Non c’è carne viva oggi, nella storia di Dissapore, solo una voce che in certi circoli milanesi gira sempre più insistente. “Lo sai che Carlo Cracco chiude?“. Nulla di ufficiale, intendiamoci, e un dubbio senza contraddittorio, escluderei di leggere nei commenti la smentita dello chef. Però sarebbe il colmo, pochi anni fa Carlo Cracco era come “Gesù Bambino”, intoccabile, ammirato, invidiato. Nato nel ’65 a Vicenza, arriva a Milano nel 2000. I proprietari dell’insegna gastronomica più prestigiosa del mondo – PECK – aprono un ristorante in via Victor Hugo, vicino al loro quartier generale, e vogliono che sia lui a guidarlo.
Non per caso. Dai tempi della scuola alberghiera di Recoaro Terme, e delle prime esperienze in cucina, da “Remo”, a Vicenza, Cracco ha lavorato con il caposcuola (Gualtiero Marchesi) nel 1985, prima di abbordare la nobile cucina francese a Montecarlo da Alain Ducasse e a Parigi da Alain Senderens. Tornato in Italia, soddisfa i bisogni primari dei gurmé all’enoteca Pinchiorri di Firenze, non l’ultima delle mangiatoie di lusso, prima di essere richiamato da Marchesi, che nel ’93 ha appena aperto l’Albereta di Erbusco (Brescia). Tre anni dopo si sente pronto per il grande salto, e apre in proprio la locanda Le Clivie a Piobesi d’Alba (Cuneo). Lì riceve la chiamata dei fratelli Stoppani di Peck.
Tecnico, meticoloso, decisamente capace di sorprendere. Se il piatto-simbolo è Il tuorlo d’uovo marinato, l’inventiva pasta all’uovo senza farina o le tagliatelle senza tuorlo spiegano meglio di molte parole con chi abbiamo a che fare.
Nel 2007, quando Carlo Cracco rileva la parte di Peck diventando l’unico proprietario, il medagliere del ristorante è impressionante: due stelle Michelin, 18,5/20 dall’Espresso e 3 forchette per la guida del Gambero Rosso. E’ anche tra i 50 migliori Ristoranti al mondo secondo la classifica San Pellegrino.
Di lì a poco, arrivano la tivù inglese, la collaborazione con Lavazza, lo spot per l’acqua Panna, il DesignCafé alla Triennale di Milano, gestito per conto di Autogrill, il Festival della Mente, il film “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino. Carlo Cracco è il prototipo del nuovo chef mediatico, richiesto e affermato come pochi.
Le prime crepe si intravedono già a fine 2007. Dal momento che lo chef è famoso, gli episodi poco edificanti accaduti nel ristorante di via Hugo (vedi: ricarico record sui vini e conto da 4.140 euro che porta alla denuncia) deflagrano come bombe. Cracco retrocede nel giudizio delle guide, l’attenzione dei media sembra svanire. Addirittura, pochi mesi fa, lo chef della ricca e compiaciuta borghesia milanese si fa propugnatore di una cucina meno costosa. Cosa succede?
E ora, complice una crisi che non sembra allentare la sua presa famelica, le voci di una prossima, inevitabile chiusura. Ma secondo voi, è possibile che Carlo Cracco chiuda il ristorante di Milano?
[Fonti: IMDB, Lavazza, YouTube, Triennale, Festival della Mente, Vittoprio Zincone, Kelablu. Immagine: La via delle spezie]