Sora Lella, Ada Boni, l’autrice del Talismano della felicità, e il poeta Gioacchino Belli: che cosa possono avere in comune se non i carciofi alla giudia?
Sora Lella, celebre attrice e cuoca romana, la fa facile. Mark Zuckerberg se li concede quando capita a Roma. E Umberto Pavoncello viene immancabilmente associato a loro, col placet di Nonna Betta, il ristorante, di cui è titolare.
Non mancano le foodblogger che, alla ricerca della ricetta perfetta, dichiarano spavalde di ispirarsi a quella che Ada Boni riporta nel 1930 ne La Cucina Romana. The Oxford Companion to Italian Food afferma che Ada Boni svela con “meticolosa autorità” come fare i carciofi alla giudia.
Ma cosa succede nella cucina quando giunge una mammola?
In nome dei carciofi
« Nun c’è principe o re, cristiano che sia, che nun magni carciofi alla giudia »
Ai principi o re di Gioacchino Belli servono dei carciofi mammola o cimarolo, questo è importante. Eppure non ti devi fermare davanti a nessun carciofo. La perfezione d’oggi vuole questo tipo di carciofo romanesco, ma affinando le abilità di “capatura” non c’è varietà di carciofo che non possa essere preparato alla giudia.
Questa affermazione, pure quasi sfacciata, la sostengo a spada tratta.
I carciofi alla giudia sono un piatto storico, nato in epoche in cui il carciofo non era addomesticato. Nel Cinquecento il carciofo era selvatico, Mendel, il precursore della genetica moderna, doveva ancora arrivare. Gli esperti affermano che quello che al mercato si trovava era un carciofo simile al moretto di Brisighella, quindi spinoso.
Senza vagare nella storia o nella geografia odierna dei carciofi (dato che con il risotto agli asparagi abbiamo già dato), concentriamoci sull’IGP perfetto per i carciofi alla giudia degli Anni Duemila.
Cimarolo e mammola non sono in realtà sinonimi.
Il nome cimarolo deriva dal fatto che è (o dovrebbe essere) il carciofo che cresce al centro della pianta. Per questo è il più ricercato. Perché, sai, essendo in cima, è più tenero. Ma la grossa mammola si difende, perché non richiede di essere troppo capata.
Per non fare distinzione, l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) difende il carciofo romanesco, mammola o cimarolo che sia.
Sferico, compatto, leggermente schiacciato, l’apice è arrotondato e presenta un foro. Niente peluria interna. Le foglie esterne hanno sfumature violette. Niente spine.
La grossezza del gambo è un indice di vigore della pianta e tenerezza delle foglie, afferma Lazio Gourmand. Hamos Guetta, ebreo tripolino e cuoco, insegna come un gambo più grosso lo abbiano i primi fiori della pianta.
Attenzione! Non esiste un solo carciofo romanesco. Esistono due cultivar. Uno precoce che si trova a inizio gennaio, detto Castellamare, e uno tardivo, tal Campagnano, che compare a marzo. Ma a chi appartiene il Castellamare?
Non è un domanda peregrina. Infatti, un competitor che molto assomiglia al romanesco non cresce nel Lazio. Eppure non va scartato per i carciofi alla giudia. Si tratta del carciofo Paestum, sempre IGP. Puoi intuire che è campano e puoi intuire quanto i romani potrebbero aversene per questa affermazione.
Eppure si tratta del Tondo Paestum che appartiene allo stesso gruppo genetico del carciofo romanesco. Sarà, anche, che la coltivazione nella Piana del Sele gli garantisce una precocità che il cimarolo non ha. Ribadisco, tutto sta nel chiarire a chi appartiene, in origine, il carciofo di Castellammare: al Pasteum o al romanesco?
Quel che è certo è che i carciofi romaneschi si possono trovare in vendita da gennaio a maggio dopo che sono stati raccolti manualmente.
Le zone di produzione sono ben delimitate e comprendono (un bel respiro) le province di Viterbo, Roma e Latina, con i comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia.
Nelle fotografie vedi diverse categorie commerciali di carciofo romanesco acquistate ad aprile. C’è anche qualche carciofo di prima categoria per la quale sono ammesse lievi alterazioni da gelo e lievissime lesioni. Mentre la categoria extra è riconosciuta a carciofi di qualità superiore.
L’importanza del capare
In giudaico-romanesco “capare” sta per pulire. Ci sono ricette e varietà di carciofo più esigenti di altre. Con i carciofi alla giudia lo scarto è risicato, merito del carciofo e di una tecnica elaborata nei secoli.
L’obiettivo è ottenere una rosa che sboccia col calore dell’olio. Questo non accade per magia. Non è neppure una questione di trigonometria. E’ questione di tecnica.
Sì, nelle foto l’effetto rosa è esagerato per convincerti di quanto un carciofo sia un fiore. Mentre il video ti propone la capatura di chi ha teme la capatura foglia per foglia. Su, su, prova con la capatura a rosa (o a crisantemo, secondo alcuni) almeno una volta.
Conoscenza e non tecnica, invece ci vuole, per distinguere tra carciofi alla romana e carciofi alla giudia. A saperlo si evitano zuffe come quella che avvenne nel 1604 all’Osteria del Moro. Le cronache la riportano, perché coinvolse Caravaggio.
L’artista non sapeva distinguere quali degli otto carciofi che gli furono serviti erano cotti nell’olio e quali nel burro. Non seppe neppure reggere l’ironia del cameriere che si azzardò a dire “Annusali e li riconoscerai”. Sì, Michelangelo Merisi si era fermato davanti ai carciofi alla romana con mentuccia.
Quel che giudia dice
La storia non è una bazzecola e giudia vorrà dire pur qualcosa. Spesso si associano i carciofi alla giudia con la festa dell’espiazione, almeno leggendo Internet. Ahimè è un errore che il calendario gregoriano subito svela.
L’associare i carciofi alla giudia con la festa dello Yom Kippur, alias festa dell’espiazione, sembra nasca per l’abitudine di mangiare carciofi dopo l’Havdal, al termine del digiuno.
Peccato che tale festa cada tra settembre ed ottobre, corrispondendo al decimo giorno del mese ebraico di Tishri. Quindi, niente mammole e cimaroli in vista. Neanche a Roma. La quadratura del carciofo si crea non appena si nota come i carciofi alla giudia sono contorno diffuso anche per il Pesach, la pasqua ebraica.
Dopotutto già in un manoscritto del Cinquecento si scrive che “i carciofani sono boni pigliandoli nella loro stagione, la qual comincia a Roma a mezzo febraro e dura per tutto giugno. Per farli alla giudea se devono mondare e poi tagliare le cime delle foglie pungenti e dure in foggia de spirale ….E poi frigendole in oglio bogliente ….”.
E occhio, quel oglio bogliente è meglio se sia d’oliva, data la sua diffusione nella cucina ebraica.
Abbinamenti azzardati?
Qui oso perché mi fido di chi mi fa osare. E se nel calice accanto al carciofo alla giudia ci finisse un sauvignon blanc come Jacaranda di Antonella Cassarà? O meglio osare con un Lugana DOC?
La ricetta perfetta
4 carciofi romaneschi (mammola o cimarolo)
1 limone
acqua
1,5 litri di olio extra vergine d’oliva
sale
pepe nero macinato sul momento
facoltativo: acqua o vino bianco
Predisporre un’ampia ciotola e riempirla con il succo di limone e abbondante acqua tiepida.
Nell’acqua può essere lasciato anche ciò che resta del limone una volta schiacciato.
Capatura dei carciofi
Munirsi di un coltello affilato e non seghettato. C’è chi individua nello spilucchino il coltello perfetto. Può essere con lama dritta o a “becco di gallo”.
Prendere un carciofo alla volta.
Togliere le foglie esterne verdi e più dure.
Fermarsi quando le foglie si schiariscono e si comincia a vedere la parte bianca. Non serve arrivare ad avere foglie così chiare come quelle della fotografia qui sopra. Ci si può fermare anche prima.
Tenendo il carciofo nella mano sinistra, cominciare ad incidere foglia per foglia sopra la parte chiara. Infatti, la parte morbida deve salvarsi. Fare questa operazione in senso anti-orario, ruotando il carciofo. Pian piano si giunge fino alla cima del carciofo, dove basterà eliminare la punta delle ultime foglie più interne.
Se il carciofo è mammola, non avrà neppure la peluria interna.
Alla fine il carciofo capato deve sembrare quasi una rosa, grazie a questa capatura a spirale.
Poi procedere a togliere la corteccia (la parte verde) del gambo.
Il gambo può essere in parte tagliato, ma almeno 5 cm. vanno salvati.
Il carciofo è ricco di ferro e tende ad ossidarsi, quindi immergere il carciofo nell’acqua limonata. Per essere ancora più sicuri, prima di immergerlo, si può passare il limone sulla parte esterna del carciofo.
Cottura dei carciofi
Fase 1
Togliere i carciofi dall’acqua acidulata.
Scolarli ed asciugarli.
Battere due carciofi alla volta l’uno contro l’altro.
Poi battere delicatamente ciascun carciofo sul piano di lavoro.
Queste operazioni sono necessarie per togliere l’acqua e per favorire, poi, l’apertura a fiore durante la cottura. Infatti, così si allargano le brattee (le foglie del carciofo).
Scaldare l’olio extra vergine d’oliva in un capiente tegame. L’olio deve raggiungere la temperatura di circa 130-150°C. In sostanza, l’olio deve essere caldo, ma non bollente.
Porre i carciofi nell’olio caldo e farli cuocere tutti (gambo incluso) per 10-15 minuti. I carciofi possono essere messi in piedi nel tegame e ricoperti completamente d’olio o possono essere poggiati distesi e poi sarà cura del cuoco girarli durante la cottura.
I gambi si cuoceranno più rapidamente.
I carciofi sono cotti quando sarà agevole infilzare la base con i rebbi di una forchetta.
In questa fase i carciofi saranno già esternamente ben fritti e si saranno scuriti.
Fase 2
Togliere i carciofi dal fuoco e poggiarli sulla carta assorbente.
Devono perdere l’olio di cottura e raffreddarsi. 15 minuti sono più che sufficienti.
Poi, aprire le foglie interne del carciofo delicatamente con una forchetta. Si deve aprirlo come fosse una rosa che sboccia. Ci sono capatrici esperte che questa fase di apertura la saltano addirittura, avendo fiducia del lavoro di pulitura fatto all’inizio.
Di sicuro, il carciofo va condito all’interno con un po’ di sale e pepe.
Conditi tutti i carciofi, c’è chi li spruzza con un po’ di acqua fredda o vino bianco per creare una sorta di shock termico. Ma c’è anche chi salta questa fase, perché ritenuta o inutile o pericolosa.
Porre nuovamente i carciofi nell’olio caldo, che ora può raggiungere i 180°C. Di sicuro vanno cotti ad una temperatura superiore a quella della prima frittura.
Cuocerli pochi minuti. Non devono bruciarsi.
Toglierli dall’olio e farli sgocciolare sulla carta assorbente.
Servirli caldi e mangiarli. Sì, interi. Dei carciofi alla giudia non si butta via nulla, neppure il gambo tagliato o le foglie che si perdono durante la frittura. Tutto, una volta fritto, si mangia.