Se siete stati in vacanza ad Amsterdam non potete non aver provato la rosticceria (possiamo definirla così?) di Febo, pionieristica catena che si prese la briga di sostituire i soliti snack con piatti più complessi ma pronti al consumo immediato: facile conservarne un buon ricordo. Difficile, invece, replicare con successo quel “modello di alimentazione”, qui da noi, specialmente se si punta sulla pizza. Ci sta provando Mr.Go, come già sapete voi lettori di Dissapore: franchising romano che proprio nella Capitale ha ha installato il primo distributore automatico di pizze non surgelate ma cotte al momento grazie ad un sistema meccanizzato.
Il marchingegno si trova a pochi metri della centrale e frequentata piazza Bologna e promette la “Distribuzione automatica di pizza cotta al momento con ingredienti freschi e attentamente selezionati”. Sarà.
Al netto delle buone intenzioni dichiarate, l’idea non è stata accolta benissimo, almeno a giudicare dai commenti dei molti cittadini che si trovano ad imbattersi in queste avveniristiche macchinette automatiche: “Questa cosa non si può vedere” o anche, “pensano davvero possa funzionare in Italia”, per arrivare ad epiteti meno oxfordiani o al “non è possibile” ripetuto allo sfinimento dal collega francese (se lo dice lui..) che mi ha accompagnato in piazza Bologna, dopo aver assaggiato la Margherita.
Come funziona Mr.Go
Installata in un antro di poco più di due metri quadri, la macchinetta si presenta oggettivamente bene: colori sgargianti, istruzioni chiare e precise e degli sportelli a vetro che consentono di seguire passo passo la “preparazione” delle quattro tipologie di pizza proposte.
Innanzitutto la Margherita, dal costo di 4,50 euro, la 4 formaggi, 6 euro, la pizza con il salame piccante o diavola (5 euro) e quella con la pancetta (5 euro), tentativo di strizzare l’occhio alla tradizione romana. Scelta una di queste prelibatezze, non resta altro che pagare (anche con carta di credito) ed attendere, dai 3 ai 4 minuti, che nasca “la magia”.
L’impasto avviene nella prima sezione della macchina dove la farina di grano tenero 0 e l’acqua vengono miscelati per creare un panetto su cui, una volta pressato, viene disposto il pomodoro ed in seguito gli ingredienti. Il tutto passa poi alla cottura (di cui ci occuperemo in seguito).
La Prova d’assaggio
Partiamo da un presupposto dolente: tutte le proposte sono realizzate con lievito disattivato che, oggettivamente, le rende più simili ad una piadina che ad una pizza degna di questo nome. Non aiuta poi la scelta delle materie prime. Il pomodoro, decisamente acido, non rende omaggio alla nostra tradizione in materia, mentre per i formaggi non è ben chiara la provenienza se non un generico “latte vaccino da Paesi dell’Ue”. Su questo ci tranquillizza il sito della società che riporta i nomi dei fornitori, tutti italiani e identificabili. Per garbo non parleremo invece dell’olio di semi di girasole in polvere. Altro neo non da poco è il forno per la cottura.
Capiamo bene che installare un sistema a legna sarebbe stato impossibile, e meno male, ma oggettivamente vedere una pizza, quale che sia, cotta in un “fornelletto” elettrico fa male al cuore e lascia non pochi dubbi. Confermati dall’assaggio.
Tralasciata la Margherita, perché vogliamo metterli alla prova, abbiamo deciso di assaggiare la pizza con il salame piccante. Ritirata la nostra prelibatezza, già posizionata su un cartone (ma aperto e senza neanche l’ombra di posate, opzionali), la cosa che immediatamente salta all’occhio sono le 7 fettine di salame: unte, “bruciacchiate” e dal gusto indefinito che ricorda vagamente un chorizo spagnolo, ma di scarsa qualità.
Giudizio simile per la mozzarella, mai filante, acquosa, e sopratutto insapore. Il meglio però è stato raggiunto con la 4 formaggi. Il condimento, se così possiamo dire, sembra essere stato sparato sull’impasto con un fucile a pompa e l’unico a prevalere, fra mozzarella, provola affumicata ed Edelpilz, è l’intenso sapore dell’Emmental.E neanche di ottima qualità. Senza giri di parole: entrambe le pizze sono state consumante interamente, ma solo per il sacro principio del non buttare il cibo. Che dire dunque di questa nuova proposta culinaria? Non ci siamo. Certo, la scelta del quartiere ha un senso visto che a pochi metri sorgono il Policlinico, l’Università La Sapienza e appunto piazza Bologna, luogo di ritrovo, giorno e notte, per decine di ragazzi.
Ma anche i ragazzi non sono fessi. Ripetere ossessivamente che i prodotti non sono surgelati ma cotti al momento non li rende di per sé di qualità o appetibili. Inoltre, questo voler esasperare il concetto di “espresso di qualità”, di consumo frenetico dei pasti, è difficile possa prendere piede in un Paese come il nostro, fatto di pause, attese e contemplazione. Specie in campo culinario.
Febo, ad Amsterdam, lo apprezzai di più.