nell’impastatrice insieme alla farina con cui sono stati mescolati i semi delle bacche di vaniglia.
Uso il plurale perché Massari utilizza un mix di tre vaniglie con provenienze diverse: Tahiti (“da sola avrebbe troppo sentore di liquirizia”), Bourbon (“eccessivamente legnosa”) e Messico (“fin troppo fruttata”).
Unite creano un connubio di sapori che da sole non potrebbero mai avere, mentre la farina personalizzata per Massari viene prodotta dal Molino Dallagiovanna di Gragnano Trebbiense (Piacenza).
“Fino a 50 anni fa le farine che si utilizzavano erano tutte molto deboli perché le impastatrici lavoravano solo a una velocità. Oggi possiamo utilizzarne anche di più forti che consentono di ottenere ampie alveolature nel’impasto.
Le farine più forti danno buoni risultati, ma non sempre grandi prodotti. Io ora usa uno w320 (il w è il valore che indica la forza della farina, ndr) al posto delle w400/w430 di un tempo.”
Appena si forma la maglia glutinica, cioè quando l’impasto diventa perfettamente liscio, vengono inseriti lo zucchero e il miele in 4-5 volte, (“uso esclusivamente miele d’acacia, il più costoso e buono sul mercato”), insieme ad 1/3 del tuorlo d’uovo, aggiunto in tre fasi successive.
Dopo cinque minuti si reimpasta con il sale, inserito insieme al secondo terzo della quantità di tuorlo d’uovo.
Quindi è la volta del burro (uso il Corman, latteria fresco a conservazione limitata) incorporato morbido ma non sciolto, con il terzo finale di tuorlo e l’acqua.
Massari mi spiega che i primi giri alla macchina si danno sempre a velocità 1, altrimenti ci si troverebbe l’impasto catapultato sul soffitto.
Nella pasta si aggiunge anche la frutta candita d’arancia cubettata (prodotta da Agrimontana, naturale come piace a me senza alcun tipo di colorante o conservante, e inserita a temperatura ambiente per non alterare l’impasto) insieme all’uvetta australiana che è stata lavata la sera prima per ammorbidirla.
Ogni mattina, tra una lavorazione e l’altra, il lievito madre si fa un bagnetto, tagliato a strisce sottili e inserito nell’acqua a temperatura ambiente con disciolto 1 grammo di zucchero per litro.
Quando il lievito galleggia vuol dire che è molto buono, viene poi asciugato e conservato a temperatura ambiente.
Il lievito viene avvolto con una corda per rallentare il consumo di amidi e non andare in eccesso di acidità.
L’impasto così pronto viene inserito in una dosatrice automatica che porziona a volume e non a peso perché la quantità di frutta potrebbe alterare la dose.
Le singole pagnotte vengono lasciate riposare 40/60 minuti prima di essere pirlate (da pirla, la trottola in dialetto milanese), cioè arrotondate per essere inserite nei singoli pirottini.
“Qui da noi mica si scherza: la pirlatura la facciamo ancora a mano in aria, non sul tavolo“. E intanto si diverte a giocare col suo capo pasticcere Denis a vedere chi va più veloce…
Vista fare da lui la pirlatura sembra la cosa più naturale al mondo, ma credetemi, e chi lo provato lo sa, se farla sul tavolo è difficile, in aria è una pratica complessa per i comuni mortali.
Poi i panettoni vengono avvolti della pellicola alimentare (“l’umidità all’interno è sufficiente, in caso contrario dovrei utilizzare una cella col 60% di umidità”) e inseriti nella stufa a 28° per 8 ore, fino alle 14 per l’ultima lievitazione, quando la pasta raggiungerà all’incirca il bordo dello stampo.
Una volta usciti dalla stufa, i futuri panettoni sold out vengono lasciati riposare mezz’ora a temperatura ambiente e quindi glassati con la pasta d’amaretto (“quest’anno ho trovato delle mandorle fantastiche a Bari”) e ricoperti di granella di zucchero prima di essere cotti nel forno a 75° 175° per 55′ per le pezzature da 1 Kg, fino a 2 ore per i 3 kg, oltre le 3 ore per i 5kg.
Terminata la cottura tutti i panettoni vengono girati a testa in giù in maniera che non si affloscino e l’umidità evaporando rimanga nel pirottino, quindi lasciati riposare altre 12/14 ore.
Ogni mattina, prima di cominciare a confezionare (a mano naturalmente) Massari taglia uno o due panettoni, li assaggia e ne verifica acidità, morbidezza e sapore.
Poi li osserva sparire uno dopo l’altro entro sera.
Qui ci starebbe l’entrata della scritta “The End” come nei film di una volta.
No, non è finita: i consigli, pur preziosissimi, non bastano. Ci vogliono le dosi e proporzioni perché possiate replicare a casa il panettone di Iginio Massari.
Vi tocca attendere fino a domani, dopo ci sarete eternamente grati, già lo so.
[Crediti | Link: iginiomassari.it | immagini: Chiara Soban]