L’acqua, a meno di clamorosi miracoli, non è vino. Per venderla a caro prezzo puoi anche inventarti I SOMMELIER delle acque però che rottura!, un altro migliaio di assaggiatori che scorrazzano liberi tra ristoranti e guide. E poi, diciamola tutta, l’acqua per sua natura non deve avere sapore e non può evocare sentori di mela o frutti rossi come un qualunque Brunello. Allora come fa l’industria a venderci a caro prezzo una roba comune come l’acqua? Mette sotto torchio i geni del marketing finché non zampilla la ricetta vincente: confezione + provenienza e il gioco è fatto. Nell’ultimo anno siamo stati invasi da una miriade di bottiglie dalle forme inverosimili (a palla, a tubo, a tortiglione) con contorno di cristalli svaroschi e preziose satinature.
Non vi dico poi i posti inverosimili dai quali queste fonti sgorgano: neanche Jurassic Park era arrivato a tanto! C’è quella che schizza dal vulcano giapponese Fuji e quella dei ghiacciai del Polo Nord, la neozalendese vulcanica, la canadese ricca di ozono e perfino l’acqua minerale africana. Tutte acque provenienti da paradisi inaccessibili e misteriosi quali le foreste del Northumberland o le montagne di Tai Tapu: praticamente il trionfo dei chilometri zero. Vogliamo infine dimenticarci dell’acqua che zampilla nella Valle Reale di Deeside di proprietà del Principe Carlo, così adatta per allungare il whisky?
Inutile dire che ognuna di queste bottiglie costa quanto un buon Barolo e che i guadagni per le aziende sono sensazionali, giacché non c’è bisogno di piantare vigneti o comprare costose cantine come per il vino: una vera pacchia, insomma. Solo per la cronaca, il record lo detiene la “420 Volcanic” che sgorga dalle profondità del vulcano Rotomo in Nuova Zelanda: viene via con la miseria di 50 europei. Vuoto a perdere, però.