C’è una Roma papalina ed una che svergognata mostra le cosce, che mette lo sguardo severo di Giordano Bruno proprio di fronte al cupolone. Mi bruci e io lo sguardo non lo abbasserò, mai. C’è chi la pajata la mangia con la polenta, sporcando dei diversi razzismi di nord e di sud la nobiltà del popolo antifascista, chi invece ricorda, tramanda la storia da cui si proviene, come fosse tutta racchiusa in una zuppa di fascioli co’e cotiche. Chi fa piangere perchè impoverisce la gente e la sua storia, chi ridere, raccontandola senza giudicare. Succedono così le cose di Roma, casa mia. Protezione, nudità, avvolgimento, coperta calda, vestito leggero, bimbo piccolo e donna nuda. Ti cerco, ripetutamente, per confortare me, esule. Ti mangio, io. Cerco te, cibo mio dell’anima.
Quando mi dico che non è il luogo dove si possa stare, nervosa, brutale, quoque tu bruto , lei mi prende la mano, mi carezza e mi porta nel suo ventre, passeggiandomi tra sorrisi. Chi mi conosce sa. Non passo da Roma se non mangio la pizza al Formula Uno a San Lorenzo, perchè scrocchiarello deve essere l’amore. Prima il fiore di zucca, però. Non passo da Roma se lei, libera, non racconta a me il mondo di Morfeo. Non passo da Roma se i miei tacchetti non abbiano corso sotto la pioggia battente. Piccoli contro grandi e noi a sfiatare, a imparare a giocar da fermi, a far girare la palla, contro chi corre rapido. Ma noi abbiamo il Pallina che vuole chiamare suo figlio Paulo Roberto. Non passo da Roma se non attraverso Monti. Casa di un amore che rivedo ogni giorno nel riflesso di un bimbo.
Ma lo sguardo oggi si ferma sulle lacrime di donne e uomini. Qualcuno che è padre di quella gente ha fatto scacco al re.
E sia, morte, che Branca è stanco, che troppo ne ho fatte e viste. Ma se mi vuoi dovrai combattere. Tutti sapevano. Ma qual’era l’ultimo combattimento che avrebbe potuto lui permettersi oramai a un passo dai saluti finali?. Chi è re della commedia ne conosce i trucchi che ne fanno capolavoro. Non mi avrai. Decido io, tu no. Perchè ho dato più di quello che mi è stato chiesto. Perchè ne sono a un passo. Non voglio preti a ricordare la mia storia. Che abbiano vergogna piuttosto di me, figlio di Caino. Dovranno avere timore, anche sino a dopo il mio saluto. Sbeffeggio, io, Branca. Quando loro mi aspettavano, li, a un passo dalla redenzione. Invece no. Carognilla, schifosilla, mortaccilla. Lo manco diabolo tuo patrono te lo potrà salvare. I cristiani perdettero la loro, per aver colpito la mia di testa. Ma lei sorrideva senza paura e si mise tra Branca e la morte. Questa sera non chiamarmi pazzarilla. Chiamami felicilla.
Un uccello volò e Branca, nel caldo di un deserto chiamato mondo, urlò, sorridendo: Felicilla, felicilla.
Grazie Mario.
Tom Waits
Cosa associare musicalmente alla cucina popolare romana e a Monicelli, come me romano d’adozione. Penserei subito a Alessandro Mannarino, dissacrante, poetico, dalla parte dei perdenti, dei resistenti, dei magnapreti. Ma sarei ridondante e Mannarino merita un discorso a parte. A cosa allora? Chiaro: al mio amato Tom Waits. Il blues nella sua versione più ilare, scanzonata. La rottura degli schemi, l’invenzione di un linguaggio semplice. Essere profondamente popolari, mostrare le umanità che lo fanno un popolo. Far riemergere la storia della commedia dell’arte, tanto quanto Waits è figlio diretto della canzone popolare americana. A loro, cantastorie salvifici, ci si appella.
Antipasti romani
I miei preferiti:i carciofi alla romana, con la mentuccia e l’aglio nel cuore del carciofo, il carciofo alla giudia, fritto, diventato ventaglio come rosa aperta, da Sora Margherita; l’abbacchio scottadito, all’Osteria Monti. Il baccalà fritto, con la pastella magica, di farina, e acqua gasata, il migliore a Via dei Giubbonari, take away ante litteram. La coppa che te se scioje ‘n bocca. Le coppiette, quando Roma la guardo dall’alto da Frascati. A Monti mangiai alla festa monticiana la pancetta cotta con l’aceto. Amo i fascioli co’ e’ cotiche, perchè non c’erano soldi per la pancetta. L’arzilla e broccoli, perchè il pesce povero talvolta è anche il più saporito. Roma mia quanto te vojo bene.