Considerate i pre-impasti come biga e poolish: quante cose in contraddizione tra di loro avete letto in giro? E quanti di voi saprebbero spiegare davvero cos’è uno e cosa l’altro, quando si usano e perché? Oggi ci dedichiamo al metodo indiretto, ai vantaggi e svantaggi che comporta, spiegando le differenze tra biga e poolish, chiarendo perché, e in quali casi, ricorrere ad essi.
Dopotutto, panificare significa immergersi in un mondo ampio, eterogeneo, straordinario e personalizzabile. Esistono ennemila modi di combinare 4 semplici ingredienti, con risultati che dipendono da un numero illimitato di variabili. Ma se una simile entropia genera nel nerd eccitazione e adrenalina, porta con sé anche confusione, incomprensioni e frustrazione.
L’impasto indiretto
Ma quanto ci piace partire dalle definizioni? Iniziamo a consolidare in maniera precisa in cosa si distingue un indiretto rispetto a un diretto.
Gli impasti nei quali gli ingredienti vengono mescolati e lavorati in un’unica fase sono “diretti”.
Gli impasti indiretti prevedono invece due fasi separate:
– Un pre-impasto, in cui si mescolano di solito acqua, farina e lievito;
– Il re-impasto successivo alla prima maturazione, in cui si aggiungono gli ingredienti mancanti.
Benché esistano diversi preimpasti, i più utilizzati sono due: biga e poolish, entrambi realizzati a partire dal lievito di birra.
Di fatto, anche il lievito madre può essere classificabile come tale, anche se merita un discorso a parte.
La biga
Partiamo dalla sorella maggiore, un metodo tutto italiano: la biga è un pre-impasto morbido e asciutto.
A causa delle sue caratteristiche e della sua bassa idratazione sono necessarie molte ore di fermentazione affinché una biga possa ritenersi matura e pronta all’utilizzo.
Le dosi standard (da manuale, per così dire) per una biga classica sono le seguenti:
-Farina 00 o 0 (W > 300)
-44% di acqua sul peso della farina
-1% di lievito sul peso della farina
Tipologia e forza della farina sono necessarie per avere un equilibrato rapporto tra resistenza ed elasticità, in modo da sostenere tutte le ore necessarie per lo sviluppo della biga stessa; a tal proposito, in base al tempo di riposo distinguiamo due tipologie distinte:
–Biga corta, con maturazione di 16 ore a una temperatura di 18-20 °C;
–Biga lunga, con maturazione di 24 ore in cella frigorifera a 4-5 °C e le successive 24 a 18-20 °C.
Si tratta tuttavia di dosi e tempi con valenza generica, che potrebbero cambiare a seconda di farina, temperatura, umidità dell’ambiente e uso finale.
Dosi e tempi presentati si riferiscono infatti alla cosiddetta Biga Giorilli (da Piergiorgio Giorilli, che ne ha codificato il metodo), ma è bene precisare che è possibile effettuare una biga con altre tipologie di farina, con forza e indice di assorbimento diversi; va da sé che in questo caso cambieranno anche temperature e tempi di esercizio, in quanto un maggior quantitativo di acqua e un ambiente più caldo richiedono periodi di riposo inferiori, e viceversa.
Ciò che accomuna ogni preparazione è l’importanza di un impasto breve, che deve solo permettere alla farina di assorbire tutta l’acqua usata per scongiurare la formazione di grumi.
Una biga ben fatta deve rimanere grezza, separata, con una temperatura finale di 20-21 °C; se troppo lavorata rischia di maturare prima del dovuto sviluppando acidità e odori forti, negativi per la struttura del lievitato che preparate. La biga matura, leggermente gonfia, ha un buon profumo, simile a quello dello yogurt.
Il poolish
Per poolish s’intende la tecnica di fermentazione scoperta da un panificatore polacco e adottata dalla Francia sin dal XIX secolo, dove si usava quasi esclusivamente per la produzione di baguette.
A differenza della biga, più asciutta, è un preimpasto liquido ottenuto mescolando la stessa quantità di farina (280-300 W) e acqua, più una percentuale di lievito che varia in base ai tempi di lievitazione scelti:
– 1-2 ore 2.5% di lievito sul peso della farina;
– 4-5 ore 1.5% di lievito sul peso della farina;
– 6-7 ore 1% di lievito sul peso della farina;
– 8-9 ore 0.5% di lievito sul peso della farina;
– 10-12 ore 0.3% di lievito sul peso della farina;
– 13-14 ore 0.2% di lievito sul peso della farina;
– 15-16 ore 0.1% di lievito sul peso della farina.
In ogni caso la temperatura ideale per la lievitazione è di circa 20-22 °C; il poolish è maturo quando il volume è raddoppiato e tende a cedere al centro, con una crepa ben visibile.
Vantaggi e svantaggi del metodo indiretto
I vantaggi più evidenti del metodo indiretto riguardano la fermentazione lattica che ha luogo durante la maturazione dell’impasto finito: con la produzione di acidi organici a beneficiarne sono gusto, profumo e sviluppo degli alveoli, i piccoli fori che si formano nella pasta.
Migliora anche la conservabilità, e la maggiore acidità dell’impasto garantisce più resistenza contro i microrganismi patogeni cui si deve la crescita delle muffe.
Last but not least, i tempi di lievitazione si riducono sensibilmente, aiutandoci a dare all’impasto finale una struttura migliore.
E tuttavia, biga e poolish sono consigliabili solo in presenza di ambienti (o di strumenti) adatti alla maturazione, con temperature e umidità costanti. In caso contrario la variabilità di questi processi sarebbe troppo alta, e non potreste tenere conto di temperature e tempi di riferimento indicati; per esempio un ambiente che di notte rimane a 20 °C ma di giorno supera i 25 non potrà mai darvi delle risposte certe in termini di standardizzazione.
Inoltre, un impasto indiretto gestito male, con punte di acidità importanti e un pH sballato (impastato troppo o lasciato a maturare per un tempo eccessivo) vi restituirà risultati per lo più scadenti per i rischi legati alla maturazione eccessiva del preimpasto, che provoca la rottura della maglia glutinica e un lievitato pessimo.
Infine, sciogliere una biga a mano è impensabile, perché a causa della bassa idratazione richiede un’energia cinetica e una costanza assicurate solo da movimenti meccanici come quelli di planetarie e impastatrici. In caso contrario, il pre-impasto si scioglie male lasciando numerosi grumi.
In definitiva, se non avete le condizioni adatte non è il caso di affidarsi a preparazioni più complesse come i preimpasti.
Un impasto diretto ben fatto spesso è superiore per scioglievolezza e omogeneità, mentre gli impasti indiretti (soprattutto la biga) assicurano maggior tenacia che si ripercuote sul morso, indicata per la pizza in teglia o la pizza alla pala romana, ma sconsigliata nella pizza napoletana dove la trappola dell’impasto gommoso è decisamente più insidiosa, avendo una cottura più fulminea.
Ciò non significa che non si facciano ottime pizze napoletane con una biga, o teglie spettacolari con il metodo diretto; dipende sempre da come vengono gestiti i relativi impasti.
Le differenze tra biga e poolish
Se avete poco tempo e contate sulla sola forza delle mani, dimenticate la biga, che richiede energia e pazienza.
Detto questo, definiamo una volta per tutte come i due preimpasti incidono sul lievitato che preparate:
– Sorella biga vi aiuta ad avere alveoli grossi e irregolari, oltre a una struttura salda e sviluppata, una maggiore spinta verso l’alto e una maglia glutinica solida, grazie alla prevalenza di acidi organici.
La mollica sarà più “ariosa”, morbida e aromatica, con un sapore pieno dovuto alla produzione di acido lattico durante la fermentazione. Caratteristiche che la rendono preferibile per pizze in teglia alla romana, focacce morbide, grandi lievitati e pagnotte dalle dimensioni sostenute.
– Fratello poolish assicura alveoli piccoli e ben distribuiti, un effetto crunch (croccante) superiore, la maglia glutinica molto estensibile grazie all’acqua in eccesso che accelera l’attività enzimatica. Il sapore è più pungente, a causa della presenza di acido acetico e alcol.
Usate il poolish per preparare pizze basse e scrocchiarelle o pizze alla pala romana, focacce e pani croccanti.
Quanto ne metto?
Quale che sia il pre-impasto, il quantitativo da utilizzare dipende da diversi fattori, tarati unicamente sul tipo di prodotto che volete utilizzare e dalle modalità di gestione di tutto il processo.
Tenete infatti sempre a mente che il vostro pre-imposto sarà considerabile a tutti gli effetti la vostra “massa lievitante”; banalmente, più ne utilizzate minori dovranno essere i tempi di lievitazione successivi, in quanto la fermentazione sarà molto più accelerata e rischiereste, esasperando la maturazione, di ritrovarvi in fretta con un impasto scarico.
Di norma, se volete accentuare i pregi sopra riportati aumentate la quantità di pre-fermento utilizzati.
Fate attenzione però, che così come i vantaggi, anche gli svantaggi cresceranno in maniera direttamente proporzionale; un impasto con un’alta percentuale di biga dovrà essere gestito correttamente per non risultare tenace sia in stesura che, soprattutto, al morso.
In linea generale, potete cominciare a sperimentare con entrambi i pre-impasti con una quantità indicativa pari a 1/3 calcolata sul peso della farina totale.
Ad esempio, se dovete impastare 1 chilo di farina, il cosiddetto innesto della biga o del poolish corrisponde a circa 330 grammi, mentre i restanti 670 grammi vengono usati nel re-impasto, insieme all’acqua che rimane e agli altri ingredienti.
[ Credits: Piergiorgio Giorilli ]