Ieri sera sono andato a cena da Pepe in grani, la pizzeria di Franco Pepe a Caiazzo, vicino a Caserta.
Quella di Pepe è considerata una delle migliori pizzerie della Campania e, per naturale quanto immediata conseguenza, del mondo.
Lo ammetto: non c’ero mai stato.
Così, quando arrivo la prima cosa che mi colpisce è questa: è una pizzeria enorme. Enorme. Almeno per gli standard settentrionali.
Poi chiedo a Pepe: fa 140 coperti e il loro record è stato servire circa mille pizze in quattro ore e mezzo.
Ma come fate? Gli chiedo.
Mi porta in cucina. E davanti ai due forni ci sono orde di pizzaioli ognuno specializzato in un passaggio.
Poi c’è il fatto che la pizza cuoce in un minuto (più o meno, a seconda della pizza).
Ciononostante qui tutto è fast e slow al contempo: l’impasto è lavorato esclusivamente a mano, da cinque persone che fanno solo quello.
Quindi mi siedo con gli amici e assaggio sei pizze squisite, con prezzi da posto normalissimo (la margherita a 5 euro, la pizza più cara in assoluto a 10).
E mi dico: maporcadiquellamaremmamaiala, ma allora ci hanno sempre mentito! Ci hanno sempre detto che qualità e quantità sono in conflitto, che le cose buone sono per pochi e quelle fatte in serie sono scadenti… E invece non era vero!
Era una scusa per rifilare ai tanti la rumenta e far pagare ai pochi un carissimo prezzo per le loro leccornie.
L’insegnamento che traggo dunque è: fare le cose bene e buone per tante persone è difficile, ma non impossibile. Pepe ce la fa.
Lo dimostra questa coda infinita che ancora aspetta di mangiare la “Margherita sbagliata” alle undici di sera.
Un solo dubbio mi attanaglia: e se mi rimettessi in fila?