Scrivere una recensione della pizzeria di Patrick Ricci a Torino, più precisamente a San Mauro Torinese, mi dovrebbe essere del tutto precluso. Sono portatore di un clamoroso conflitto di interessi, perché io con Patrick – più precisamente alle sue dipendenze – ci ho lavorato, quando il suo locale ancora si chiamava Pomodoro e basilico, ma era già noto e blasonato.
Sarei quindi facile bersaglio di critiche bipartisan: è ancora amico tuo, quindi ne tessi le lodi apposta, è una marchetta; o viceversa: vi siete lasciati male, quindi sei accecato dall’odio, è una vendetta. Ora voi vi aspettereste che io respinga sdegnosamente entrambe le illazioni; al contrario le accolgo tutt’e due: vero è che siamo rimasti in contatto, ci scriviamo spesso anche se vediamo mai; vero pure è che l’interruzione del rapporto lavorativo fu repentina e burrascosa, ché il personaggio è nel privato proprio come appare in pubblico, intelligente e anche caloroso ma dal carattere non semplice. Proprio per questo, ed essendo ormai passati sei anni (che con di mezzo una pandemia, e due cambi di lavoro per me, di menu e locale per lui, valgono triplo), mi sento invece equanime a sufficienza per poterne parlare.
La pizzeria di Patrick Ricci – Terra grani esplorazioni, questo il sottotitolo – appartiene senza dubbio alla categoria delle pizze gourmet, o a degustazione come si usa dire meno pomposamente adesso. Ricci è uno sperimentatore della prima ora, uno che senza conoscere e senza essere conosciuto iniziò a fare follie tipo il gelato al basilico sulla pizza più di dieci anni fa. Rispetto ad altri colleghi – i vari Padoan, Bosco, Bonci, Massimiliano Prete di Sesto Gusto – dal curriculum più classico e inquadrato, dalla tecnica più raffinata e solida, Ricci è un irregolare. Per indole, oltre che come percorso di vita, nella sua prima parte del tutto slegato dal mondo gastronomico. Un istintivo, un talento grezzo se pur instradato da anni di ricerca e studio, ma sempre da autodidatta. Un po’ come quei musicisti tutto intuito che senza conoscere i vincoli della teoria armonica e delle tecniche compositive, tirano fuori delle melodie strabilianti. O come quei calciatori capaci di soluzioni spettacolari ma che poi sbagliano un rigore a porta vuota.
Pizzeria di Patrick Ricci, le regole
Inoltre Patrick Ricci si è ritagliato addosso, in un mondo food tutto fatto di allisciamenti e favori reciproci, questo personaggio burbero e un po’ orso, che non va agli eventi che non cerca a tutti i costi di piacere e compiacere. Anche i clienti: la sua pizzeria è da sempre famosa per alcune regole la cui applicazione è rigida, intransigente, anche se non priva di una certa logica ed efficacia. Innanzitutto non si fanno tavolate: massimo sei persone (otto quando era ancora Pomodoro e basilico). Non c’è possibilità di asporto da decenni ormai, per preservare il senso anche estetico delle pizze. Non si accettano modifiche: questa è la più discussa e famigerata, ma ha un suo senso se ci pensate. Novità dell’ultimo restyling è invece l’assenza di posate: le pizze arrivano tagliate a spicchi, sarà pure gourmet ma si mangia con le mani.
Il servizio è professionale ma familiare: solo quattro persone tra pizzeria e sala, governata con sapienza da Patricia Rea, moglie e socia in affari di Patrick. Appena 32 i coperti dopo il recente rimodernamento, e si apprezza che – altra differenza con la maggior parte delle pizzerie gourmet – i clienti non sono obbligati a prenotare a orari prestabiliti, non c’è il doppio turno insomma. La degustazione una pizza alla volta è caldamente consigliata ma ovviamente non obbligata.
Ambiente moderno, con sopravvivenze e stratificazioni di anni e stili un po’ passé. Compresenze che si notano anche nella parte di cucina/laboratorio, dove convivono fianco a fianco un modernissimo roner e il forno a legna, i topping porzionati al grammo e abbattuti in sacchetti con l’artigianato degli impasti e della stesura.
Le pizze di Patrick Ricci
Solo pizze, o quasi, nel menu di Patrick Ricci. Un amuse bouche di benvenuto strizza l’occhio all’alta ristorazione, per poi tornare a terra nella sostanza: una ciliegina di mozzarella condita con sale e olio (sacrilegio!), un mini bun con un micro burger (festa delle medie?), un quadratino di pizzetta, che ricostruisce alla perfezione il sapore di quella che si mangiava dal panettiere negli anni 80 (buona solo nel ricordo).
Le pizze, dicevamo, sono divise in due macro categorie: L’ingrediente (7) e Esplorazioni (10). Nel primo insieme gli “assoluti di”: Pane e cipolla, Pane e patate, Capocollo, porri… Spiccano l’estrema semplicità della Pane e pomodoro, in una verticale di tre consistenze e tipologie (Crema di pomodoro arrostito, chutney di pomodoro e dadolata di pomodoro fresco costoluto) e soprattutto la Mareluna (Alga wakame condita con colatura di alici, olio e gocce di tabasco, bottarga di muggine, paprika dolce, alici e gel di limone) un concentrato di umami marino da urlo.
Nelle pizze più elaborate si alternano storici cavalli di battaglia dell’era Pomodoro e basilico, con recenti spericolatezze. Tra le prime la Sockeye con salmone selvaggio, la Paccatelle (ultima sopravvivenza di qualcosa che ricorda la margherita), la Gorgo e nero, la Capitanata. Quest’ultima (Salsa di pomodoro giallo con crema di burrata, cipolla bianca, timo, olio evo e crema di peperoncino) è sempre eccellente ma patisce un po’ la riduzione della burrata in una cremina liquida e messa col biberon.
Tra le più nuove si fa notare C’era una volta in America con pulled pork, e Bresaola veg con barbabietola, tutta vegetale. Accostamento azzardato ma esecuzione delicatissima per la PescheSpada (oltre ai due ingredienti che s’intuiscono, ci sono anche mango e tzatziki). Altrettanto insolita l’accoppiata Capra&Agnello (Agnello stufato con mandorle tostate, aromi naturali (rosmarino, salvia e alloro), fondo bruno di agnello, crema di prugne cotte, curcuma, curry e panna acida con latte di capra), ma una bomba di sapore indescrivibile: se esiste una versione gourmet del kebab, eccola qua.
I prezzi sono mediamente alti, dai 14 euro il primo prezzo ai 33 del King Crab.
Nota un po’ dolente l’impasto, frutto di ricerche sul territorio per quanto riguarda i produttori, e di costanti prove in laboratorio per quanto riguarda le miscele: varie farine, non solo di frumento, in proporzioni variabili. E quindi? Non sempre la lievitazione è perfetta, e la cottura ne risente; inoltre a volte i dischi vengono affettati forse troppo presto, e permane un filo di pasta cruda al centro.
Bella (e migliorata negli anni) la carta delle birre, che spazia dall’artigianale fatta per la casa a ottimi birrifici selezionati, cui però si addiziona davvero troppo ricarico. Cantina un po’ breve per una pizzeria di tale calibro, dalla quale ci si aspetterebbe la selezione ampia che si pretende da un ristorante, ma la proposta è inappuntabile.
I dolci di Patrick Ricci
Il predessert è un altro richiamo al fine dining, ma di nuovo la realizzazione (bombette ripiene di marmellata) è una reminescenza anni 90 di cui nessuno sentiva il bisogno.
Nei dolci, tra una classica ma non molto frequente Île flottante e una rivisitazione della cheesecake al cucchiaio, ecco spunta la dessertificazione della pizza. Ma dimenticate la pizza con la Nutella, qui siamo davanti a una fetta che viene resa succulenta da una bagna e ricoperta di cioccolato fondente: il risultato è qualcosa tra una sacher e una caprese, che si fa apprezzare anche alla fine di un pasto impegnativo.
Opinione
Impasto una scommessa, condimenti semplicemente meravigliosi, qualche scivolata passatista. Non la pizzeria perfetta, ma una pizzeria unica al mondo.
PRO
- La presenza di Patrick Ricci
CONTRO
- La presenza di Patrick Ricci