Per costruire un rapporto di fiducia con chi legge bisogna essere onesti, è indiscutibile, e scrivere sempre cosa sta realmente accadendo. I modi invece si possono discutere, prendi Dissapore. Per noi una storia è una storia, che venga dal New York Times o da una fonte anonima (ma credibile) non fa differenza. A un patto: è proibito cercare capri espiatori attraverso diffamazioni o insulti gratuiti. Detto questo, ai parossismi da maestrini dell’etica preferiamo una brutale sincerità. Così, quando la settimana scorsa un ristoratore che voleva restare anonimo mi ha chiesto se fosse opportuno da parte di blog, guide e altri media, dar lustro al ristorante napoletano Il Comandante di Alfredo Romeo – imprenditore condannato a due anni di reclusione per una vicenda di appalti pilotati – prima ci ho pensato, poi, di nuovo sollecitato dal ristoratore, ho deciso di domandarlo ai lettori. Come sempre.
A chi si chiede se la mail ricevuta dal ristoratore fosse diffamatoria rispondo di no. Il testo, raccolto da Leonardo Ciomei, editor di Dissapore, e da me pubblicato con alcuni ritocchi irrilevanti ai fini del significato, diceva tra le altre cose che: “giornalisti come il pur bravo Luciano Pignataro, gli hanno dedicato post acclamatori “quanto è bravo… finalmente a Napoli… quant’è bello il ristorante…”. Una citazione quella riguardante Pignataro, che aveva il solo scopo di preparare la domanda successiva: è ancora opportuno dar lustro a certi ristoranti?
Il problema, al di là delle parole di facciata dei guidaioli (“Dissapore è la cosa più bella, starei per dire l’unica, dell’ultimo anno gastronomico italiano“, Luciano Pignataro – 17/02/2010) è che ci sopportano poco, perché descriviamo l’agonia delle guide “di carta” senza troppo rispetto per le regole del club.
Sta di fatto che il post di Dissapore ispirato dalla mail del ristoratore, apparecchia una spettacolare, potente crisi di nervi. Vittima, ovvio: Luciano Pignataro, giornalista gastronomico dalle 1000 amicizie e collaborazioni (guide L’Espresso, Slow Food) specialmente in Campania, e finora, grande estimatore di Dissapore. Che ha vistosamente preso a modello per lo sviluppo del suo blog.
Fuori di sé, colpito da temporaneo black out dei circuiti cerebrali, Pignataro dimentica di essere un giornalista, e senza uno straccio di prova afferma risoluto: “Maurizio Cortese è evidentemente l’ispiratore di questo post e usa Dissapore come una clava contro tutti i presunti nemici del Don Alfonso”.
Capìto il ragionamento? Secondo lui, quella del ristoratore anonimo è una favoletta inventata da Dissapore (che di conseguenza è una specie di “Gazzetta della Bugia”), e dietro questa storia c’è Maurizio Cortese, interessato a distruggere un concorrente del ristorante Don Alfonso di Sant’Agata tra i due Golfi (NA).
Ora: come si può pensare una cosa del genere? Quanto risentimento e frustrazione nasconde un pensiero così contorto? Io ve lo dico, fossi stato Maurizio Cortese sarei saltato alla giugulare di Pignataro. Invece Cortese, che ha scritto praticamente di tutti i ristoranti dell’area napoletana, è rimasto in silenzio. Il suo mantra è: Non. Rispondo. Alle. Provocazioni. Gratuite.
Ma chi è Maurizio Cortese? Gastrofanatico di lungo corso, editore associato di Dissapore, Cortese è persona specchiata. Con un problema. Conosce fin da bambino Alfonso Iaccarino del ristorante Don Alfonso, marito di Livia Iaccarino, che in un famoso episodio di Striscia la Notizia, ha accusato di poca etica professionale Enzo Vizzari, direttore guide dell’Espresso, e di conseguenza, anche di Luciano Pignataro. Agli occhi dei due, questo equivale a un marchio di infamia. E Maurizio Cortese, nonostante per chiarezza con i lettori abbia dichiarato l’amicizia con gli Iaccarino ogni volta che si è occupato del Don Alfonso, è ritenuto il consigliori che ha ispirato la condotta di Livia Iaccarino. Ma non basta, anche l’ideatore occulto della petizione “per non essere più giudicato dal direttore delle Guide de L’Espresso, Enzo Vizzari“, che tra l’altro, io stesso ho definito una sciocchezza. Anche ‘stavolta, senza la minima prova.
Prima provare poi parlare. Tornando al Romeo di Napoli, per scoprire se valeva la pena dargli lustro, come chiedeva il ristoratore anonimo, Dissapore ha inviato al ristorante il suo collaboratore Giampiero Prozzo. Perché va da sé che per noi l’elemento “come si mangia” non è esattamente secondario.
Siccome non esiste un unico modo di descrivere un ristorante, anzi, è auspicabile cercare alternative al linguaggio stereotipato delle recensioni, Prozzo ha usato un tot di parole per spiegare ai lettori la situazione atipica del Romeo, e meno per raccontare gli attributi gastronomici del ristorante.
E’ libero di farlo? E ancora: è libero di esprimere la sua opinione sulle cose che ha mangiato?
Macché. Ormai in rottura cerebrale prolungata, Pignataro nel suo blog aggredisce anche lui con massicce dosi di arroganza. L’eterna, odiosa arroganza del giornalista di professione alle prese con il critico fai-da-te (e visto che c’è, replica le accuse gratuite a Maurizio Cortese). Siamo all’apoteosi, Prozzo avrebbe c-e-n-s-u-r-a-t-o le fotografie dei piatti mangiati per danneggiare Il Comandante. Lo sbrocco è palese, mica sono questi i percorsi mentali del Luciano Pignataro che conosco (e tralascio la retorica dei commenti: “Napoli non decolla”, “ha fatto piangere dei ragazzi che lavorano”). Prozzo non ha inserito le foto perché abbiamo concordato insieme che non fosse il caso. Non erano all’altezza di quelle da noi pubblicate abitualmente. Eccole.
Enzo Vizzari. Nella discussione seguita alla pubblicazione dei due post di Dissapore è intervenuto anche Enzo Vizzari. Che ci ha rimproverato “di aver assimilato i peggiori difetti dei “vecchi” giornalisti della carta stampata”. Primo tra i quali, “l’incapacità di riconoscere i propri errori, anche veniali, e di voler ad ogni costo aver l’ultima parola”. Non c’è problema, i blog sono conversazioni si diceva tempo fa, uno scrive, l’altro risponde. Prima Enzo.
Non fa bella figura Dissapore quando prima spiega perché non recensirà mai il ristorante Il comandante, poi, senza spiegare i motivi del dietrofront, lo recensisce frettolosamente, affidando la missione a un aspirante cronista di giudiziaria che su cinquanta righe di “recensione” ne dedica tre-dicesi-tre alla cucina e tutto il resto a un prolisso blabla che vorrebbe mascherare l’evidente pre-giudizio nei confronti del ristorante in questione. Mi dispiace, sinceramente, per Dissapore. Cercate di volare un po’ più alto, come avete dimostrato di saper fare.
Vizzari, che pur intervenendo spesso non ha una grande dimestichezza con il blog, ha creduto di leggere l’opinione di Dissapore, non quella del ristoratore anonimo. Nessun problema, può capitare. Noi volevamo soltanto discutere con i lettori l’argomento sollevato dalla mail ricevuta. Argomento che divide. Quindi, non abbiamo fatto dietrofront inviando Giampiero Prozzo al Comandante.
Ora concedetemelo: la critica è una materia volatile, dove è difficile fissare certezze assolute, si va per graduatorie e per filoni, per parentele e assonanze, non c’è scienza o scientificità che tenga, alla fine ciò che conta è il gusto. E’ evidente che il gusto costituisce un criterio soggettivo, privo di qualsiasi riscontro misurabile. E Prozzo ha espresso il suo gusto. Opinabile finché volete, ma suo. Punto. Non ci sono pregiudizi nei confronti di nessuno.
Uff, ho bisogno di una boccata d’aria fresca. E il bello è che mi sfugge perfino il vero motivo della solenne incazzatura di Luciano Pignataro, perché quello apparente – il testo della mail ricevuta dal ristoratore – non la giustifica.
I blog sono solitari, poveri, sporchi e brutali. E l’agonia delle vecchie guide gastronomiche particolarmente lunga. E non è neanche lo stesso campionato.