Leggevo e pensavo: “Occavolo, bel titolo per un post”, ma a Bookfood ci aveva già pensato Repubblica. Che ha passato in rassegna il fenomeno delle eno-gastro-librerie italiane, dal colosso Coop con Eataly a Feltinelli insieme all’Antica Focacceria San Francesco, per finire con alcune librerie più piccole, come la mai troppo elegoiata Liberrima di Lecce, che tentano la rimonta vendendo vino e cibo. Prima di lasciare Napoli per Milano, andavo spesso alla Feltrinelli di piazza dei Martiri per leggere un po’ di cose, prendermi un panino o fare colazione. L’unico tavolino e le quattro sedie erano ambitissime e c’era sempre la paura di rovesciare le cibarie sulle pagine non ancora acquistate. Presto vedremo tavolate di lettori che si confrontano sull’ultimo best seller? Portiamoci avanti e ricalcando il “cesto letterario” inventato da Liberrima, buttiamo giù una lista di libri con piatto e vino in abbinamento. Inizio io.
– Il giovane Holden di J D Salinger.
Tipico romanzo di formazione. Se sei incline all’amore cosmico leggi Siddartha, se sei incazzato con il mondo leggi la storia lunga un week end di Holden Caulfield.
A 16 anni non si è in pace con nessuno e come Holden mangi quello che capita.
Junk food soprattutto, non perchè ti piace, ma perchè ti sembra in linea con il tuo stato d’animo, caotico.
E poi arriva la prima sbronza, quella seria, quella che ti fa dire, mai più nella vita.
– La versione di Barney di Mordecai Richler.
Esagerato, con quella scrittura densa, piena di immagini, una sceneggiatura perfetta (ma il film non regge il confronto con il romanzo), degno di un banchetto di Trimalcione.
Sulla tavola c’è tutto: amore, morte, odio, perdono, dolore, passione, infelicità.
Mi viene in mente il sartù di riso di mia nonna.
Era immenso, largo e alto e dentro c’era di tutto, uno scaccia miseria da servire la domenica in tavola, alla faccia di chi ci voleva male.
– Nudi e crudi di Alan Bennet.
Un libello di poche pagine da leggere tutto d’un fiato e con sonore risate che in realtà nascondono ghigni divertiti.
Ai malcapitati protagonisti i ladri portano via tutto, anche l’arrosto.
Comodamente in poltrona, birra scura inglese (omaggio all’autore) e patate fritte a sfoglie, abbastanza da coprire una novantina di pagine.
– Io non ho paura di Niccolò Ammaniti.
A torto considerato uno scrittore della X generation, Ammaniti ha invece idee molto chiare sulla vita e sul suo stile letterario: asciutto, crudo, solare.
E’ bravo come pochi e non ha da fare compromessi per essere uno scrittore di successo.
I suoi bambini saggi che mettono in riga aduti irresponsabili fanno pensare a sapori netti: olio, pomodori, pane, a fette di caciotta e al grano sulla terra che scotta.
A me vengono in mente i panini (si fa per dire) fatti con il “cozzetto” del pane cafone ripieno di parmigiana di melanzane. Mangiato sulla spiaggia dopo un bagno che avresti voluto non finisse mai, con cugini e amichetti tutti in fila a strappare bocconi e a guardare l’orizzonte, come ipnotizzati.
– L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.
Non poteva che essere un capolavoro il romanzo di una donna che ha un nome e un cognome così.
Passione e intelletto, un po’ il binomio perfetto che ci vuole anche in cucina.
La protagonista, Modesta, è tutt’altro che tale. Ambiziosa, spregiudicata, tenera e terribile.
In Sicilia sfida la cultura patriarcale, fascista e mafiosa e lo fa con tutta la sua nudità.
A cosa altro puoi pensare se non a una caponata dolce-salata e ai dolci barocchi di Trinacria?
Proverò a rileggere il libro e a ingozzarmi di cannoli. Secondo me lo stordimento è assicurato.
– Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.
Me lo regalò il mio fidanzato di lungo corso. Per dirmi che mi lasciava. Per farmi capire in cosa eravamo diversi. Mi disse che non ero scandalizzata abbastanza.
In pratica che la mia coscienza civile non reggeva il confronto con la sua. “Fanculo te e il tuo impegno civile”. Me ne andai a Milano poco dopo. Dormivo in uno studentato gestito dalle suore in piazza Buonarroti. Mentre leggevo Pasolini mangiavo molto giapponese take away.
Mi facevo domande sulla banalità del male, o meglio del perchè mi facevo del male in modo così banale. E la risposta me la diede Pier Paolo: “( …) forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale”.
– Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino.
Lo confesso, ho un debole per i libri dalla forte impronta cinematografica, quelli che mentre li leggi te li vedi scorrere davanti.
Per me Tony Pagoda ha il volto di Toni Servillo, come quello di Tony Pisapia in ” L’uomo in più”.
Per me Paolo Sorrentino è la Napoli che vorrei sempre e di cui andrei orgogliosa 365 giorni l’anno. Solare ed esoterica, sfacciata nella sua complessità e con una testa così fine, ma così fine che se volesse, potrebbe far mangiare polvere a tutte le altre città.
Pesce fresco a tutte le ore del giorno e della notte. Come una impepata di cozze alle 3 del mattino in piazza Sannazzaro sotto le lampadine da 40 watt delle pizzerie.
– Il barone rampante di Italo Calvino.
Salire su un albero per non mangiare un piatto di lumache e non scendere mai più. Io lo trovo un pretesto bellissimo. Di cosa si nutre Cosimo Piovasco di Rondò? Il barone è troppo intento nelle letture, nei carteggi epistolari e nelle sensuali storie d’amore per preoccuparsi del cibo.
Questo è un mezzo per vivere la vita che si è scelto.
Un ecologista ante litteram, un precursore di Slow Food, un crudista? Semplicemente (e non è semplice per niente!) uno che manifesta una invincibile ostinazione nel voler seguire una propria via, un modo preciso, autentico, personale, anche se eccentrico, di essere nel mondo.
– Ho servito il re d’Inghilterra di Bohumil Hrabal.
Un libro dalla parte dei camerieri, di chi deve lavorare con l’abbondanza degli altri e pur non si arrende.
Banchetti e storie goderecce, un’assoluta passione per la vita, una voglia di denaro e di successo che è ansia di riconoscimento.
Tutto condito dal senso slavo, poetico e bislacco della vita.
Va letto perchè gli eroi infimi non saranno da esempio ma sono di gran lunga più divertenti.
– Tuttalpiù muoio di Filippo Timi e Edoardo Albinati.
Filo vuole diventare famoso, vorrebbe fare la rockstar ma finisce per fare l’attore. Ha tanta fame e spesso non ha soldi in tasca. Ha un pacco di gallette sul tavolo che mangia di notte dopo un’altra serata passata in giro senza mangiare.
Eppure l’energia fisica di questo libro è strepitosa: sui palcoscenici, nella giungla dei ritrovi gay, nei letti, per strada. Timi ha fame di tutto, non solo di cibo. Il suo è un egocentrismo vorace. Sembra chiederti pena e comprensione e poi all’improvviso ti assale e ti insulta. Non è elegante, non è raffinato, ti afferra e ti scuote. E’ un invito a pretendere dignità. E intanto la fame mi è passata.
[Crediti | Link: Repubblica.it, Liberrima. Immagini: Google Immagini, Affari Italiani]