Nel dibattito carne si carne no i veg sono minoranza ma sui libri è un’altra storia, questi vincono a mani basse. Ha senso parlare ancora ideologicamente di carnivori e vegetariani? Forse sì, se l’empasse polemico tra le posizioni è smosso dal New York Times. La provocazione del giornale americano vorrebbe toccare il nervo scoperto di un’assenza di tesi pro-carnivore. Soluzione? Trovate delle argomentazioni etiche a favore del consumo di carne, dice il prestigioso quotidiano ripreso da Corriere Lettura, e inviate contributi di 600 parole alla nostra giuria di intellettuali animalisti. Il migliore sarà pubblicato.
Ora, soprassediamo sulla scelta della giuria composta solo da animalisti e chiediamoci una cosa molto semplice: i rozzi e materiali carnivori dovrebbero produrre una dottrina per sopravvivere? Fare leva sull’ultimo pediatra che consiglia il fegato per i più piccoli o sul dukanista che sponsorizza la carne per perdere peso? O ancora su qualche intellettuale dissidente che affina le lame della provocazione e si getta a capofitto sulla questione?
La posizione carnivora non ha forza culturale e politica perché in termine di dottrina è una non-posizione. E’ una consuetudine. E’ lo status-quo. E’ sbagliato? Probabile, ma le tradizioni non esistono sempre per essere ridicolizzate. Discusse sì, ed è sacrosanto, ma il doversi scontrare con un’opposizione che mi accusa con severità mentre gusto il baccalà alla vicentina è il segno dei tempi.
D’altronde per i carnivori, i vegetariani esistono e hanno le loro ragioni, mentre i vegani, i crudisti e i fruttariani (sì esistono e sono quelli che attendono la caduta naturale dei frutti, mentre noi roviniamo il mondo ordinando hamburger con l’iPad) sono un po’ come quei complottisti che vanno ascoltati con l’orecchio sinistro, mentre l’altro fischia degli echi del fanatismo. La loro ostentazione al rigore personale e al controllo ci annoia. Il loro relativismo etico ci spaventa. Non a torto, specie quando confrontano le morti delle Torri Gemelle con i polli macellati nell’allevamento.
Abbandonata l’opzione strettamente salutista, l’integralismo vegetariano cade nel propagandismo degli slogan e uccide l’interesse della controparte. Quello che perplime è il verbo indottrinante. L’aggressione al consumatore di carne. Il dito puntato. Specie in anni bui, dove le dita andrebbero puntate in altre direzioni.
Conviviamo pacificamente. Non mi date del bruto mentre addento una polpetta, non mi chiedete di scrivere seicento parole per giustificarmi. Nessuno vi chiede di giustificarvi perché comprate la camicia a dieci euro, sporca di sangue cinese, alla grossa catena sotto casa.
[Crediti | Link: Corriere Lettura, immagine: New York Times]