Benvenuti nella quinta settimana di ” L’Italia protetta”, causa pandemia di Coronavirus. Finiti gli show sui balconi, la Campania, è l’unica regione d’Italia dove il delivery di piatti pronti (pizza a domicilio compresa) non è permesso, con buona pace delle pizzerie di Napoli e dintorni.
Il che si va a tradurre nella pratica: niente pizze e panini a domicilio, niente pasta al forno preparata dalla trattoria di fiducia, niente di niente. Abbiamo avuto già, nell’ordine, l’austerità contro le zeppole di San Giuseppe prodotte dai panifici ed anche la shitstorm contro chi vende le colombe di Pasqua online.
Questa decisione è stata presa dal governatore campano Vincenzo De Luca che – con una serie di direttive prima e di chiarificazioni poi – ha completamente chiuso in Campania trattorie, ristoranti, pizzerie, pasticcerie e limitato fortemente l’attività delle panetterie, impedendo loro de facto di fare cose diverse dal pane. E laddove non ci ha pensato la Regione, ci hanno pensato le ordinanze comunali.
Il mondo gastronomico campano, proprio in queste ore, si sta esprimendo con toni anche abbastanza accesi per catalizzare l’attenzione della Giunta sui problemi del settore ristorativo. Insomma, in poche parole si sta cercando di mettersi al passo con le altre regioni d’Italia, dove il delivery con le piattaforme e l’asporto con personale proprio è stato permesso fin dall’inizio. La situazione non tornerà del tutto alla normalità ed ormai stiamo familiarizzando con termini e vicende che fino a qualche mese fa ci erano alieni. Questo è chiaro ormai a tutti e tutti – o la maggior parte – sta cercando di attrezzarsi come meglio può, di richiedere qualcosa.
Ma non manca chi, invece, è d’accordo con la chiusura totale, compreso il blocco del cibo d’asporto: sul bilancio, infatti il cibo d’asporto andrebbe a coprire poco e niente delle spese di gestione, oltre che attivare una catena di lavoro esposta continuamente a rischi.
Abbiamo cercato di capirci di più delle rispettive posizioni, mettendo a confronto due imprenditori del mondo della pizza campana: parliamo di Alessandro Condurro – proprietario del franchising Michele In The World e di Francesco Salvo, pizzaiolo e proprietario insieme al fratello Salvatore delle pizzerie Francesco e Salvatore Salvo (Largo Arso a San Giorgio a Cremano e Riviera di Chiaia a Napoli città).
Due tipologie di pizzerie molto diverse, sicuramente: ma entrambe molto radicate sul territorio, organizzate in maniera aziendalistica, con coperti importanti (almeno, coperti imporanti prima del Coronavirus) Senza togliere che entrambe le realtà hanno molto chiari i bisogni dei loro clienti ed una visione molto ampia del mercato.
Entrambi hanno espresso puntualmente sui social le proprie opinioni ed entrambi con argomentazioni valide. Li abbiamo sentiti, per farci raccontare in maniera un po’ più approfondita i sì ed i no di un’eventuale apertura nei confronti del delivery.
– Qual è la situazione attuale? (ndr, per quanto riguarda L’Antica Pizzeria da Michele la sede di Napoli, la sola a cui è vietata l’asporto con personale proprio ed il delivery tramite piattaforma?)
Alessandro Condurro: noi siamo chiusi completamente dal 12 marzo. E pensare che il giorno prima avevo siglato l’accordo con UberEats per quanto riguarda il delivery! Cosa che poi non ho potuto più effettuare. Attualmente, i nostri 25 dipendenti dell’Antica Pizzeria da Michele a Via Cesare Sersale sono in cassa integrazione in deroga, come prevede la legge, per nove settimane.
Francesco Salvo: siamo chiusi da prima del decredo di Conte, ovviamente con entrambe le sedi: quella di San Giorgio a Cremano e quella della Riviera di Chiaia a Napoli. Attualmente, sono a casa 60 dipendenti in tutto, in attesa di risposte per la cassa integrazione in deroga, come da legge. Le scadenze? Sono solo procastinate, mica annullate.
– Cosa ne pensi del delivery vietato in Campania?
– Alessandro Condurro: Il nostro governatore ci sia tiene sicuramente alla nostra salute, ma sicuramente sta peccando di un “eccesso di prudenza”: anche perché, una volta capito l’andazzo, non moriremo di peste ma di fame e le grandi crisi lo dimostrano. Già ora le persone stanno cedendo: imprenditori ma anche persone che si vedono negate le cose normali della vita. Ecco, poter ricevere una pizza a casa è una cosa che rientra nella normalità e penso che – attuato a norma di legge e con tutte le precauzioni del caso – possa darci anche un po’ di speranza di poter riprendere le cose di tutti i giorni.
– Francesco Salvo: tengo a precisare che mi pongo in una condizione neutrale rispetto al delivery sì, delivery no, questione che sta coinvolgendo molti miei colleghi. La Regione Campania avrà fatto molte valutazioni prima di porre questo divieto, tra le quali le nostre strutture sanitarie: pensa, nemmeno al Nord – dove finora si è vantata una migliore sanità, dicono – hanno retto allo tsunami. Qui in Campania poteva essere peggio, quindi si è pensato di limitare l’afflusso di persone per strada, anche di rider e di fattorini. Ci sono molti colleghi che premono per avere sia asporto con personale proprio, che delivery attraverso piattaforme terze: penso, personalmente, che la questione sia innanzitutto malposta. Bisognerebbe creare un tavolo “virtuale” condiviso di proposte da fare al Governatore. Altrimenti, rischieremmo sempre e solo di passare come coloro che per guadagno non hanno salvaguardato la salute dei dipendenti… cosa che per me non è così, visto che abbiamo chiuso le sedi quando ci siamo resi conto che la vita dei nostri lavoratori era seriamente a rischio.
– Il delivery potrebbe salvare imprenditori e dipendenti?
– Alessandro Condurro: Parlo da imprenditore di pizzerie che fanno anche 1200 pizze al giorno: numeri sicuramente non replicabili con il delivery. Ti faccio un esempio pratico: da pochissimi giorni abbiamo deciso di riaprire la sede di Roma Flaminio. I miei ragazzi si sono letteralmente fiondati a lavoro, felicissimi. Il risultato? Faranno cento, duecento pizze al giorno – numeri lontani dalla normalità cui eravamo abituati – ma a me non importa. E’ più importante avere la serranda alzata, il forno acceso e guadagnare pochi spiccioli che saranno destinati unicamente (o in parte, perché non è detto che bastino) a pagare le spese quotidiane. Il morale delle persone è troppo sottovalutato in questo momento e non ne usciremo bene da questo punto di vista. Prima ci si è scagliati contro i runner, poi contro i rider. L’antica pizzeria da Michele ha 150 anni di storia e ce la farà stringendo la cinghia. Ma per molte pizzerie di quartiere che lavorano con asporto e delivery, questa opportunità che ci viene negata significa la salvezza.
– Francesco Salvo: Rendiamo chiaro il quadro della situazione. Iimmaginiamo che domattina il delivery sia permesso in Campania, non solo ai Salvo, ma a tutti. 200 pizze d’asporto sono un numero importante, se nella sola città di Napoli tutti fossero aperti per l’asporto, sarebbero numeri difficili da ottenere. Battendo 7 euro a pizza per 200 pizze consegnate attraverso piattaforma, sono 1400 euro. Una piattaforma di delivery trattiene dal 20% al 30% del guadagno, il che tradotto va dai 350 ai 420 euro di trattenuta. Calcoliamo il food cost: dai 250 euro a salire. Cosa resta nelle tasche? Nulla. Ripeto, qualora domattina ci venga permesso, sarò sicuramente in pizzeria ad organizzare. Ma non ne vedo l’utilità per aziende grandi come la mia ed anche più grandi. L’asporto può avere un senso, invece, per le centinaia di micro-realtà di quartiere che con questo tipo di attività ci vivono. Qualunque sarà la decisione, ci adatteremo: se ci sarà permesso di andare in pizzeria offriremo il nostro servizio.
– Come prevedi l’immediato futuro del mondo pizza? Appurato che allo stato attuale delle cose, nessuno può saperlo con esattezza..
– Alessandro Condurro: infatti, nessuno può saperlo con esattezza. Ma prevedo norme igieniche molto stringenti, la pizzeria sarà molto simile ad un luogo asettico modalità sala operatoria, i camerieri vestiti come chirurghi (!), le persone probabilmente non saranno incentivate a venire a mangiare la pizza. Avranno paura. Bene, quindi è meglio partire ora con i “piani di emergenza” in Campania: permetteteci di fare asporto delivery, in modo tale che le persone e i lavoratori si abituino a considerare questa realtà di ora ed anche ad apprezzarla.
– Francesco Salvo: sono sincero, non so cosa ne sarà della mia azienda anche se ci impegneremo al massimo per portare a casa meno danni possibili, ma sono ottimista e fiducioso nella scienza. Ci dovremo abituare sicuramente per un po’ al distanziamento sociale, ma questo ci servirà per dare tempo alla scienza per elaborare un vaccino o perlomeno di conoscere meglio questo tsunami che fino a qualche mese fa ci era sconosciuto. Quando usciremo, come si farà? Beh, sicuramente le persone non saranno invogliate ad andare in pizzeria, dovendo tenere norme al limite del maniacale, ma nessuno sa con esattezza cosa accadrà dopo.