Non mi piace la parola “stress”. E’ una parola milanese. E’ una parola che può essere curata con dosi generose di caffè e una paccata (cit.) di macaron “Infinitamente caramello” (che nome poetico). Sì, è vero, passano per minorissimi sinonimi della golosità femminile e io maschio sono, e sì, è vero, abbiamo da poco condiviso la ricetta perfetta, ma diamine, oggi è il 20 marzo: il settimo jour du macaron!
I macaron con me rischiano la circonvenzione di incapace, sono, lo avrete capito, sinistramente succube dei dolcetti friabili all’esterno e morbidi fra i due dischi di meringa, ma non perché esterofilo o dallo stile di vita riconducibile alla gauche-caviar. Mi piacciono, ecco tutto. Sicché trovo molto noioso chi lascia chiare disposizioni per essere abbattuto qualora venga sorpeso a usare la parola macaron. Chi dà in escandescenze solo a sentirne il nome come nemmeno i francesi con Materazzi.
E siccome la cucina italiana non è sempre e comunque la migliore, mica m’iscrivo al campionato di quelli che li considerano la versione psichedelica dei nostri amaretti, o la copia-carbone anorgasmica dei baci di dama (schioccati prima dei cugini d’oltralpe, precisamente a Tortona nel 1852) .
Ma più che altro –lo so, anche questo è un cliché– vado pazzo per Pierre Hermé. E diciamolo un volta per tutte, Ladurée, che abbiamo a Milano, li avrà anche inventati nel 1880 ma il confronto tra macaron è impari, e non solo perché il guru di origine alsaziana s’è inventato il pret-a-porter dei macaron, con le collezioni che cambiano a ogni stagione nelle boutique di Parigi, Londra o Tokyo.
Il fatto è che, cresciuto alla corte di Gaston Lenotre, poi pastrychef del mistico Fauchon (immaginate un Peck milanese elevato al cubo), Hermé è stato il più geniale executive chef di Ladurée dai tempi del fondatore Louis Ernest. Ancora oggi, una gran quantità delle migliori ricette del rivale sono frutto della fervida mente di Hermé, anche se dopo il 1998, l’anno dell’addio, nulla da Ladurée è stato come prima.
Nel frattempo, il nostro ha aperto il primo atelier a Tokio (non a Parigi, dove, narra la leggenda, Ladurée aveva fatto terra bruciata intorno a lui), e la storia dei macaron ha preso forme e sapori nuovi. Ho avuto la fortuna di provare la collezione invernale, uno stupore continuo. Infinitamente Sur del Lago e Infinitamente Porcelana (cioccolati fondenti), Americano (arancio e Campari), olivo d’oliva al mandarino, foie gras e tartufo bianco, fino ai classici Infinitamente Cassis (al ribes nero) e Infinitamente Caramel (caramello al burro salato). A parole la ricetta è semplice, due, tre ingredienti perfettamente assemblati, stop.
Anche le jour du macaron è una sua invenzione festeggiata con altre griffe della pasticceria transalpina (Henvin, Dallayau, e la futura stella Aoki). Oggi, nelle pasticcerie sparse per il mondo che aderiscono alla festa, ci si abbuffa di macaron in cambio di una donazione per scopi benefici.
Mentre in Italia la giornata mondiale del macaron non sarà festeggiata, meno che mai nella filiale milanese di Ladurée.