In netto ritardo leggevo la fiumana di commenti al post del reprobo Tomacelli, in cui si tornava a parlare di un argomento che evidentemente tange l’intimo di più d’uno di noi. E’ in questi momenti che i lettori danno il meglio di sè, ed è in questi momenti che nei commenti succede il meglio. Infatti a pagina 29 sotto il salace nickname di “chef cicciolo” leggiamo la bislacca teoria di un “un giornalista (”Professionista” e non come tanti che si spacciano come tali…) e anche un gourmet” secondo la quale “la critica enogastronomica è una materia assolutamente anni luce distante dalla pletora di food blog pubblicati in rete a meno che non siano testate gionalistiche.” Prosegue poi più assertivo, dicendoci che “Però ripeto su VG, come su Dissapore non si fa critica enogastronomica… trattasi di semplici commenti…”.
Io già di mio credo di non fare critica gastronomica in senso stretto: ora che scopro che la critica gastronomica è riservata ai giornalisti professionisti sono assalito da una ulteriore vertigine nella mia autoconsiderazione. Eppure cucino benissimo pur non essendo un cuoco. E non so curare nemmeno un callo pur essendo dottore*. A parte la strampalata visione del mondo di Chef Cicciolo, della quale non condivido nemmeno l’ultima delle virgole, trovo piuttosto ardito riservare ad una categoria predefinita l’autorità di parola sul cibo.
Del resto, a parte coloro i quali considerano il cibo una sfortunata incombenza e ai quali va un pensiero di affettuosa comprensione, mangiamo tutti da tre a cinque volte al giorno, e credo abbiamo tutti diritto almeno all’abilitazione a parlare di cibo, anche senza essere iscritti all’albo.
Di certo la competenza in materia di cibo di Wainer Badodi – gruista di Borzano – è superiore a quella del 99.9% della popolazione mondiale in musica puntuale. Che all’uscita di un concerto di Stockhausen sì, potrebbe solo fare commenti.
La tentazione di spiegare il mondo con le categorie mi atterrisce.
*non medico.
Immagine: Paperoga e Dintorni