State scaldando le padelle? L’ondata di fritti di Carnevale sta già montando e nei prossimi giorni travolgerà tutto spazzando via ogni cottura a vapore, a bassa temperatura, al forno, in umido.
In favore dell’irresistibile colore dorato, della croccantezza, del morso bollente che scotta il palato, ma che buono!
Il fritto, naturalmente, ha le sue malizie. Degli involucri abbiamo già parlato. Ma la chiave di volta dei fritti perfetti, siano essi dolci o salati, è la cottura.
A cominciare dalla scelta del grasso, che per inciso va versato nel giusto tegame, e della temperatura ideale, da modulare anche a seconda dell’alimento scelto e correggere, se è il caso, sul fornello.
Ecco allora il mio personale vademecum in 8 punti: prezioso per chi frigge alle prime armi, spero utile da ripassare per i più disinvolti.
1. Il punto F
Ovvero, il punto di fumo, la temperatura alla quale i grassi si trasformano dando vita a composti nocivi: un valore da tenere sempre ben presente, al momento di scegliere in cosa friggere, dato che questa tecnica richiede temperature minime di 160°, ottimali intorno ai 180°.
Attenzione: a ogni eventuale riutilizzo dell’olio di frittura, il suo punto di fumo si abbassa. E può variare, anche sensibilmente, a seconda dell’origine del prodotto. Insomma, i valori che elenco nei prossimi punti sono indicativi, probabilmente ne potreste trovare anche di diversi.
Non cambia, però, la classificazione che vado a fare dei grassi come adatti o meno a friggere.
2. Olio di oliva
Il grasso principe della cucina italiana raggiunge tranquillamente i 180° senza alterarsi ma, attenzione, perdendo la complessità aromatica e le componenti nutrizionali che caratterizzano un buon extravergine.
Si tratta quindi di una scelta un po’ così, sia per il costo, sia per il sapore comunque forte e quindi non adatto ai cibi più delicati.
In caso, scegliete comunque olii a bassa acidità, parametro che influisce sulla stabilità dei grassi.
3. Olio di semi
Quello di arachidi arriva a 210° senza colpo ferire ed è in assoluto il più utilizzato nelle cucine di ogni ordine e grado. E il preferibile, anche perché costa poco e non ha un sapore incisivo.
Per la loro composizione, tutti gli altri oli vegetali comunemente in commercio (mais, girasole, soia e compagnia) alle temperature di frittura si alterano e sono quindi sconsigliati.
I generici “olii per friggere” sono miscele in teoria selezionate per essere stabili, ma sottoposte a processi industriali complessi e con una composizione incerta quindi, secondo me, no grazie.
4. Burro
Al naturale inizia a fumare, ovvero ad alterarsi, a meno di 130°. Se invece viene chiarificato, ovvero privato di acqua e caseina, si mantiene bene fino a 160° motivo per cui è adatto a fritture lunghe, come quella della cotoletta, in cui ci vuole tempo per cuocere l’interno e un calore non eccessivo per non bruciare l’esterno.
Provatelo anche per crocchette di patate o di carne, impanate o infarinate, con una raccomandazione: il profumo e il gusto del burro ben fritto creano dipendenza.
5. Strutto
Demonizzato perché di origine animale, in realtà raggiunge senza problemi circa 210°: temperature così alte che il cibo frigge in pochissimi minuti rimanendo asciutto e affatto unto.
Insomma, visto che non è che si frigge 5 giorni su 7, una volta ogni tanto uno gnocco o un bombolone fritto nel candido grasso di maiale non uccide ma, anzi, regala grandi soddisfazioni.
6. Tegame
Nelle ricette leggete di “tuffare” i pezzi nell’olio (o quel che è): e nessuno si tufferebbe in un dito di qualcosa, no?
Quindi, il recipiente deve avere pareti alte per contenere tanto grasso.
Se non è troppo ampio, eviterete di usarne litri e sarete quasi costretti a friggere – come dovrebbe essere – pochi pezzi per volta: così, la temperatura non si abbasserà e i cibi non si impregneranno di unto.
7. Temperatura
Si diceva, fra 160° (per i cibi più delicati, dalla cottura più lunga) e 180° (per quelli da cuocere solo pochi minuti o persino istanti). Come capire se è raggiunta?
Con un termometro. Oppure, con i metodi empirici che vanno dallo stecchino alla briciola: immersi nell’olio, si devono circondare immediatamente di bollicine.
La briciola in più salirà a galla, mentre una goccia di pastella farà entrambe le cose ma, più importante, formerà all’istante la famosa crosticina, invece di guizzare in giro per tutta la pentola.
Altra osservazione facile facile: se il grasso inizia a fumare, è troppo caldo. Se ve ne accorgete subito, toglietelo immediatamente dal fuoco e attendete qualche istante prima di iniziare la frittura. Se ve ne accorgete dopo un po’, la frittata è fatta e non vi resta che buttarlo.
La fiamma non deve per forza essere statica: soprattutto per le fritture lunghe (torno all’esempio della cotoletta) si può regolare per vivacizzare o smorzare leggermente la temperatura.
Va da sé che appena vi doveste accorgere che il fritto non frigge ma galleggia tristemente, dovete alzare al massimo.
8. Smaltimento
L’olio del fritto è altamente inquinante. Lo è per la falda acquifera e lo è per il terreno. Quindi, vietato versarlo nello scarico del lavello o nel wc, ma anche (qualcuno pare lo faccia!) usarlo come fertilizzante in giardino o nell’orto.
È noioso, lo so, ma se siete gente che frigge, dovreste prendere l’abitudine di tenere in un angolo della cucina una tanichetta, da riempire via via con l’olio esausto (dopo che si è raffreddato) e svuotare di tanto in tanto nelle isole ecologiche o in altre aree attrezzate per la raccolta.
Basta informarsi presso il vostro comune.
O siete di quelli che evitano l’olio di palma perché ambientalmente insostenibile (ma in quello raffinato si frigge benissimo!) e poi sono troppo pigri per fare la differenziata?