A marzo 2020 si è aperta l’era del delivery, dicono. Più verosimilmente si trattato di prova immensa e collettiva che far di necessità virtù è sempre una delle strade migliori. Che poi il delivery continui o cresca anche in tempi di riacquistata normalità non è dato sapere, quel che mi interessa ora invece è il come: “Quando il gioco si fa duro i duri… ” [giuro che ora la smetto coi proverbi]. Uno dei duri più radicali è stato Simone Padoan, lo star pizza chef, che alla consegna alla porta accanto ha preferito esercitarsi nella consegna in tutta Italia, che ha trasformato la sua celebre pizzeria I Tigli di San Bonifacio (VR) in un e-commerce.
Ho ordinato due pizze sul sito dei Tigli il 12 maggio (il delivery nazionale è aperto dall’8). Ho preso una margherita croccante (18 euro) e una Faraona (20 euro). Se andate sul sito oggi prezzi sono aumentati: 20 euro la margherita e 28 la faraona.
L’ordine
Quando sono andata nella cassa virtuale a pagare ho ricevuto le prime due sorprese: 18,50 euro di spese di spedizione da aggiungere al conto, già di per sé non proprio modesto, per cui il totale è stato di 56,5 euro.
Inoltre ho letto la sibillina dicitura “giorno di lavorazione: 18 maggio, 2020”, al che mi sono chiesta se significasse che la pizza era “lavorata” e consegnata allo stesso giorno o no ma non ho trovato risposta, né ho ricevuto ulteriori comunicazioni fino al 18 maggio.
Quel giorno ho ricevuto una nuova mail, alle 12:30, che riportava la frase: “Abbiamo terminato l’elaborazione dell’ordine” poi un riepilogo dei pagamenti, l’indirizzo di fatturazione e quello di spedizione. Basta, stop, niente altro.
Allora, caro Simone, io non vedo l’ora di assaggiare la tua pizza e scoprire cosa ti sei inventato, ma spero tu ti renda conto che non posso ordinare una pizza e non sapere quando me la porterai: e se volessi fare una sorpresa? O invitare qualcuno a cena? Cosa dico loro? Tenetevi pronti tutta la settimana, mi faccio viva io quando dovete uscire di casa?
Il servizio clienti
Il giorno 18 maggio al pomeriggio chiamo la pizzeria di San Bonifacio e chiedo cosa significhi che hanno completato la lavorazione, mi rispondono un po’ seccati che la pizza loro l’hanno preparata e che ora il corriere deve sapermi dire quando me la consegna. Aggiungono anche che il corriere a cui si sono affidati non ha ancora un software di elaborazione ordini, quindi non mi scriverà una mail ma riceverò una telefonata. Chiudo la conversazione e mi accingo a rispondere a ogni numero sconosciuto che chiamerà il mio cellulare nelle prossime ore o nei prossimi giorni.
Alle 7:38 (di mattina) del 19 maggio mi chiama un signore che è sotto casa mia con un pacco per me, mando giù mio marito a ritirarlo e il corriere gli dice: “Ma cosa c’è in sto pacco?”, noi sorridiamo ma è segno che probabilmente è stato istruito a trattare il pacco con cautela, tuttavia nessuno ha trovato importante istruirlo sul contenuto.
In questo momento lavoro da casa, ero a casa quando è arrivato il corriere e ho avuto tempo di spacchettare il tutto e metterlo in frigo. Ma se fossi dovuta uscire per lavorare? Boh.
Cosa si sarà inventato Padoan?
Va beh, porto il pacco in salotto ma ho appena fatto colazione e non sono certa di volermi occupare di due pizze.
Il packaging è bello: cartoni brandizzati, scatola compostabile per scaldare le verdure nel forno, sacchetti di plastica per il sottovuoto pieni di burrata, pomodoro, sfilacci di faraona. Due etichettine con la ricetta base, la stessa che si trova anche sul sito assieme alla descrizione, applicate in un angolo della scatola.
Osservo le basi precotte della pizza, che son quello che mi attrae di più: quella della faraona è molto scura, credo ci sia della segale, con delle belle bolle in evidenza, sul fondo ancora qualche residuo di farina, direi che è cotta su refrattaria. La base della margherita è più ampia, sembra meno alveolata, e ha molti buchi sul fondo, sembra cotta nel padellino.
Sono un po’ delusa, ma chissà che mi aspettavo: una pergamena celebrativa del mio ordine? Magari qualche indicazione sul cosa fare un po’ meno asciutta. Metto tutto in frigo in attesa di applicarmici la sera.
La preparazione
Alle 19 ho cominciato a scaldare il forno per preparare le pizze. Avrei voluto infornare le basi assieme, ma mi sono presto accorta che era un’utopia: la base della margherita aveva bisogno del forno a 220, quella della faraona a 230 e io, presa da un timore reverenziale verso il lavoro altrui, temevo di rovinare tutto.
Preparo quindi prima la faraona: 4 minuti della base con il grana in forno a 230, assieme alla scatola compostabile con gli spinaci. Contemporaneamente c’è da scaldare l’acqua in una pentola fino a bollore, abbassare e infilarci dentro per due minuti la busta del sottovuoto con gli sfilacci di carne. Togliere la base, tagliarla in spicchi, farcire con spinaci e faraona, giro di olio e giro di pepe. In cucina è tutto un tintinnare di timer, e io sono sull’orlo di una crisi di nervi.
Quando è pronta, devi preparare l’altra e questa si raffredda. Decidiamo quindi di assaggiarne una fetta, il resto la scalderò per mangiare assieme.
La pizza margherita è forse anche più complicata da preparare: 4 minuti in forno, poi aggiungi il pomodoro, spalma, altri 3 minuti in forno, poi taglia a spicchi, metti la burrata e l’olio al basilico, mangia.
A far tutto, leggendo ogni tre minuti le indicazioni per non sbagliare, ci abbiamo messo un’ora e ci siamo seduti a tavola con due pizze tiepide. Una cosa che noto sempre nei consigli dei panificatori professinisti è quello di sopravvalutare enormemente le potenzialità di un forno domestico. Il mio è Ikea, ma quando l’ho preso era il più caro, ha molte funzioni, eppure quando guardo una ricetta per la pizza o per il pane so che il mio forno ci metterà il doppio a cuocerli rispetto a quanto indicato. Questa volta però ho seguito le indicazioni, avrà calcolato questa possibilità, mi sono detta.
Il risultato
L’aspetto, che non mi pare dipenda dal mio lavoro, ricorda molto la pizza Flintstones di Carlo Cracco (brutta ma buona, ricordiamo).
La faraona è un’ottima pizza: la base è croccante, morbida e saporita. Complessivamente avrei aggiunto un po’ di sale o un po’ più di grana, ma il risultato è decisamente buono anche dopo il mio secondo passaggio in forno per riscaldarla un po’.
La margherita croccante invece è deludente: la burrata è insipida, il pomodoro è confit ma è troppo pastoso, l’olio al basilico non profuma, la base buona ma poco croccante, e molto meno aromatica di quella della faraona.
Io sono stanca e ho una pentola d’acqua sul fuoco e il lavello pieno di buste di plastica sporche di cibo. Se avessi ordinato anche solo una pizza in più sarebbe stato davvero complicato. È anche vero che se le ordinassi una seconda volta sarei più rapida nella gestione, ma la domanda vera è: ne avrei voglia? La risposta al momento è che non lo so.
Dirò un’ovvietà, ma sono sicura che se quelle due pizze me le avesse riscaldate in un forno Ikea uguale al mio uno stagista di Padoan, e qualcuno me le avesse servite al tavolo dei Tigli le avrei trovate molto più buone. È questo il problema del delivery, mancano i brillantini, e probabilmente i brillantini sono quello che avrei sperato di trovare in quelle due scatole di pizza.