Estate. Relax, bagni, mare e spiagge assolate. Ma soprattutto caldo, e sudore, e gola riarsa noi. Ciò nonostante noi, amanti della buona tavola, alle insalate che ci osservano severe e minacciose dalle vetrine delle tavole calde continuiamo a preferire una sapida, rassicurante pasta all’amatriciana.
Non c’ è da stupirsi: l’apprezzatissimo piatto che deve il suo nome al comune di Amatrice, nel Lazio, è sicuramente uno dei più graditi di tutta la penisola: schietta, con il suo rosso sugo a base di pomodori impreziositi dal sapido guanciale e dall’immancabile grattugiata di pecorino, l’amatriciana rappresenta uno dei capisaldi della cucina tradizionale italiana.
Peccato però che molti di noi non solo ne storpino il nome, appellandola immancabilmente “la matriciana”, ma soprattutto l’esecuzione e gli ingredienti: e chi ci mette la cipolla, chi l’aglio, chi in un impeto di abbondanza ce li mette tutti e due, chi ci ficca la pancetta e chi addirittura il Parmigiano!
Insomma, una babele di declinazioni e varianti che spesso risultano errate e dettate da interpretazioni arbitrarie, e che nulla hanno a che vedere con la ricetta della vera, tradizionale, unica pasta all’amatriciana.
Già ma qual è allora la ricetta autentica della pasta all’amatriciana? Come districarci nelle miriadi di versioni tarocche che giornalmente vengono servite in ristoranti e trattorie e che sono in realtà solo bieche matriciane? Per avere queste informazioni siamo andati nel tempio della vera amatriciana, il luogo che rappresenta la pietra di paragone, il benchmarking del guanciale e pecorino, il ristorante che ovviamente si trova ad Amatrice, ma che per par condicio si chiama “Roma”.
Situato in via dei Bastioni 27, “Roma” è un locale a conduzione familiare già esistente, sembra, nel lontano 1789, dove il titolare, l’ottantaduenne Arnaldo Bucci, col fratello Alfonso ed il figlio Alessio, serve ottime amatriciane tra quadri old- style e fotografie che lo ritraggono insieme a personalità varie, tra cui spicca un Presidente della Repubblica, e che propone ai clienti non solo un’ottima pasta ma una visuale incantevole sul paesaggio circostante: questa.
Paesaggio mozzafiato a parte, siamo entrati in cucina per farci spiegare in ogni dettaglio dall’energica cuoca Maria Palombini, i segreti per una verace pasta all’amatriciana, al di là dell’asettico Disciplinare di produzione del Comune di Amatrice, e che indica, per una ricetta “perfetta”, le millimetriche dosi di 125 gr di guanciale ogni mezzo chilo di pasta, insieme a 6 o 7 pomodori San Marzano, oppure 400 gr di pelati di ottima qualità.
Ecco i consigli che ci ha generosamente elargito Maria Palombini e che condividiamo ora con voi.
GUANCIALE
Il guanciale sta alla pancetta come il principe della nota favola sta al poveretto. E se nelle nostre “matriciane” casalinghe sbagliamo sia nome che ricetta, impreziosendole con vil pancetta, sappiate che per una amatriciana perfetta il guanciale, cioè il bianco grasso che dal robusto collo sale verso la paffuta guancia del bovino maiale, è imprescindibile.
Al ristorante Roma il guanciale è stagionato in proprio, in tre distinte fasi: la pulitura, dove viene privato della cotenna prestando massima attenzione a non rovinare forma e consistenza, l’affettaggio, cioè la sua suddivisione in larghe e spesse fette, e infine il taglio a listarelle, dove le fette vengono ulteriormente sezionate in senso orizzontale, per avere la giusta alternanza tra parte magra e parte grassa, a tutto vantaggio di gusto e sapore.
Saranno poi queste sottili fettine che verrano messe in padella a sfrigolare allegramente in attesa di ricevere gli altri ingredienti.
SOFFRITTO
Checchè ne dica Carlo Cracco, per la nostra cuoca, così come per il rigido disciplinare, l’aglio non ci va. E nemmeno la cipolla: il sapido guanciale fa soffritto a sé in solitaria, e con il suo gusto forte e deciso non ha bisogno di nient’altro che vada ad aumentare, o ancor peggio a inquinare, il suo gustoso aroma, sia nella nella pallida gricia, sia nella pomodorosa amatriciana.
E se nel disciplinare è ammesso un po’ di peperoncino rosso, fresco o essiccato, o un po’ di vino bianco per sfumare, nel ristorante Roma tali orpelli sono banditi: guanciale e basta, si è detto! Al limite, un velo d’olio.
ERESIE
Alcuni eretici portano avanti l’assurda convinzione, probabilmente basata su fedi puriste o all’insegna della leggerezza, che, dopo un paio di minuti in cui il guanciale abbia allegramente sfrigolato in padella, si debba buttar via tutto il ben di Dio di grasso rilasciato, incuranti non solo di tutta la fatica fatta dalla povera bestia per procurarci il saporito grasso, ma soprattutto del gusto generoso di cui andremo a privarci.
La risposta della nostra cuoca è stata un’eloquente sguardo torvo, mentre con il dito ha indicato un pentolone con circa cinque litri di sugo quasi pronto: “quasi”, perché in attesa di ricevere la sua bella dose extra di gusto a base di grasso di guanciale liquefatto.
GRICIA
La pasta alla gricia è l’antenata dell’amatriciana: nei tempi in cui Colombo non era ancora nato il pomodoro era reperibile, per forza di cose, soltanto in Sud America, non certo in Italia.
Qui, i pastori, durante il periodo della transumanza, cioè dello spostamento delle greggi dai pascoli di pianura a quelli di montagna, erano soliti portare per il proprio nutrimento, prodotti a lunga conservazione quali farina, guanciale e formaggio pecorino.
Così, da questi pastori originari del paese di Grisciano, vicino ad Amatrice, nacque la gricia e, in seguito, l’amatriciana.
Inoltre, è da specificare che il comune di Amatrice, che ha dato il nome al gustoso piatto, ha fatto parte del territorio abruzzese fino al 1927, quando venne annesso al territorio laziale e nella provincia di Rieti.
Giusto per ribadire che l’amatriciana “originale” non comprendeva il pomodoro, e non deve i natali né al Lazio né tantomeno a Roma. Ai giorni nostri, infatti, la cuoca del ristorante Roma serve una pasta alla grigia esclusivamente con guanciale, pecorino locale, non romano, e una spruzzata di pepe nero. Gusti decisi e intensi, e poche storie.
AMATRICIANA
Se per tutti noi l’amatriciana è la rossa pasta al sugo di pomodoro con aroma di guanciale e ampie spolverate di pecorino, è bene ricordare che solo alla fine del 18° secolo il pomodoro fece la sua comparsa nella tipica ricetta, quando gli abitanti di Amatrice lo inserirono nella pasta alla gricia. Sta di fatto che quest’ultima versione, per quanto non originale, abbia subito riscontrato il maggior favore di tutti i palati, soppiantando in gradimento e notorietà l’originaria pasta alla gricia.
Non per niente al Roma vengono preparati quotidianamente quantitativi generosi del sapido condimento. Nelle pentole in alluminio, materiale che conduce il calore in modo uniforme e omogeneo, il guanciale viene fatto soffriggere e rosolare con estrema cura e il pomodoro viene spezzato grossolanamente a mano, per poi essere inserito nel grasso sfrigolante.
I pomodori utilizzati, inoltre, non sono soltanto gli ottimi San Marzano, ma comprendono altre varietà, per ottenere sapori e consistenze diversificati. Il tutto viene poi insaporito con sale, pepe e fatto cuocere, rigorosamente scoperto, finché il sugo non abbia allegramente schizzato e colorato di rosso tutte le piastrelle circostanti, vale a dire almeno una decina di minuti.
Infine, con ampi movimenti di polso e forchettoni gli spaghetti vengono conditi con questo delizioso sugo di pomodoro e guanciale e poi cosparsi da copiose cucchiaiate di pecorino grattugiato. Ecco: pochi, ultimi gesti e l’amatriciana è pronta.
Ma saranno gli ottimi ingredienti e la maestria del cuoco, anche casalingo, a fare la differenza tra una semplice pasta al pomodoro ed una vera, saporita, autentica pasta all’amatriciana.