Quando il gastrofanatico Enzo Vizzari, tempo fa, indicò il consumo di tartare di tonno come un insopportabile déjà vu culinario, non mi convinsi. Quando amici esperti dell’arte sushi mi avvisarono dell’imminente, possibile estinzione del tonno rosso, il bluefin, non mi convinsi neppure allora, e continuai a cibarmi di quel pescato. C’è voluta Greta Scacchi, che posa nuda abbracciata ad un pesce, a scuotere la mia coscienza poco ecologica: quella bellezza iconica, assieme a quel pesce peraltro indubitabilmente cadavere (che bella morte) ha attirato la mia attenzione su un film-documentario, The end of the line, e sulle conseguenze ambientali della pesca intensiva di cui è vittima questo mito di ogni gourmet, il tonno rosso. Il film segue la traccia di documentari pluripremiati come Una scomoda verità, e colpisce lo spettatore alla pancia (passatemi la metafora) ipotizzando un futuro senza pesci nel mare.
Le conseguenze al movimento d’opinione innescato dal film, e da alcuni protagonisti dello show business, non si sono fatte attendere: mentre si avviava un vero e proprio boicottaggio di Nobu, la catena Pret a Manger annunciava l’azzeramento del prezioso tonno dai suoi menù, e date le dimensioni del gruppo sono attese altre cancellazioni. E i consumatori? Potrebbero fregarsene dell’atteggiamento eco-sostenibile dei ristoratori, o cambiare specie—non tutti i tonni sono in estinzione—o ancora, condividere la soluzione dell’allevamento. Restiamo in attesa del film che – dice la critica – contiene abbastanza argomenti per convincere il peggior cinico: pure quello che accetta di salvare una specie in estinzione, con l’unico scopo di cibarsene in un secondo tempo.