Non conoscete Grigoris? No, non diremo “peggio per voi”, magari lo abbiamo pensato, considerate l’ipotesi. Eppure, essere ossessionati dalla buona pizza e non averla ancora mangiata nella pizzeria di Lello Ravagnan a Chirignago, entroterra di Venezia, è una contraddizione in termini.
Per non parlare dei lievitati di Grigoris (ma noi l’abbiamo fatto, eccome se l’abbiamo fatto, esaltati dal suo pan brioche).
Oggi bissiamo con i grissini, protagonisti di un cestino del pane che così in una pizzeria non s’era mai visto, nemmeno nei locali di Simone Padoan (I Tigli) o Renato Bosco (Saporè), i pizzaioli star che ispirano Ravagnan.
A preparare i grissini da Grigoris è Matteo Pellizzer, classe 1991, già perito meccanico convertito, con altrettanta perizia, alla panificazione.
Si tratta di un impasto abbastanza difficile, con metodo indiretto e molta idratazione; ne vengon fuori dei grissini così croccanti che se ne cade uno a terra (indovinate a chi è successo) si frantuma in mille pezzi come il vetro infrangibile negli anni ’90.
Si parte con l’impasto per la biga: 500 g di farina integrale, 250 gr di acqua, 5 gr di lievito di birra fresco.
Si mette tutto nella planetaria e ci si affida ciecamente alla macchina.
Ne risulta un impasto un po’ grezzo, da far riposare 16 ore a una temperatura di 18/20 gradi (durante l’estate si può scendere a 9 ore di lievitazione).
Per evitare sgradevoli croste si copre l’impasto con un panno umido o con uno strato di cellophane, bucato da uno spillo.
Una volta ottenuta la biga si procede all’impasto: 755 gr di biga con 175 gr di acqua, 12 gr di sale fino iodato, 25 gr di olio.
Nessun errore: nella seconda fase dell’impasto non va aggiunta una dose ulteriore di farina.
Si procede con la velocità più bassa della planetaria aggiungendo prima tutto il sale; in questa fase occorre preparare anche una seria dose di pazienza, per assorbire completamente il sale serve tempo.
L’unico modo per capire se questa fase è finita è spegnere l’impastatrice e toccare l’impasto in più punti, se si sentono i granuli di sale non ci siamo ancora.
Solo quando l’impasto è liscio si può iniziare a unire acqua e poi olio a filo, alzando la velocità di una tacca, è pronto quando ha ripreso una consistenza dignitosa e lascia le pareti pulite.
A questo punto, se avete fatto tutto bene, contemplate per un momento un impasto perfetto con l’85% di idratazione.
Lo si passa in una teglia con il fondo leggermente unto d’olio, sporcandosi di olio anche le mani dato che appiccica parecchio, e poi lo si fa riposare, sempre coperto, per 2 o 3 ore, comunque il tempo necessario perché raddoppi di volume e perda un po’ di lucentezza.
A questo punto sfoderate tutta la manualità che possedete perché vi sarà utile.
Stendete (molta) farina sulla spianatoia – se volete “l’effetto fornaio” usate la semola – e versate l’impasto sulla farina.
Con l’aiuto di un coltello o di una spatola sporzionatelo in bastoncini, non sognatevi però di stirarli: ve li trovereste incollati ovunque.
Vanno cotti in forno ventilato per 20 minuti a 190 gradi, per i primi dieci minuti è meglio mettere nel forno anche una bacinella d’acqua calda per aumentare l’umidità.
Se si vuole essere davvero bravi, quando togliete la bacinella fatelo anche con la carta da forno, che un po’ impiccia la cottura sul fondo.
[foto: Dissapore | Marco Sartori]