In certi momenti si mettono improvvisamente in moto ondate di consenso, maree di popolarità, e allora esplodono i casi. Piglia lo scrittore americano Jonathan Safran Foer. Si parla con un furore impensabile del suo libro «Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?», edito da Guanda. Un’inchiesta sulle torture che polli, tacchini, maiali e mucche subiscono prima di finire nel nostro piatto. Sul suolo patrio si è appena consumato il melodramma di Beppe Bigazzi, l’anziano buongustaio toscano cui la Rai ha rescisso il contratto per aver esaltato il piacere del gatto in umido. E ora, The Cove, l’eco-documentario del regista Louie Psihoyos che racconta la mattanza dei delfini in Giappone, vince l’Oscar 2010.
Secondo voi come mai questi segnali arrivano tutti insieme? Noi ce lo siamo chiesto perché mangiamo gli animali, ma le risposte non sono state troppo originali. Mangiare carne è immorale vs No, è naturale. La dieta vegetariana va bene vs No, il nostro corpo ha bisogno di proteine animali. Il gatto non si mangia vs E perché il cavallo sì?
Cosa aggiungono alla discussione le immagini cruente di The Cove? La mattanza dei delfini in Giappone non somiglia pericolosamente a quella dei tonni in Sicilia? Forse il punto è proprio questo, farla finita una volta per sempre con la crudeltà.
The Cove racconta che ogni anno nella baia di Taiji, in Giappone, i pescatori intercettano le rotte migratorie dei delfini e, grazie a una barriera sonora realizzata con spranghe di ferro battute contro le imbarcazioni, spingono interi branchi verso la “baia della morte”. Chiusa l’imboccatura della baia con una rete, i delfini – parzialmente smembrati – attendono la morte dopo una lenta agonia che tingerà di rosso le acque del mare.
Il Giappone giustifica la mattanza con la necessità di destinare al consumo la carne di delfino, nonostante molti studi abbiano denunciato che contiene una quantità di mercurio superiore di nove volte al massimo consentito.
La stessa cosa succede nelle isole Fær Øer, paese membro del regno Unito di Danimarca. I cetacei vengono radunati e spinti a riva. L’obiettivo è ucciderli per ricavarne cibo e materie prime di ogni genere. Una mattanza strettamente regolamentata (il regolamento è qui, in inglese). Sono vietati fiocine e arpioni, e i delfini vengono uccisi tranciando la spina dorsale. Cosa che produce la morte entro 30 secondi, in linea con la macellazione bovina e suina diffusa in Europa. Ma ha anche l’effetto di troncare le principali arterie dell’animale con l’inevitabile finale delle acque drammaticamente tinte di rosso.
A parte le tecniche d’avanguardia utilizzate nel documentario, l’Oscar 2010 assegnato a The Cove premia gli sforzi fatti per dar conto di queste realtà disumane. Ci sono voluti mesi di appostamenti e metodi da incursori per eludere la “sorveglianza” dei pescatori. Ma grazie alle numerose telecamere spia che il regista e i suoi collaboratori sono riusciti a collocare, buona parte del mondo scoprirà una realtà agghiacciante e sconosciuta. Aspettando il film, premiato al Sundance americano e già passato per il Roma Film-Festival, questo è il trailer.