Uào, che una volta si chiamava Uagliò, è una pizzeria di stile napoletano evoluto che sta a Torino, nel quartiere di San Salvario. Ha poco più di due anni ma ha già passato un bel po’ di tarantelle, come si dice a Napoli, però riuscendo sempre a tenere la barra dritta sull’offerta e sulla qualità. Come stiamo per vedere in questa recensione.
Il posto apre con il nome di Uagliò a dicembre 2019, per iniziativa di Gennaro Generoso e Carla Ferrari, cuoca italo-francese giovane (classe 1996) e intraprendente. L’idea iniziale era quella di portare nel cuore di Torino un particolare tipo di pizza napoletana – particolare non tanto come fattura ma come consumo: la pizza a portafoglio.
Una pizza cioè che viene piegata in quattro e consumata all’impiedi, nelle immediate vicinanze del posto o al limite sul posto stesso, ma senza tutti i comfort di un moderno locale. Finger food e street food alla napoletana: un ritorno all’antico perché fino a fine ‘800, con la diffusione delle vere e proprie pizzerie come oggi le conosciamo, era questo il modo più diffuso di consumare la pizza a Napoli.
Manco 3 mesi dopo l’inaugurazione, arriva la pandemia. Che per la ristorazione è stato lo tsunami che sappiamo. Ma Uagliò ha resistito, adattandosi alle circostanze, aprendo e chiudendo come tutti a seconda delle misure, e allargandosi con un minimo di dehors. Credo però che più della pandemia abbia pesato l’abitudine della clientela, a far deviare un minimo da quella che era l’idea originale: benché in un quartiere giovane e movimentato come San Salvario, il torinese forse non è pronto a sbrodolarsi con una pizza a portafoglio; vuole sedersi, se non sedersi comodo almeno fermarsi un attimo. Oggi la modalità di fruizione preferita, oltre al delivery, è quella ai tavoli un po’ improvvisati del locale; ma restano legate all’impostazione iniziale alcune particolarità: non si può prenotare, si va a ordinare e a pagare alla cassa, la pizza è servita nei cartoni dell’asporto, non ci sono posate, ci si può sentir chiedere di alzarsi dopo aver consumato per lasciar posto ad altri.
All’inizio del 2022 altro giro di giostra: Uagliò chiude. Anzi no: cambia tutto. Cambia proprietà – la coppia in affari lo è anche nella vita, e sta per avere un figlio – ma soprattutto cambia nome: per una complicata questione di marchi e tribunali, Uagliò non si può più usare. Il cambiamento però è più formale che sostanziale: i proprietari sono diversi ma lo staff resta quello, resta quella la tipologia di offerta, lo stile, l’approccio, la comunicazione social. Resta sostanzialmente quello anche il menu, con minime variazioni e aggiornamenti che magari nel corso del tempo si sarebbero prodotti lo stesso. Anche per il nome e il logo, si tenta di rendere il passaggio meno traumatico per l’affezionata clientela: i colori e il font sono gli stessi, il nome diventa una specie di contrazione: Uào. Wow.
Ambiente e servizio
L’ambiente è pulito, essenziale, moderno. Mattonelle, sgabelli, tutto sul bianco e blu. Il bancone dentro, quando ci siamo stati noi ancora non era utilizzabile, benché i ristoranti avessero appena riaperto anche all’interno, probabilmente per motivi di distanziamento, perché il posto è davvero piccolo. Non che l’esterno sia enorme, anzi: e il concetto è lo stesso, i clienti si appoggiano al di qua e al di là di un bancone messo sul recinto del dehors. In tutto si arriverà a stento ai 20 coperti, si capisce perché sia necessario un ricambio veloce. Nonostante la necessità di sottolineare questa esigenza, il servizio è cortesissimo oltre che, ovviamente, rapidissimo.
Il menu di Uào
Un menu essenziale, spartanissimo, quello di Uào: un fatto che accolgo sempre con un sospiro di sollievo, in mezzo a decine di pizzerie che propongono una caterva di pagine, cosa che confonde le idee al cliente e complica la vita alla cucina. Almeno con poche pizze sappiamo che gli ingredienti hanno un’alta probabilità di essere freschi, e i pizzaioli di fare le cose per bene. Solo pizze, solo nove, più tre variazioni sulla Margherita e due pizzette dolci, cui si aggiungono fantasiose fuori carta a rapida rotazione. L’impostazione è classica rivisitata, con un filo crescente di ricercatezza: per esempio la Marinara di Carla è un incrocio tra marinara e cosacca (salsa e pecorino romano), la salsiccia e friarielli (si chiama Bra’v) è con salsiccia di Bra – che è un salume crudo – e per il piccante delle verdure lo zenzero sostituisce il peperoncino, la classica mortadella e pistacchio (Mò mò) vede il frutto secco in due consistenze. Poi ci sono quelle proprio originali, da Napoli (la Mamm’e Pompei, con il “ragù di mammà”) al resto d’Italia (Voilà, con crema di mascarpone al tartufo e granella di nocciole; Capatosta, che abbina stracciatella barese e soppressata toscana).
Un plauso, oltre che per gli abbinamenti, anche per i calembour sui nomi: una pizza, per esempio, con pomodoro mozzarella e alici, che qui a Torino ha il paradossale nome di “Napoli”, si chiama appunto A Napoli non c’è. I prezzi sono contenuti, dai 5 ai 8,5 euro, un po’ più alti quelli delle fuori carta. Birre industriali, e artigianali di un micro birrificio napoletano, Kbirr.
Le pizze di Uào
Come detto, le pizze arrivano nei cartoni dell’asporto, ma aperti, e con una intelligente foglio di carta alimentare per evitare che si attacchino al fondo. Sono già tagliate in 4; la dimensione del disco è quella delle pizze a portafoglio, un po’ più piccolo della media. Alla vista è una classicissima napoletana, con il cornicione alto, caratterizzato da bolle irregolari, e il centro sottile; all’assaggio però si percepisce una peculiarità, un filo di croccantezza: nulla che impedisca di piegarla o che la faccia risultare biscottosa, ma anzi una caratteristica che conferisce una piacevole sensazione di ben cotto. Non so se attribuirla al forno, che è una classica cupola dove però la fiamma è alimentata dal gas e non dalla legna, una particolarità in lenta via di sdoganamento anche tra i puristi partenopei; oppure al momento in cui sono state cotte, non di grande affollamento; o ancora all’intenzione di intercettare gusti diversi. Sta di fatto che l’effetto finale è validissimo, perché è totalmente assente quella gommosità che è la caratteristica meno gradevole nella pizza standard napoletana.
I condimenti: le pizze sono innanzitutto molto belle a vedersi. Senza le velleità artistiche di certe impostazioni gourmet, gli ingredienti sono ben pensati e ben disposti. La ‘Nduja & Sour è molto equilibrata: la ‘nduja non è troppo piccante o invasiva, l’olio di arancia è molto presente dal punto di vista visivo, meno al gusto. La Cucuzziel presenta le zucchine in tre versioni: crema (alla base, con provolone piccante), chips fritte e fiori. La presenza del provolone è molto discreta, forse anche troppo, il vero colpo è aver messo la menta nella ricotta, sicché l’impressione complessiva è a metà tra un fiorillo ripieno e una zucchina alla scapece.
Il conto è basso come c’era da aspettarsi, 25 euro in tutto. La digestione è perfetta.
Opinione
Pizzeria in stile napoletano moderno: pizze molto buone, sapori molto ben bilanciati, proposta che incuriosisce e spinge a tornare nonostante il numero in apparenza esiguo di scelte in carta. Attitudine fresca e divertente, con molta sostanza sotto.
PRO
- Ottimo impasto e cottura.
- Abbinamenti gustosi e nomi sfiziosi.
- Frequenti e interessanti pizze fuori carta.
CONTRO
- Locale piccolo, non consentito prenotare: non è una pizzeria dove fare serata, più un mordi e fuggi dove potresti aspettare un tempo maggiore di quello che poi resti seduto (ma ne vale la pena).