Innanzitutto ringraziamo chi ha scritto e scriverà del nostro ristorante (compreso chi leggerà queste righe) per l’attenzione dimostrata. L’altro giorno, durante una registrazione per il canale Alice di Sky, la regista Alessandra Giammorcaro mi ha domandato “chi ti ha sostenuto e chi ringrazi per essere ancora qui?”. Nell’immediato la risposta è stata: “Il mio socio, mia figlia e tutti i nostri clienti”. Ed è proprio a loro che ci stiamo rivolgendo per un chiarimento circa le cose scritte dalla guida del “Gambero Rosso”, che riteniamo doveroso al fine di evitare uggiosi fraintendimenti.
L’anno scorso il giudizio del “Gambero Rosso” indicava come squalificante il fatto che il mio ristorante chiedesse la conferma del tavolo prenotato (scelta del tutto lecita che però meritava una precisazione della controparte. Vale a dire, il fatto che durante l’alta stagione noi abbiamo in sala nove tavoli, per cui chiedere la conferma continua a essere, secondo noi, una tutela sia per chi lavora in cucina e in sala, sia per i clienti che vedono garantita l’eccellenza delle materie prime delle quali ci riforniamo).
Visti gli elevati costi di gestione, che sarebbe ingiusto tacere, abbiamo sempre riconosciuto che “bucare” un tavolo prenotato -rischiando di non accontentare altri clienti- rappresenta un danno per la nostra economia e per la freschezza delle materie prime; e proprio per rispetto verso i nostri clienti, verso il lavoro e i cibi cucinati, che chiediamo la conferma del tavolo. Un piccolo gesto per tutelare tutte le parti in causa: clienti, cuochi, personale di sala, cibo.
Nel lusinghiero giudizio della guida “Ristoranti d’Italia 2010”, c’è però una “ambiguità” che vorremmo chiarire subito. E una volta per tutte. “Se si è in quattro o più commensali si viene ‘orientati’ un po’ troppo nella scelta del menù”, dice il Gambero Rosso.
Gentile lettrice, gentile lettore: tranquilli, questo al “Duomo” non accade. A onor del vero, sarebbe interessante riuscire a “orientare” i nostri clienti dentro certi percorsi enogastronomici, molto netti per struttura e suggestioni. Ma non è il nostro caso. E sempre per amore di verità, se c’è “orientamento” è solo quando raggiunto il numero di sette o più commensali, invitiamo gli ospiti a scegliere un percorso degustazione che serviamo a tutto il tavolo. Visto che cuciniamo molte materie prime e anche singolari, chiediamo al cliente se ha particolari intolleranze alimentari, o se c’è qualcosa di specifico che non mangia.
Tutto qui, davvero. Cosa scegliere dal menù e in che successione lo sceglie il cliente, ci mancherebbe!
Chiarito questo, vorremmo riflettere con voi sul modo in cui viene percepito il nostro territorio. Talvolta ci si stupisce del fatto che a pranzo la nostra cucina chiuda alle 13,30 e a cena alle 21,30. “In nome della filiazione diretta dal mondo arabo e della tipica accoglienza della vostra terra,” -ci si obietta – “l’ultimo turno di cucina dovrebbe cominciare alle 22.30”. Sì, è risaputo che nell’area del Mediterraneo si mangia fino a tarda ora, ma è incontrovertibile che l’usanza del pranzo (o della cena) inizi tardi anche essa. Si cena per esempio alle 23 perché il pranzo è stato consumato alle 15.
Ma l’errore è confondere “l’accoglienza del mediterraneo” con gli orari di lavoro di una cucina. Un turno di servizio che raccolga ordinazioni dopo le 22.30, in un ristorante rivolto a una clientela non solo locale come il “Duomo”, non è realizzabile. I cuochi entrano in cucina alle 8 del mattino per iniziare la preparazione e la trasformazione dei cibi. Mantenere aperta la cucina fuori dai canonici orari dell’intera penisola (per una preteso esotismo, retaggio di una singolare visione coloniale della Sicilia), sarebbe inoltre un danno per la qualità. Non si può garantire il meglio (o almeno fornirlo con premura e continuità) in queste pretese condizioni di lavoro.
E’ strano poi, che alla Sicilia si continui a chiedere di essere “isola a parte” rispetto al resto dell’Italia. Sembra quasi che le regole della ristorazione, accettate ovunque, qui da noi debbano per forza essere più malleabili. Sarà un nostro limite, ma a noi interessa uscire da questo provincialismo. Perdonate l’innegabile venatura di orgoglio, ma il nostro ristorante è riconosciuto dai clienti e dalla stampa come il più lontano avamposto di alta cucina in Italia. Siamo a Ragusa Hybla, lavoriamo in questo territorio in sinergia con tanti e ottimi produttori locali (sale, olio, farina, carne…). E’ questo il luogo del mondo che cerchiamo giornalmente di raccontare ai nostri clienti, in una ricerca continua condotta ora con azzardi, ora con provocazioni, ora con rivisitazioni della tradizione.
Per il rispetto che nutriamo verso i clienti che ci hanno sostenuto e che spero continueranno a farlo, per l’amore verso il nostro mestiere e il cibo che cuciniamo, per la responsabilità nei confronti del nostro territorio e delle sue tradizioni, sentivamo l’urgenza di scrivere queste righe.
Grazie per l’attenzione e per l’affetto che ci avete dimostrato in questi anni. Se vorrete venire a Ragusa Hybla, sappiate che vi attendiamo a braccia aperte.
Ciccio Sultano, Angelo Di Stefano e tutto il personale del “Duomo”