La pizza è una cosa seria, serissima, non sono mai riuscita ad apprezzarne la versione pippa concettuale.
Col tempo mi sono autoconvinta di essere una purista, una che prende sempre la margherita perché less is more. A me questi che “ah, la pizza fatta con l’acqua di mare e sopra il caviale beluga…” mi danno l’idea di fanatici tutta fuffa e molti bla-bla.
Poi accade (come ai preadolescenti che un giorno giocano con le macchinine e quello dopo sfoderano un vocione da pescivendolo) ho avuto un’illuminazione improvvisa.
E’ bastata una cena alla Taverna Gourmet di Milano per riscoprirmi amante della pizza gourmet. In realtà, potendo scegliere, non la chiamerei in quel modo un po’ odioso, ma mi adeguo per comodità.
Andiamo al dunque: la Taverna Gourmet di Milano è un posto da segnarsi sull’agenda dei to do.
Bella è bella, come si richiede alle pizzerie di nuova generazione che hanno abbandonato gli arredamenti da festa della birra tutti perline e controsoffitto.
E’ calda, ci si sta bene, c’è un forno a legna che pare il cuore pulsante del locale, e i pizzaioli si muovono in bella mostra nella loro danza rituale, ben diversa da quella di un normale pizzaiolo.
Ve lo dico subito, così non gridate allo scandalo: la pizza da 4 euro qui non c’è.
Si parte dalla margherita (anche lei gourmet) da 14 euro e si arriva anche alla Gambero di Mazara da ben 35.
E se adesso avete la bocca spalancata in segno di stupore e disappunto, richiudete le fauci al volo e ricordatevi che questa non è la pizza come ce l’hanno raccontata finora (ingredienti poveri ed esecuzione istantanea).
E non lo è per davvero.
Tanto che qui, per capirci qualcosa, non è il caso che ordiniate una pizza intera, ma una degustazione di 8 fette (che in quantità corrisponde a una pizza intera) a 30 euro che vi permette di allargare gli orizzonti e farvi un’idea di cosa sia questa strana cosa della pizza gourmet.
Si parte dalla base: solo lievito madre, minimo 48 ore di lievitazione e, nel caso della Margherita, impasto al basilico.
Poi abbiamo il pomodoro del Piennolo, bufala, basilico verde e rosso e Parmigiano Reggiano.
Di Napoli, qui, non c’è nemmeno la consistenza morbida: la fetta ha una base ben cotta, quasi croccante. In bocca è una sorta di festival dell’acidità: lievito e pomodoro ti schiaffeggiano, poi interviene la mozzarella ad ammorbidire tutto.
Si passa a un impasto al germe di grano, condito con guacamole, tartare di bufala, gambero rosso di Mazara e scorza di limoni di Sorrento.
Osservo con circospezione: riaffiora in me la questione basica “se non ha pomodoro non è un pizza”.
E in effetti non è una pizza, chiamatela un po’ come vi pare, ma sappiate che è buona davvero. Si sentono tutti gli ingredienti, e il gambero che credevo un po’ bistrattato in tutta quella baraonda di gusti ne esce bene.
Poi arriva la fetta con impasto al nero di seppia, crema cacio e pepe, scampo crudo e scorze di lime.
Sì, lo scampo crudo con la cacio e pepe un po’ soccombe, ma l’idea di mettere il cacio e pepe sulla pizza è una clamorosa meraviglia (peraltro non nuova).
Anche l’impasto è sapido e convincente. Va beh, la prossima volta la prendo senza scampo, ma doppia crema C/P.
In tutto questo sto bevendo del vino, il sommelier mi ha convinta che queste bollicine rosate possano tranquillamente portarmi (quasi) fino alla fine.
In carta ci sono un sacco di vini, decisamente oltre la media anche della pizzeria “evoluta”, ma sulle birre forse c’è ancora da fare: Baladin, Via dei Birrai, Birrificio Italiano e poco altro.
Buone, ok, ma con tutta ‘sta ricerca sulla pizza, mi aspetterei qualcosa di più, e non per cadere nella trappolona del classico birrificio artigianale a chilometro zero. Di più, ne voglio di più.
Arriva l’ennesima fetta: di nuovo impasto al nero di seppia, con crema di broccoli calabresi, cime di rapa saltate, polipo croccante, peperoncino in fili. Il tutto servito con un shot di brodino di polpo.
Mi guardo davanti: quasi mi dispiace distruggere cotanto design tridimensionale commestibile, ma posso farcela. Niente, è buona anche questa, che vi devo dire? Nell’ordine seguono:
– impasto integrale con bufala, tartare di Fassona piemontese, pioppini e cialda di Parmigiano croccante
– impasto integrale con pluma di maialino iberico, burrata frullata, Provolone semipiccante, crema alla mela verde.
Io resto un po’ inebetita: i sapori si riescono a distinguere tutti, e ora capisco bene che gli ingredienti a corredo di ogni singola fetta (i pizzaioli non sono certo stitici a riguardo) possano far lievitare impasto e prezzi.
Semplice, ma la mia preferita della degustazione: crema di toma, salsiccia di Bra, tartufo nero estivo.
Lo so che ci tornerò, prima o poi, alla mia margherita del cuore, ma intanto con questa stoccata finale mi sono quasi dimenticata dell’esistenza del pomodoro.
No, dai, esagero, ma questa era notevole davvero. Sono in fase bulimica, non avrei creduto, ma ancora, ne voglio ancora.
E visto che non ne ho ancora abbastanza: impasto classico con gorgonzola, bufala, cervo cotto a bassa temperatura, insalata di carciofi crudi. Embè. Di più.
Stracciatella, melograno, insala di puntarelle e alici del Cantabrico: ormai non ci capisco più niente, sono entrata nel trip e sono già diventata bravissima a tagliare la fetta in modo da suddividere gli ingredienti per i giusti bocconi e per poi godermi il cornicione in purezza.
Mi sto divertendo, sappiatelo.
Stracciatella, Patanegra 24 mesi e… basta. Un finale come si deve: dolce e salato quanto basta.
E’ ufficiale, mi sono innamorata per l’ennesima volta. Sono fedifraga e mi invaghisco anche spesso seduta a tavola, che c’è di male?
In realtà ci vorrebbe un dolce per chiudere come si deve, ma sappiate che questo l’ho fotografato solo per spirito di cronaca mentre si dirigeva verso un altro tavolo.
Va bene la fase bulimia, ma sono satura, satura e felice e non posso che fare ciao-ciao alle geometrie cioccolatose del pasticciere Ernst Knam che ci sono in carta.
Riflessioni del giorno dopo (cioè oggi):
Ho digerito tutto, ho di nuovo fame e quindi mi pare di poter dire che l’impasto (no, gli impasti) fossero lievitati in modo regolare.
Ci voglio tornare, ma presto intendo, e vedere la faccia di qualche altro che, come me, si professa scettico sulle questioni di millantata gourmeteria, soprattutto se si ha a che fare con la pizza.