Il primo ricordo che ho di una rivista è la torre di copie de La Cucina Italiana impilate in salotto da mia madre. Che se le riusciva il pollo allo spiedo, non sempre purtroppo, indicava orgogliosa le istruzioni della pagina staccabile. Per molti americani La Cucina Italiana è Gourmet: una storia lunga 68 anni chiusa in poche ore. Fatti i conti i consulenti Mckinsey hanno chiesto all’editore Condé Nast di chiuderla per sempre. Eppure la cucina americana moderna deve molto alla rivista, la prima che ha accantonato il linguaggio tecnico per parlare alla gente comune. Con il registro dell’originalità (il primo Alfabeto per Gourmet) e del talento (il saggio di David Foster Wallace Considera l’aragosta pubblicato nel 2004.)
Guidata dalla ex critica del New York Times, Ruth Reichl, negli ultimi anni la rivista non ha trovato un equilibrio tra vittime della ricetta e gastrosnob che chiedevano un New Yorker della gastronomia. Sia Gourmet che Bon Appetit l’altra rivista di cucina Condé Nast, hanno sofferto un orribile declino pubblicitario nell’ultimo anno, la chiusura non è stata una sorpresa.
Mi stavo chiedendo a quale rivista non rinuncerei se la crisi dell’editoria minacciasse la sopravvivenza delle italiane. Il Gambero Rosso? Un tempo, forse. La Cucina Italiana di oggi? Direi che i ricettari alla Sale & Pepe non fanno per me. Slow Food? Porthos? La piccola Apicius? O forse un mix di tutte queste.
Se vi chiedessi come dovrebbe essere e di cosa dovrebbe parlare una rivista oggi per farvi mettere mano al portafoglio, cosa mi rispondereste?
Immagini: Gawker