Reinventarsi food delivery non deve essere facile, specialmente se è un’emergenza a dettare quella che oggi, per molti pizzaioli e ristoratori in genere, diventa una improvvisa necessità. Un conto è preparare la pizza per clienti che consumano in pizzeria, un conto è fare pizza a domicilio: ci sono tempistiche, ingredienti, impasti diversi da considerare.
Proprio in base a queste (differenti) esigenze abbiamo stilato una guida per il pizzaiolo, che forse sarà utile ai professionisti che si sono dati alle consegne a domicilio dopo il decreto anti-Coronavirus dell’11 marzo, quello con cui Giuseppe Conte ha chiuso ristoranti, bar, pub e pizzerie, lasciando agli imprenditori gastronomici la possibilità di dedicarsi al food delivery. Dopo esser suggerito ai lettori-clienti come godere al meglio di una pizza a domicilio, in un vademecum all’ordinazione e al “rinvenimento” della tonda, proviamo a vedere la questione nell’altra prospettiva.
Rivedere completamente il focus del locale
Vi riporto l’esempio lampo della situazione del mercato statunitense, il più florido al mondo. Inutile scomporsi: noi italiani saremo di certo i migliori a fare la pizza, ma non di certo a venderla o a costruirci sopra un business. E non mi venite a raccontare che avete aperto un’attività per la gloria e per l’amore per gli impasti, perché tutti coltiviamo un minimo di ambizione e lavoriamo per portare a casa uno stipendio sempre maggiore.
Tra i pochi in Italia che sembrano aver capito le regole del gioco ci sono Spontini, l’Antica Pizzeria da Michele e Pizzium, non a caso tra i nomi più forti sul territorio nazionale (e non solo).
E attenzione, qui l’analisi non è sulla qualità, ma sul focus: format profondamente focalizzati, standardizzati, funzionali e funzionanti, due dei tre esportati in tutto il mondo.
Per tanti altri (troppi altri) la solfa è sempre la stessa: si apre un locale, si introduce il servizio al tavolo, l’asporto e la consegna al domicilio. Poi mettiamoci pure il Kebab perché va forte, la rosticceria perché si sa mai che qualcuno insieme alla pizza voglia del pollo allo spiedo, il pane fatto nel forno a legna, le olive ascolane e la focaccia per l’aperitivo.
Arrivano le 19.30, voi avete un forno che tiene 8 pizze, la cassiera vi ha segnato 20 consegne perché le avete detto di prenderle tutte per non perdere clienti. Intanto in sala ci sono 10 persone che vogliono portarla a casa e altre 10 che si sono appena sedute per mangiare. Voi andate in ritardo di un’ora e mezza, sfornando roba bruciata o cruda e sbagliando gli ordini per la fretta.
Fantascienza? No, è la situazione classica del 99% delle pizzerie da asporto; e da buon provinciale, ve lo posso garantire.
La situazione in America?
Pizza Hut è leader nel mercato Eat-In, ovvero del servizio al tavolo.
Little Caesars è leader nel mercato Take-Out, ovvero l’asporto.
Domino’s Pizza è leader nel mercato Home Delivery, la consegna.
La vostra pizza è più buona? Può darsi, ma non siete voi a deciderlo, è il cliente.
E il cliente, se consegnate 2 ore in ritardo, sceglierà sempre prima la pizza di Domino’s alla vostra.
Anche in Italia.
Purtroppo pensare di accontentare tutti è matematicamente impossibile; nella maggior parte dei casi avete un forno solo, un aiutante e una cassiera, e ritrovarvi a dover gestire sala, asporto e consegna in una botta sola è deleterio sia per voi che per i vostri dipendenti.
Al contrario, specializzarsi di questi tempi ripaga quasi sempre.
Un esempio pratico?
Sempre rifacendomi alla mia esperienza da provinciale, vi assicuro che qui intorno la media dei tempi di attesa di consegna è di 30 minuti oltre l’orario richiesto.
Se un domani aprisse una pizzeria in grado di spaccare l’orologio garantendo i tempi comunicati nel 100% dei casi, acquisterebbe come cliente A VITA non solo il sottoscritto, ma l’intero paese.
Anche se dovesse fare solo Margherita.
Ma per garantire quei tempi è fondamentale avere la giusta organizzazione.
E perché no, potreste valutare di eliminare tutti quei prodotti offerti e che non vi stanno davvero generando margine, un dato più che indicativo che vi può aiutare a capire cosa la gente cerca da voi e cosa no, eliminando anche inutili costi.
Scegliere i contenitori adatti
Qual è il contenitore classico per la pizza d’asporto, presente nella stragrande maggioranza dei locali dedicati al settore?
Il cartone, ovvio.
Ma siete davvero sicuri che sia lo strumento più adatto allo scopo? Avete mai provato a fare un test per verificare come risponde il vostro prodotto ai minuti medi di attesa del cliente?
È facile, non ci vuole nulla: sfornate qualche pizza, mettetela in altrettanti cartoni e attendete una decina di minuti. Aprite, tagliate, mangiate, e ditemi se quello è lo stesso prodotto che avete sfornato poco prima.
Non lo è, vero?
Bene, e magari nel viaggio il formaggio si attacca pure al coperchio, la bufala cola e la pizza inizia a bollire.
Potete anche fare la tonda migliore del mondo, ma se poi il cartone ve la rovina siete punto a capo.
E magari nemmeno sono a norma, per giunta.
La maggior parte potrebbe infatti contenere cellulosa riciclata, e quindi sostanze molto pericolose per la salute come il Bisfenolo A e il DIBP, che vengono rilasciate con il calore e assorbite dalla pizza.
Se il cliente (come spesso accade) decide di mangiare direttamente dalla stessa scatola, rischia di ingerire particelle di carta, collanti e sbiancanti tossici, utilizzati anche nei cartoni di pura cellulosa.
Considerando inoltre che si sporcano e si imbevono di olio, non sono nemmeno riciclabili.
Sul mercato vi sono ormai parecchi prodotti che vi consentono non solo di mantenere la vostra creazione al meglio delle sue caratteristiche, ma che vi possono aiutare a gestire le distanze di consegna, scegliendo l’uno o l’altro in base al tempo da far percorrere al vostro pizza boy.
Costano sicuramente qualcosina in più, ma siete davvero disposti a perdere clienti per del formaggio incollato alla carta? Quello si che è un signor costo.
Ci siamo informati un po’ sulle alternative più in voga, chiedendo direttamente ad alcuni pizzaioli del settore.
Ve ne riportiamo qualcuna:
- ODF: si tratta di una scatola pizza con interno rivestito in pet metallizzato, che permette di evitare che il prodotti si incolli inesorabilmente al cartone. Costano poco e sono leggeri e resistenti, ma se non vengono aperte tutte le prese d’aria il rischio è di creare un’eccessiva dose di condensa che fa letteralmente bollire la pizza;
- KEEPizza: mantengono il prodotto caldo e asciutto in quanto poggia su una griglia forata situata a metà della stessa scatola.
Di contro sono veramente ardui da montare (circa 3 minuti l’uno, un tempo veramente troppo alto per il contesto professionale), e se non regolato a dovere rischia di aprirsi durante la consegna;
Nota non meno importante, la presenza della griglia rende impossibile mangiare direttamente nel cartone, un fattore che il cliente tende a non sottovalutare; - CIRO – The Original Pizza Box: trattengono molto bene il calore grazie al sistema brevettato per evitare la condensa. La pizza poggia su un contenitore in plastica 100% riciclabile, lavabile e riutilizzabile dal cliente, con rilievi sul fondo per avere un’idonea areazione, sopra il quale viene posto (all’ultimo strato) un coperchio di cartoncino alimentare. Sono dotati di fori laterali per far uscire il vapore, e sono per altro già pronti all’uso, vanno solo impilati.
Di contro, hanno un costo molto più alto rispetto ai modelli concorrenti, e nel caso venissero impilati più di 5 alla volta tendono a crollare l’uno sull’altro schiacciando la pizza.
Ridurre i menu, e poi ridurli ancora
Nuova settimana, nuova brochure dell’ennesima pizzeria d’asporto spuntata fuori dal nulla (e che 9 su 10 chiuderà nel giro di un mese).
Dalle 8 alle 10 pagine, piene di informazioni in ogni angolo: numeri di telefono, 18 impasti particolari, offerte per il pranzo, sparate sul forno a legna, il lievito madre o le ore di maturazione, e una lista insensata e inutile di centinaia di pizze. Dalle classiche, alle “rivisitate”, alle focacce, a quelle con le creme, alla wurstel e patatine, a quelle con i nomi inventati o dati per omaggiare un dipendente del locale.
Pizze, pizze e ancora pizze, tra le quali magari cambia anche solo un ingrediente.
Ecco, volete sapere qual è il processo mentale classico di un cliente?
Per i primi 10 secondi cerca qualcosa di diverso dal solito, poi si stufa e finisce per ordinare la solita Diavola.
Se state puntando su una categoria di farciture differenziante, beh sappiate che questo è il modo migliore per oscurarle.
Specialmente se la mettete nell’ultimo angolo del menu, sopra la gigantografia “consegna gratuita per ordini superiori ai 10 euro”.
Progettare meglio i condimenti
Ne abbiamo parlato nel precedente articolo rivolto ai clienti, ma il discorso dovrebbe partire da voi: occhio ai condimenti utilizzati nelle farciture.
Volete per forza mettere una pizza con il prosciutto crudo? Va benissimo, ma deve essere un prodotto adatto, dolce, equilibrato e che non diventi una crosta di scoglio con il calore.
Volete a tutti i costi mettere la bufala o la mamma casertana vi prende a mazzate? Fate prove su prove per individuare quella adatta e il modo migliore per metterla su una tonda che (vi ricordo) deve farsi anche 20 minuti di strada e potrebbe trasformarsi in un lago di latte.
Tenete sempre a mente che non state solo facendo una pizza da servire al tavolo, ma che quella stessa pizza deve rimanere il più possibile intatta anche se consegnata o trasportata dal cliente. In questi casi (e ogni volta che ideate una nuova farcitura) il test descritto nel paragrafo dei contenitori è sempre la cosa migliore da fare per evitare errori.
Rifiutare consegne troppo lontane
Mi perplimo e mi domando: quando voi pizzaioli accettate ordini che costringono i vostri fattorini a farsi un’ora di strada, qual è il vostro scopo? No perché se l’obiettivo è cercare di acquisire nuovi clienti, anche distanti, sappiate che perseguirlo potrebbe rivelarsi controproducente.
Se il vostro pizza boy è impegnato per un’ora, quante consegne più vicine sarete costretti a rifiutare nel mentre? Perché se non le rifiutate, sempre per non perdere clienti, gli stessi presto o tardi si rivolgeranno al puntualissimo Domino’s.
Realizzare un impasto appositamente studiato per l’asporto
Testare, sperimentare, provare e riprovare.
Questo dovrebbe essere l’unico vostro mantra; il mercato del delivery è difficilissimo, enormemente più complesso dell’Eat-In, in quanto una buona pizza potrebbe necessariamente non bastare a salvarvi la reputazione.
Ci sono tantissime variabili da considerare e di cui già abbiamo ampiamente discusso, ma non potete permettervi di trascurare un dettaglio ancor più fondamentale: l’impasto.
Siete particolarmente affezionati a una ricetta che utilizzavate nel vecchio locale e che vi ha reso celebri, e oggi avete aperto un posto tutto vostro dove fate solo home delivery?
Ecco, ma vi do una brutta notizia: lo stesso impasto nel 99% dei casi non risponderà bene al trasporto e sarà necessario ricalibrarlo.
Il miglior consiglio è quello di lavorare il più possibile per rallentare l’effetto gomma che sopraggiunge con il raffreddamento.
Il più delle volte, utilizzare preimpasti non è la scelta più adatta in quanto (specialmente la biga) rendono il risultato finale più tenace anche al morso.
Lo stesso vale per le alte idratazioni, con le quali potreste già trovare grossi problemi nel servizio al tavolo, figuriamoci con una pizza che si fa 20 minuti di strada.
Vi conviene anche rivalutare la scelta della farina, sempre in ottica di ridurre il più possibile la tenacità al morso.
In generale, come al solito, la cosa migliore è quella di effettuare test preventivi prima di mettersi all’opera.
Prestare particolarmente attenzione alla cottura
Lo dirò fino all’esaurimento: la cottura è la parte più importante di tutto il processo di panificazione.
E il caso dell’asporto non è da meno.
Cristallizzare perfettamente gli amidi e rinunciare leggermente alla morbidezza del vostro prodotto può essere la chiave per salvare una pizza dall’effetto gomma.
Specialmente nel caso della napoletana, la tipologia che più risente di questo problema a causa delle sue particolari caratteristiche, può rivelarsi opportuno allungare i tempi di cottura abbassando le temperature di gestione, per ottenere un prodotto definibile sempre come napoletana (sottile, scioglievole, ripiegabile a portafoglio) ma ben asciutto e resistente alla trappola del freddo.
Se il vostro impasto è stato realizzato a dovere e in cottura sviluppa e si apre nel modo corretto, il calore entrerà meglio e in maniera più efficace, asciugando bene la struttura, cuocendo più in fretta e rendendo non solo la pizza più friabile, ma buona più a lungo.
Ecco, magari evitate quindi di accettare 38 ordini al secondo e di servire pizze crude o bruciate per la fretta.