Ha una fase d’attacco, una di crociera, una di consolidamento e una di stabilizzazione. E imperversa (più o meno criticamente) ovunque. Non è l’approccio tattico del Barcellona ma la dieta Dukan, l’apocalisse proteica concepita dal dottor Pierre Dukan circa dieci anni fa e sempre più in voga tra le tavole e i media italiani. Non sono pochi i nutrizionisti a illustrarne i pericoli per il fegato e i reni. Altri ne stigmatizzano l’utilizzo “ad minchiam” e molti ne raccontano le derive più deliranti.
Come Francesco Piccolo che sul Corriere dileggia la centralità della bresaola per farne il simbolo della bolla speculativa. Per poi ricordarci che tutte queste proteine finiscono per sviluppare aggressività (“ho preso mio figlio, gli ho urlato cose irripetibili, e se non mi avessero fermato gli avrei dato una testata in faccia, tenete conto che mio figlio ha poco più di tre anni”) e generare sogni bagnati ad Oro Saiwa (“il corpo ha bisogno di rigatoni e Oro Saiwa molto di più di quanto si possa immaginare. La notte non sognavo altro”). Io mi fido sulla parola perché a me di distruggermi di pollame, prosciutto light, crusca d’avena, frattaglie e integratori vitaminici non mi va mica. E la bresaola, che ormai sottende un mondo che mi angoscia, resta uno degli alimenti più tristi dell’umanità.
Sarà che le diete mi turbano parecchio. E non per una (a questo punto) casuale magrezza, ma perché nel miglior caso mi veicolano un’immagine del mondo di calvinista abnegazione che mai riuscirò a raggiungere e nel peggiore un’attitudine demenziale alla vita che mi urtica violentemente. Preferisco l’equilibrio. Ancora di più i fallimenti. Li trovo molto più umani. E sinceri.
Che poi la dieta Dukan è a suo modo un fallimento. Quello del sano e immortale senso logico e pratico. Quella facoltà che permette la sopravvivenza anche senza improvvisarsi medico, seguendo solo una vaga idea di equilibrio appunto. Altrimenti si ragiona come quel folle di Morgan Spurlock che per dimostrare la dannosità di McDonald’s nel film Super Size Me ha rischiato la vita mangiandolo a pranzo a cena per mesi.
Il punto è che non voglio pensare che a Lampedusa, dove usano mangiare arancini e pasta la forno sulla spiaggia con 42 gradi non siano assoggettabile alla deriva bresaolacentrica, ma il timore di potermi sbagliare mi fa dormire sonni agitati.
Il fritto napoletano a colazione e la fesa di tacchino a valanga sono due vie opposte alla cattiva nutrizione, ma la seconda nasconde la morte della tradizione. Per cosa poi? Qualche kg in meno e qualche squilibrio in più?
[Crediti | Link: Corriere Lettura, immagine: DonnaModerna]