–“Bellissima festa, complimenti. Volevo però segnalarvi una cosa spiacevole…”
— “Dimmi”
— “In giardino, lì sul fondo… [la mia voce diventa un sussurro] beh, ci sono dei ratti. Grossi. Con le code rosa”
— “Certo, si tratta del nostro progetto Vitadatopi”
— “COSA?!”
— “Sono topi nati in cattività perché provengono da laboratori dove erano destinati alla sperimentazione didattica e scientifica. Sono esseri viventi, bellissimi e intelligenti. Qui vivono liberi.”
— “…”
Ho adottato i miei cani in un canile alle porte di Milano, il ParcoCanile di Arese. Se non ci siete mai stati, andateci: come il nome promette, assomiglia più a un parco che a un canile e l’impegno e la professionalità delle persone che lo gestiscono è encomiabile. Il canile è solo una delle attività di un’associazione che si chiama Vita da Cani, che – tra le altre cose – promuove la cultura vegan.
Al ParcoCanile, oltre ai cani, ci sono suini sottratti al macello, pecore e, appunto, sorci. C’è anche un piccolo negozio che vende i testi di riferimento dell’ideologia vegana – io ci ho comprato la maglietta “FEMMINA DOMINANTE” (che ora volete anche voi!). Dopo l’adozione dei cani ci sono tornata spesso, anche per partecipare alle attività di raccolta fondi – come le cene vegan – che organizzano con frequenza.
Ho già parlato qui del mio complesso rapporto con quello che mangio (riassumendo: niente carne, sì pesce, sì uova, sì latte e derivati del latte). Qualche giorno fa ho letto il racconto di Andrea Scanzi, giornalista e scrittore vegetariano, alla Vegan Fest di Seravezza (Lucca), e molte delle cose che dice risuonano con la mia esperienza al ParcoCanile:
“Per la prima volta mi sono sentito diverso non in quanto vegetariano, ma in quanto “soltanto vegetariano”. Ero “strano” io, perché ancora mangio uova e formaggi (sempre meno, ma li mangio) e perché indossavo un giubbotto di pelle (finta). E – addirittura – perché osavo portare le scarpe. (…) E – a dirla tutta – detesto questa mania dell’andare a piedi nudi. Esteticamente mi risulta intollerabile, soprattutto negli uomini”
Io ho simili problemi: per assecondare la mia ossessione estetica per le scarpe tendo a non considerarle in alcun modo apparentate con alcuna sofferenza animale. Di che materiale sono fatte le scarpe? Se lo chiedi a me, estratto di sex appeal intessuto di erotismo! In ambito meno frivolo: scrivendo di cibo, le mie scelte alimentari mi pongono sempre in una posizione complicata. Non mangiare la carne è un limite per me dal punto di vista professionale; ma la mia sensazione di fondo rimane quella di non fare abbastanza, e non certo viceversa. Ciò che intendo è che, utilizzando una logica coerente, escludere la carne richiederebbe di eliminare anche il formaggio: quasi tutti i formaggi in commercio sono prodotti con caglio animale, che è un sottoprodotto della macellazione di vitello, agnello o capretto. Certo, si può scegliere di mangiare solo formaggi prodotti con caglio vegetale o batterico ma il problema rimane: a produrre latte sono animali che hanno partorito, e quel latte viene sottratto al piccolo, svezzato artificialmente. Inoltre: se il cucciolo è femmina, potrà diventare a sua volta una fattrice, se è un maschio nella grande maggioranza dei casi il suo destino sarà il macello. Insomma, la macellazione è una conseguenza naturale e inevitabile del fatto di nutrirsi di latte e derivati del latte; e lo stesso è vero per le uova – i pulcini maschi non servono a (quasi) niente.
Se si vuole vivere senza causare sofferenze agli animali essere vegani (cioè eliminare dalla dieta carne, pesce, uova, latte e derivati) appare l’unica scelta realmente coerente. Al netto di piedi nudi, derive crudiste e devozione per i ratti, forse per questo i vegani attirano così tante antipatie: ci mettono di fronte al fatto che l’unica soluzione a un problema sentito da molti è – in fondo – una scelta estrema.
[Crediti | Link: Vita da Cani, Dissapore, Il vino degli altri. Immagini: Giornale di Barga]