Cerco e ricerco. Chiedo a Fratello Google di soccorrermi. Frastornata dal numero smodato di sagre agostane, cerco una cosa letta tempo fa su Dissapore. Trovata, era ora! “Non ho nel cuore l’amore per le sagre gastronomiche che impazzano dalle Alpi al Lilibeo. Dalla Sagra della Pecora alla Callara di Roiano di Campli TE alla Sagra del Tartufo Campolese a Campoli FR. Dalla Sagra del Broccoletto di Custoza VR alla Festa del Radicchio di Mirano VE.” Sottoscrivo parola per parola, naturalmente, ma per una volta non la voglio pensare così, diciamo che non sono io la colpevole della scritta avvistata l’altro giorno sui montanti del cavalcavia autostradale, quella che descriveva la situazione con rara efficacia: “Turisti svegliatevi, alle sagre solo merda congelata“. E passatemi il turpiloquio.
Okay, se anche fossi bendisposta nei confronti delle sagre, basterebbe qualche giorno nelle Marche per cambiare idea. Io ve lo dico: nelle Marche c’è la guerra delle sagre.
Cartelli fluorescenti in posti improbabili, nonsò, semafori o balconi, che proliferano verso ora di cena quando è palese che potete scegliere — oh, tutte le sere — tra 5 o 6 sagre nel giro di 10 kilometri. Come facciamo la polenta? Qui con lo stoccafisso, poco più in là con le lumache, a un tiro di schioppo “esotica”, che poi sarebbe con le vongole. Polenta trasformata in gnocchi a Marina di Altidona (Fermo), mentre di là dal fiume Aso, gnocchi alla marinara. Ma riassumendo, in agosto nelle Marche ogni portata del menù ha la sua sagra, dall’antipasto alla frutta. Non scherzo, c’è pure la sagra della frutta!
“Non ho nessuna fiducia sulla qualità delle pietanze servite in queste sagre: ricordo la Sagra del Polpo a SanVincenzo: polpesse in umido con vino di vascello servito a fiumi su tavolazzi con il rivestimento di linoleoum, al prezzo del pranzo in un ristorante, appena qualcosa meno“.
Rileggo Dissapore e penso: Sagra delle Cozze di Pedaso, anche se ti definiscono “Nazionale”, come potrò fidarmi? Potrebbe andare meglio con la sagra dei Maccheroncini di Campofilone o delle Olive Fritte, ma la segnaletica sevaggia mi invita contemporaneamente a quella della pizza, del pesce, degli arrosticini, delle lumache, delle vongole. Ci sono poi le infinite varianti dialettali, anch’esse rigorosamente maiuscole. Sagra de lu Porcu, de lu Scottadito, de lu Porcellino, de le Cacciannanze, de la Congola, de la Panzanella, de la Picciona (?).
Aspettate, non è finita. La sagra delle tagliatelle con la papera, la sagra delle tagliatelle fritte, perfino la pasta al tartufo e porcini ha la sua sagra, a Force (AP). Le pappardelle al cinghiale abbondano malgrado agosto, forse le cuociono al sole, sostituibili nel raggio di pochi kilometri dai contesissimi vincisgrassi (Castelraimondo e Montottone). A occhio, poco rinfrescanti anche le sagre del coniglio in porchetta, del polletto allo spiedo, del “chichiripieno” (?), delle quaglie, del castrato, dei fegatelli, degli spiedini, del vino cotto, dello “scartoccio”, della vagamente immorale “passera mbriaca” (sugo di quattro animali diversi, ubriacato con il vino Passerina).
E il companatico? Crescia, bruschetta, crispella, piadina, venite: una sagra non si nega a nessuno! Sperando che dal paese confinante, sempre un po’ invidioso, a nessuno venga in mente nottetempo di strappare il cartello che addobba ogni pino marittimo del lungomare, creando quel gradevole effetto “incubo di un impasticcato”.
Le Marche son bellissime, ma alla fine l’utilità di queste manifestazioni un po’ mi sfugge, sfoggio delle amministrazioni, passerella per le Pro Loco? Tremonti sentammè, lascia stare pensioni e articolo 18 sennò ti fai male. Province, regioni e sagre soprattutto, allora sì che la manovra avrà un che di epico.
PS. Premio per la miglior denominazione ever: Sagra della Salamina da sugo al cucchiaio Madonna Boschi di Poggio Renatico (FE).