Si dice che quando dai il tuo nome sull’insegna sei arrivato dove volevi. Una specie di fiera messa a punto del successo; mentre tutto quello che arriva dopo appartiene al regno del non pianificato: a volte è un regalo del destino, altre un inarrestabile declino. Renato Bosco quel nome sull’insegna ce lo ha messo dal 2018, quando ha trasferito la sua pizzeria a qualche civico di distanza da Via ponte 53 dove tutto è iniziato: a San Martino Buon Albergo, al civico 46 di Piazza del Popolo, ora esiste “Renato Bosco Pizzeria“. La sede storica esiste ancora, si chiama Saporè pizza bakery ma è, appunto, una bakery, in cui si compra la pizza per asporto, e tutto il resto dei prodotti preparati o selezionati dal nostro. Di Saporè ne esistono anche altri due, che hanno invece ancora la forma della pizzeria dove ti siedi a mangiare: uno sta nel centro di Verona, l’altro al Mercato Centrale di Milano.
Ma quella dei nomi dei locali del pizzaricercatore (così si fa chiamare e così dice che lo chiamino i colleghi) è una storia lunga e non priva di curiosità. Il suo primo locale si chiamava PizzaDaRe, tanto per chiarire subito che l’understatement non fa parte del nostro eroe. Il nome più noto è però Saporè, un concetto forse più annacquato, ma che gli garantì gli onori della ribalta grazie ad un programma tutto suo su AliceTv nel 2013 e al (conseguente?) successo nelle guide di settore e poi la Rai, La7, le sponsorizzazioni ecc ecc.
Saporè a San Martino Buon Albergo nasce nel civico accanto al vecchio negozio, ed è, all’inizio, una pizza al taglio fighetta e una sala degustazione in cui Bosco comincia a proporre anche altri lievitati: il pane con la pasta madre, il pandoro e il panettone.
Dal 2006, anno di apertura del suo primo locale, al 2018, Bosco ne ha fatte di ogni: alcune ben viste dal jetset pizzafregno, altre, come la registrazione del marchio dei suoi impasti e, ancor di più, la collaborazione con Autogrill, gli hanno dato l’aspetto dell’imprenditore pop, altro che pizzaricercatore. Eppure oggi più che mai, con i chiari di luna che il fine dining sta vivendo, dovrebbe esser chiaro che sporcarsi le vesti con il mercato del cibo per i comuni mortali è conditio sine qua non per tirare avanti. E così sia.
Ma, ecco che la passione per nomi segna ancora le tappe della carriera del nostro, questi sono anche gli anni in cui fonda FDP, acronimo per Figli di Pasta Madre [qui bisogna immaginarselo che ammicca sornione per farti capire il gioco di parole], un collettivo di lievitisti che promuovono il lavoro con la pasta madre viva, non quella roba liofilizzata che adesso trovi anche al supermercato [anche qui immaginarselo che fa “no-no” con il ditino può essere utile alla comprensione].
Ma veniamo alla pizza del pizzaricercatore, che “non chiamatela gourmet, che è un nome trito”, ma pizza contemporanea. Eppure, come tutti sappiamo, la pizza gourmet nasce proprio a Verona, dal gemello diverso di Bosco, il Simone Padoan dei Tigli, quello che per primo fece la pizza a spicchi, ci mise su ingredienti dell’alta cucina e si permise di aumentare il prezzo di 5 volte. Il vero motivo per cui pizza contemporanea si differenzia dalla pizza gourmet è che ha il pregio di fare ricerca mantenendo un costo più basso, il che, nel lungo termine, si è dimostrato un pregio oggettivo.
Gli impasti che Bosco ha messo a punto ormai più di dieci anni fa sono abbastanza celebri: c’è la mozzarella di pane, un panino immerso nell’acqua di governo della mozzarella e poi cotto al vapore; l’aria di pane, una pizza tonda piccola, molto alta, scioglievole dentro e croccante fuori, il crunch e il doppio crunch, la pizza in teglia croccante, e poi la tonda, ispirata alla classica napoletana.
Siamo andati a ri-provarla nella pizzeria eponima, lussuoso ex convento settecentesco, rimesso a nuovo ma che ha sapientemente conservato quell’atmosfera da luogo di culto, anche se l’oggetto delle attenzioni non risiede più nell’Altissimo, ma sulla pizza e il suo fattore. Non troppi tavoli, alcuni tondi sapientemente piazzati, sedie di Vitra & Co. Nel complesso un mix del design da stella Michelin, unito alle esigenze di una pizzeria che deve avere qualche coperto in più e il forno col pizzaiolo in bella vista.
Accanto al nostro tavolino quadrato, il tavolone tondo in legno massiccio, senza tovaglia, già munito di candelabro natalizio nonostante fossimo a metà novembre, con quattro avventori che avevano abbondantemente superato i 50 e sfoggiavano dei cachemire belli spessi, di quelli che funzionano bene se fai lo struscio in Corso Italia a Cortina. Il resto della frequentazione, al primo turno delle 19, era composto da un paio di famiglie e qualche coppia, forse al primo appuntamento. E poi, giù dalla scala, la cantina col tavolone degustazione, i vini da ristorante e i camerieri che andavano su e giù con sorrisi magniloquenti.
Il menu è composto un tre parti: le degustazioni (vegetariana 32 euro, di carne 36 euro e di pesce 40 euro); la parte dedicata alle pizze singole nei vari impasti registrati con prezzi dai 9 euro per la più semplice mozzarella di pane con pomodoro e stracciatella alla pizza aria di pane con carpaccio di manzo, funghi e topinambur. Il prezzo medio delle pizze si aggira comunque intorno ai 12/15 euro. C’è poi una sezione piccola cucina (ma davvero qualcuno va da Renato Bosco e non ordina la pizza?) e per i bambini. Incredibile dictu per un posto del genere, la carta delle birre lascia un po’ a desiderare: due etichette in bottiglia e una sola alla spina; ma la sezione alcolici è ben corroborata dai cocktail (senza proposta di pairing), dalla carta dei vini, e da niente meno che la “gin list”.
La degustazione va scelta uguale per tutto il tavolo, e bisogna essere almeno in due. Dato che penso sia il modo migliore per farsi un’idea completa di come stanno andando gli impasti del Bosco, costringo il mio commensale a una degustazione vegetariana, così composta:
- mozzarella di pane con zucca in sfoglia, funghi freschi, chips di cavolo nero, porro fritto e croccante di pane speziato;
- crunch con patate, crema di topinambur, verdure miste (zucca, bietole rosse e pomodoro confit) e nocciole tostate;
- doppio crunch con farina di riso Artemide (che rende l’impasto nero), fiordilatte, Gorgonzola, radicchio e Grana Padano.
- aria di pane con farina di riso nell’impasto (sempre nero), crema di topinambur, sfoglia di zucca, chips di patate, mandorle tostate in lamelle.
- pizza tonda margherita, con mozzarella di bufala, pomodori confit, emulsione al basilico.
- un pandoro in doppia versione, uno per commensale, uno classico con crema pasticcera e frutti di bosco freschi, uno con impasto al cioccolato, servito con mascarpone e frutti di bosco freschi.
Il tutto, anticipato, come nei ristoranti gourmet da un amuse bouche che consisteva in un pezzetto di morbido pane nero intinto in olio di oliva.
Difficile recensire degli impasti a marchio registrato: Renato Bosco non era presente, e il pizzaiolo in sua vece eseguiva comunque un lavoro magistrale nell’esecuzione e nella cottura. Nessun difetto di forma, nessuna bruciatura, nessuna zona poco cotta o mal lievitata ma una perfezione frutto di almeno un decennio di messa a punto. Su questo non ci piove. Ma, almeno nella degustazione vegetariana, abbiamo trovato un po’ di ridondanza nel condimento, uno su tutte la zucca, magistralmente affettata come nessuno saprebbe fare a casa propria, e cotta a puntino, buccia compresa, eppure onnipresente e soverchiante con il suo gusto non completamente dolce e molto vegetale. Così come il pomodoro confit, fuori stagione, proposto in abbinamento alle verdure invernali, di gran lunga eccellenti.
Un percorso di degustazione che si apre con la mozzarella di pane, l’impasto più complesso da fare e da apprezzare, fuori un panino al vapore di quelli che si ordinano al ristorante cinese, dentro cremosa come una mozzarella, ma con un sapore misto di pane e di latte, che, un delatore potrebbe azzardare a identificare come “pane crudo”.
Si finisce invece con la pizza tonda, e quasi quasi, dopo tutto il percorso a base di impasti scrocchiarelli, alveolati, scioglievoli, la pizza tonda con pasta bianca e un rassicurante condimento bianco rosso e verde è un’apparizione, gioiosamente accolta dagli occhi come dal palato.
Nel mezzo la crunch, che non può non piacere perfetta com’è nella sua croccantezza tra i denti, e scioglievolezza al palato, sia nella versione con farcitura sopra o con farcitura dentro. E poi l’aria di pane, una pizza che, per essere davvero apprezzata dovrebbe essere mangiata da sola: si tratta infatti di una pizza gourmet più morbida, che spinge tanto sul topping e che messa qui, verso la fine della degustazione, un po’ si perde mescolandosi a proposte meno aristocratiche e arrivando quando lo stomaco è già satollo, e dunque assai meno curioso.
Se proprio vogliamo trovare un neo al servizio – sorridente, celere e attento – quello è il pandoro: la nostra fetta forse è stata preparata con troppo anticipo, e si è un po’ seccata, anche se il nostro lievitista fa un pandoro eccellente, parola di panel. Se lo comprate per Natale però, tenetelo coperto fino al servizio.
Bonus track del servizio: se venite a mangiare qui con un bimbo, vi daranno, per intrattenerlo, un fumetto che racconta come nasce la pizza, dal chicco di grano fino al forno del pizzaricercatore.
Opinione
Di Bosco, quasi 10 anni fa, la prima volta che lo avevo intervistato avevo apprezzato i prezzi, umani, nonostante stesse diventando un membro del jet set pizzaiolo. Ora il mondo è cambiato e io sono più vecchia e mi domando se spenderei nuovamente 84 euro in due per una degustazione di pizza con le verdure; un tempo avrei detto che la ricerca si paga, gli ingredienti di qualità anche, ma ora io senza tema mi definisco una vecchia cariatide, e anche gli impasti di Bosco non sono più giovanissimi. Forse è giunto il tempo per una nuova innovazione? E ancora: il mondo dell’imprenditoria rampante della pedemontana veneta, per i cui pranzi di lavoro fu inventata e celebrata la pizza gourmet (o comunque la si voglia chiamare) esiste ancora? Ma soprattutto è ancora questo il tempo di pensare a una pizza di classe (sociale)?
PRO
- Un locale che è sempre una garanzia se te la vuoi tirare con gli amici o far bella figura con gli ospiti
- Belle idee dietro agli impasti e grande tecnica di realizzazione
CONTRO
- Poca innovazione, gli impasti (buonissimi) sono gli stessi da quasi dieci anni
- La spesa è ancora quella che ci si poteva permettere durante i ruggenti anni 2000 della ristorazione