“Ho sparato a un babbuino in Africa, mercoledì scorso, subito dopo pranzo. E l’ho ammazzato”. Non esiste core-business più usurante che tenere una rubrica di recensioni di ristoranti. Zavorrato dalle 5 cose che devi scrivere a tutti i costi—menu, vino, servizio, ambiente, conto—non riesci mai a dire qualcosa di nuovo. E siccome dire qualcosa di nuovo è la sola ambizione che sia sensato avere, eccoci daccapo. L’eccezione alla regola si chiama AA Gill, genio e critico gastronomico nello stesso biglietto da visita (per quanto impossibile possa sembrare). E’ lui il killer di babbuini, lo ha confessato in una insolita recensione pubblicata dal Times di Londra domenica scorsa.
Apriti cielo.
I giornali concorrenti sono insorti (uno, due, tre), la protezione animali lo ha definito un uomo incapace di avere rimorsi, perfino Twitter ha reagito. «Solo i leopardi mangiano i babbuini, non ho ucciso per questo. Volevo vedere cosa si prova a sparare a qualcuno» si è giustificato Gill, che era in Tanzania per un safari. La spiegazione non ha aiutato, nemmeno l’idea di raccontare i particolari della morte. «Ho colpito il primate da oltre 200 metri, perforandogli il polmone sinistro. Di solito i babbuini sono difficili da colpire , scappano, corrono e si arrampicano sugli alberi. Ma non questo. Questo è morto lentamente».
La reazione più acuta, comunque, arriva da un altro quotidiano. Scrive oggi il Business Standard che, nonostante Gill affermi il contrario, la carne di babbuino è commestibile. In Africa, ci sono stati tentativi di aprire un mattatoio specializzato, falliti presumibilmente perché le scimmie somigliano molto all’uomo. Ma un gruppo di agricoltori si è messo in testa di vendere carne di babbuino sotto forma di salumi.
Cosa ci dicono queste storie? Che dobbiamo considerare l’ipotesi di non mangiare più la carne? E se continuiamo a farlo, non c’è una profonda incongruenza tra deplorare l’uccisione di un babbuino e ordinare un’altra porzione di pollo alla diavola?