La nostra recensione di Seu Pizza Illuminati a Roma, pizzeria di Trastevere chiacchieratissima e dalle grandi velleità gastronomiche.
Siate scettici quando nasce un fenomeno di costume, in ambito gastronomico ma non solo. Se quel nuovo locale di cui parlano tutti manco fosse Joker l’Ottobre scorso scatena nella stampa immediate agiografie, e tra le fila degli amici più saputi orde di fan che si scuoiano invocando un’assoluta e inattaccabile perfezione; se il cuoco, pizzaiolo, birraio è il più chiacchierato del momento e sembra essere disceso da un piano astrale superiore a salvare la Terra con l’operato della Sua mano, voi non credeteci. Sforzatevi all’imparzialità. Legatevi all’albero maestro del giudizio coerente e resistete alla melodia delle sirene: queste vi vogliono naufragati sugli scogli dei peana e del qualunquismo.
Pier Daniele Seu
Tra i pizzaioli di Roma, il più discusso e osannato degli ultimi anni è Pier Daniele Seu: enfant prodige del disco lievitato, bruciatore di tappe e overachiever, è passato in un giro turbinoso di anni, pochi, dagli scantinati nebulosi del fu Mastro Titta di via del Porto Fluviale al vicinissimo Gazometro 38, per approdare poi a lidi alti arrampicandosi con una zampa nella fornace frenetica del Mercato Centrale, e da lì prendere slancio, tuffarsi a piè pari nel bagno di fama consolidata del primo locale del tutto suo: Pizza Illuminati, ovviamente super incensato, ovviamente condito di “osanna” e “genio” dal giorno 1 a oggi.
Non fidatevi delle Sirene! Ho amato la pizza di Seu al Mercato Centrale di Termini, così tanto che, quando visitai la prima volta il ristorante di Trastevere a immediato ridosso dell’apertura, i fritti piccoli ed anonimi oltre che costosi, ed una pizza che non ricordo speciale come la aspettavo, mi fecero rimpiangere di non essere tornato a mangiarla là.
Dopo l’esperienza non esaltante, spesse volte ho provato a prenotare per tornare e dare un’altra possibilità, ma indovinate un po’? Illuminati era sempre pieno. Perché le sirene parlano, le voci corrono.
Questo fino a una ventina di giorni fa, quando dopo aver prenotato miracolosamente nonostante lo scarso preavviso, all’improvviso mi sono trovato a varcare di nuovo le porte a vetri della grande sala lucidata.
Il locale, il menu, i prezzi
Messo un piede dentro, ho avuto un fremito di dissonanza mnemonica: era quello lo stesso posto visitato appena aperto, ormai quasi due anni prima?
Ricordavo la sala algida, pretenziosa, del tutto esanime nella sua capienza semideserta, avvolta nel lusso caduco dei marmi bianchi, dei toni antracite e nero, delle finiture oro; nello straniante imperare egocentrico delle gigantografie e del neon fuchsia “in pizza we trust“; quello che i maligni dicono essere adatto ad ambigui centri massaggi.
Ricordo di aver pensato: ma questo posto non è una pizzeria, in pizzeria ci si vuole sentire a casa, e se si desidera portare il concetto a un nuovo livello di finezza non è questo il modo. Qui si sta rigidi. Si sta male. Ricordo, oltre ai piatti deludenti, un servizio rigido e sussiegoso.
E adesso, invece: il contenitore di design vibra, di una vibrazione calda, è animato dalle persone e dal loro ben vivere; il personale di sala, diretto da Valeria Zuppardo moglie di Pier Daniele, volteggia sciolto e puntuale tra il chiacchiericcio e i colori che balenano allo sguardo, su dischi d’impasto, tra le mani di chi li porta e le alzatine su cui sono offerte ai tavoli. L’ambiente è reso caldo, frizzante, da spunti di graphic design in forma di vetrofania. Questa sì, è una pizzeria, e delle migliori: Valeria e Pier Daniele hanno preso il timone, plasmato di pura volontà il concetto di locale che avevano in mente, tirandolo di forza giù dal mondo delle idee ed infondendogli col kaizen dei continui aggiustamenti e della sensibilità verso ciò che accade in sala un inedito soffio vitale.
Il menu cartaceo è bellissimo, realizzato con occhio grafico e cura del particolare che sarebbe bello fossero comuni.
L’offerta dei fritti e delle pizze, che spazia da classici apparenti a sifonature e consistenze di ambiziose offerte vegane, è esposta in modo che già la mente comincia a salivare.
Si bevono birre, solo artigianali di buon livello, e vini presi da una carta messa insieme con attenzione alle più originali correnti del mondo naturale.
La carta è divisa in sezioni eloquenti: dopo l’apertura a “pane e olio” (4 euro), in cui creazioni di Bonci incontrano selezioni olivicole di alto livello, e i fritti (da 2,5 a 4,5 euro), si continua con le pizze, distribuite in categorie: le “Certezze”(7-10 euro), variazioni primitive sui temi di Margherita, Cosacca e Marinara, le “Old School” (Salsiccia e broccoletti, Capricciosa, Diavola e compagnia nostalgicamente cantante: da 10 a 13 euro) ed infine le “Pizze Seu” (da 11 a 15 euro), orizzonte di ricerca in cui il patron-pizzaiolo più liberamente scatena la propria visione culinaria.
Sezione a parte è dedicata ai dolci, ove figurano creazioni di pasticceria più tipiche (6-7 euro) e pizze-dessert (14 euro).
I piatti (cioè, le pizze)
Curioso di esplorare il più possibile il mondo Illuminati, e di dare una nuova possibilità a questo locale chiacchierato di cui al momento, al netto dell’essermi ricreduto sull’idoneità degli ambienti, ho solo ricordi di promesse non mantenute; chiedo se sia possibile fare un percorso d’assaggio: una sorta di menu degustazione, non previsto in carta (per il momento…). Mi viene accordata l’esperienza. Allora siedo e aspetto, bevendo una ottima Ring di Bonavena.
Dopo poco, esordiscono i fritti: e vi dirò, amici miei, che gloria!
Il supplì al telefono, prezzato in carta a due euro e mezzo, è una goduria di risotto mantecato al pomodoro, vellutato, avvolgente, cotto al punto, umido, morbido, croccante, profumato di basilico, filante di fiordilatte di classe prima lusso; fritto impeccabilmente, asciutto.
Il ritornello si ripete con il Lingotto (marchio registrato da 4,5€), sorta di imponente crocchetta senza patate ma composta nel nostro caso di broccoli e salsiccia, in cui l’untuosità santa delle carni accompagna le verdure delicatamente amare, ricche in aglio e peperoncino, saltate fino alla croccantezza negli steli e morbide per le cime che si sfanno quasi in crema.
Molto buono anche il supplì alla zucca con scamorza affumicata, bilanciato dalla freschezza puntiforme del timo, peccato di gola assoluto il FRYToast (4,5 euro), figlio spurio e semidivino di un apollineo toast prosciutto e formaggio e di una quantomai dionisiaca Teti nelle vesti di mozzarella in carrozza. Due fette di pane in cassetta racchiudono abbondantissimo prosciutto cotto in forno a legna, fiordilatte, Parmigiano Reggiano e una maionese al basilico che idrata e alleggerisce il complesso; aumentando la persistenza del piacere che si snoda sul suo letto fresco come un torrente sul suo greto. Il tutto viene fritto, ovviamente, sigillando il peccato col crisma dell’olio bollente.
Ma è la volta delle pizze: prima proposta della casa è la SuperMarinara, reinterpretazione audace del classico, come audaci sono tutte le reinterpretazioni dei classici.
L’impasto provato in questa visita a Illuminati, messo a punto nel corso di un lungo rodaggio in cui ingredienti sono stati cambiati, procedimenti modificati, staff addestrato nella stesa e nella cottura alla ripetibilità dei risultati è imbattibile – si può solo pareggiare. Per lo meno a Roma, diremo, peccando di prudenza: con pochissimi eguali in Italia e oltre, azzardo io sbilanciandomi. Leggero ma consistente, stabile al sollevamento della fetta e al morso, idratato e idratante, impercettibilmente friabile, alveolato all’estremo indi fondente è la quintessenza della pizza contemporanea.
In questo caso, è condito con passata di San Marzano, pomodorini confit, crema d’aglio e di aglio nero, origano in pesto e in foglia e olio eccezionale. Quando si reinterpretano i classici, l’unico modo per non sfigurare è migliorarli di gran lunga e concentrarne le armonie: missione che riesce una volta su un milione. Dopo questa, aspettiamo passino le prossime novecentonovantanovemila, novecentonovantanove. Poesia in fetta, carosello di sapori, senza sgarrare di un secondo dall’eleganza raggiunta da quattrocento anni di tradizione.
Si prosegue con l’Assoluto di zucca, ambiziosa proposta vegana che mi lascia perplesso (ché se sulla pizza non vedo la mozzarella, io già mi destabilizzo). E mi sbaglio, perché è sull’audacia compensata dall’autocoscienza che si misura la capacità di fare la differenza. Crema di zucca come suolo, zucca al forno per la ciccia, cialda di zucca per la croccantezza, estratto di semi per la freschezza, pecorino sardo Gavoi ad aggiungere sapidità e bilanciare il dolce insieme alla sottile piccantezza delle foglie di senape rossa. Rincorsa compulsiva di consistenze. È subito culto.
Conclusione in dolcezza con le due pizze dessert, la Winner Taco e la Strudel di mele: impreziosite da una leggera caramellatura croccante sul cornicione, la prima sfida nostalgica al food porn industriale con spuma di ricotta alla vaniglia, croccante al cioccolato e nocciole, toffee salato e arachidi; la seconda elegante e antica nella livrea di ricotta mantecata cannella e limone, mele marinate al caramello, uvetta al rum, pinoli.
Basti dire che la sessione di tasting non poteva concludersi meglio… Si rivelano esattamente ciò che ambiscono ad essere, allusioni a una memoria gustativa collettiva che viene trasfigurata in suggestioni nuove, legate all’archetipo ma munite di un arsenale di soluzioni sensoriali senza precedenti. Quella di Seu è alta cucina in pizza.
Opinione
Seu Pizza Illuminati è il passo successivo, quello che pizzerie di questo genere – in cui “la pizza” non è più dominio culinario a sé, ma solo interpretazione in chiave personale di una cucina elevata in senso assoluto – devono compiere, e che una volta compiuto dovrà essere riconosciuto dalla critica di settore, al di là dello specifico tipo di piatti serviti, per meritevolezza sensoriale, concettuale e spirito d’avanguardia. Staremo a sentire, allora ancora, le Sirene: che in questo caso non hanno mentito, accordate da un’offerta gastronomica di autorevolezza inoppugnabile, impossibile da tradire anche per le più distorte delle voci.
PRO
- Una pizza d'alta cucina
- Una proposta di birre artigianali alla spina all'altezza di quella di un pub di settore