Da pizzofilo uno dei posti che più ho desiderato da lontano è I Masanielli di Francesco Martucci a Caserta, che ho a lungo vissuto soltanto attraverso gli occhi e le foto porno dei contatti social più sgamati.
Pizzeria di reputazione mitologica, migliore d’Italia (a pari merito con Franco Pepe) secondo la 50 Top Pizza, questo luogo iconico di fronte alla Reggia di Caserta e proprio accanto a Le Colonne di Rosanna Marziale si è guadagnato negli anni la fama di tempio definitivo del ruoto lievitato; affermandosi come interprete più autorevole e sperimentale della scuola della nouvelle vague campana, quella casertana gourmet attenta a impasti e topping tristemente conosciuta, ai più, come “pizza a canotto”.
A lungo ho atteso, sorbendomi i peana degli amici pizzisti (“mostro sacro!”, “genio!”) e desiderando, finché l’8 Agosto del 2020 è arrivata la mia volta. Ecco dunque cosa succede e cosa si mangia ai Masanielli, in questa recensione.
Il locale
È un po’ nascosto, in un’area commerciale di fronte alla Reggia (ossia in periferia) ove sarebbe legittimo immaginarsi una Standa, una Upim, o un negozio di attrezzature per piscine – invece c’è la pizzeria. All’ingresso, un’addetta all’accoglienza smista con professionalità le prenotazioni e iscrive gli avventori che ne sono sprovvisti alla lista d’attesa. Discreti ma presenti i DPI, sanificanti, mascherine per gli ospiti, poi la rampa d’accesso. La sala si presenta in uno stile industriale caldo, ben illuminato, parquet ai pavimenti e mattoni chiari alle pareti, spezzate allo sguardo da pilastri coperti di zinco brunito. È pieno di clienti come ci si aspetterebbe ma le distanze tra i tavoli sono gestite correttamente; le postazioni separate da barriere in plexiglas impostate con intelligenza, fino al punto da sparire all’occhio, integrandosi con l’arredamento. Nonostante il pienone, l’acustica è accettabile e il brusio contenuto a livelli da soglia di tolleranza.
Il servizio è palesemente abituato a gestire grossi numeri con celerità: si tratta di una macchina da guerra, che ogni tanto però s’inceppa per questioni di cattiva comunicazione tra i membri dello staff. A parte queste disattenzioni, il servizio è professionale ed efficiente, sebbene non particolarmente caloroso. In fondo alla sala, una griglia a vetri separa la zona destinata al consumo dal naós ove Martucci e la sua squadra officiano (sotto gli occhi dei fedeli, ma distinti) il rito dell’ammaccatura, farcitura e cottura delle pizze.
Il menu e i prezzi
Il menu è semplice e diretto: un’essenziale sezione “starter”, con i fritti della tradizione campana (da 1,5 a 3,5 euro), poi le pizze.
Troverete scorrendo gli ingredienti un profluvio di chioccioline rosse, a indicare che il prodotto impiegato è un presidio Slow Food.
L’elenco delle proposte comincia con le cinque “pizze a tre temperature” (cotte prima a vapore, a 100º, poi fritte a 180º, infine tostate a bocca di forno a 400ºC – tutte in carta a 10 euro), poi segue con le “classiche al forno”, da 5 a 11 euro.
Fronte beverage, buona selezione di birre artigianali in bottiglia con un occhio di riguardo alle produzioni campane, un’opzione craft alla spina prodotta per il locale da Karma (3,5 euro per la 0,2L, 6 euro la 0,4), poi Menabrea bionda/rossa/strong (agli stessi prezzi dell’artigianale, eccetto la bionda “media” a 5 euro). Piccola carta dei vini con selezione di aziende del territorio e francesi a ricarichi onesti.
I piatti
I fritti prima di tutto.
L’arancino (1,5 euro) è una bombetta concentrata: il riso, cotto al chiodo eppur bene impaccato, resiste al dente sotto la coperta di una panatura scoppiettante; rilasciando un ripieno lussurioso che è scrigno di scamorza affumicata e cicoli.
Ottima anche la crocchetta (1,5 euro), formata da un puré di patate che pare quello di Bocuse: anche qui il guscio croccante e asciutto fa il paio, come la maglietta preferita e le scarpe giuste, con un cuore filante che riporta dritti all’infanzia.
Un gradino sotto la frittatina di pasta (2 euro), dal guscio di pastella troppo compatto e lontano dalla friabilità sottile che ci si aspetterebbe. All’interno, comunque, un buon equilibrio tra besciamella e provola ammanta i maccheroni Dei Campi cotti al punto; nonostante gli ingredienti “di lusso” specificati in carta (Parmigiano di bianca modenese, prosciutto di nero casertano…) non incidano fino a fare la differenza.
In generale ai fritti manca un guizzo creativo che li differenzi a livello gustativo, con lo spettro che finisce per appiattirsi sull’asse provola/mozzarella/salume.
Ma si tratta comunque solo di un’ouverture: il duello desiderato e temuto, quello del confronto con la mitologica pizza di Martucci, capace di sovvertire prospettive e spalancare orizzonti, deve ancora cominciare. E sono teso, emozionato: cosa posso aspettarmi? Cosa devo aspettarmi? Quanto è lecito che io mi aspetti?
Non ho tempo di interrogarmi oltre, la pizza arriva. Optiamo per una Sud (con crema di porro, fior di latte, pomodoro ciliegino semi-dry, olive caiazzane infornate, filetti di tonno sott’olio, polvere di cipolla bruciata; 9,5 euro), una Futuro di Marinara in tre cotture (crema di pomodoro arrosto, pesto di aglio orsino, capperi di Salina, olive, alici di Trapani e origano; 10 euro) e un’imprescindibile Mani di velluto (cavallo di battaglia del mostro sacro; rivisitazione della classica “salsiccia e friarielli” con suino grigio ardesia, bufala e crema di friarielli in acqua di ricotta di bufala – 9,5 euro).
L’impasto delle “infornate” classiche è soffice, elastico, a idratazione altissima. Nel giorno della visita, rispetto a un precedente assaggio “fuori sede” (sì, fin qui ho barato, non ve l’avevo detto: avevo provato la pizza di Martucci a Roma, durante un evento da Sbanco) l’impressione è che sia un filo meno etereo di quanto lo ricordassi. Il cornicione è alto il giusto, l’area farcita molto ampia, rispetto ad altri “canotti” (im)propriamente detti; impeccabile la cottura.
Geniale, e impossibile da definire altrimenti, la versione dell’impasto in tre cotture usata per la Futuro di Marinara: il vertice più alto in cui la mente artigiana, quella scientifica, quella artistica e una tonnellata di attributi possano incontrarsi in una pizza; che sia al contempo vaporosa, spugnosa, crispy, masticabile, scioglievole e ricca di rimandi empireumatici da forno napoletano.
La pizza in tre cotture di Francesco Martucci è uno dei pochi esempi di sperimentazione propriamente detta condotta in questo settore: esperimento riuscito.
Fronte topping, la Mani di velluto sfoggia una consistenza della crema di friarielli setosa e liscia, il verdume amarostico che fa l’amore con il siero di bufala sgusciante sul retropalato, la granulosità citrigna e grassa dei chicchi di salsiccia che detta il tempo alla masticazione; ed interrompe il dolcesapido generale con soffi rinfrescanti di semi di finocchio.
Decisi i gusti della Futuro di Marinara, le cui componenti si integrano a ricomporre il classico ma, per l’appunto, nel futuro; l’aglio orsino protagonista assoluto sulle cremosità profonde, torrefatte del pomodoro.
La Sud lascia invece un po’ perplessi, la crema di porro ha una dolcezza pantone che tende all’obnubilante appannando un po’ il tonno, le olive, i pomodori. L’insieme perde la nettezza brillante degli elementi individuali; che invece trionfa, a livello cromatico, all’occhio.
L’opinione
In generale le pizze de I Masanielli sfoggiano, per i miei gusti, un’opulenza nei condimenti eccessiva; sia a livello quantitativo (le farciture sono distribuite con manica decisamente larga, e alla lunga appesantiscono la godibilità) che nelle concentrazioni dei singoli elementi; talvolta troppo squillanti e accesi a scapito dell’armonia complessiva. La sensazione è quella di un fantallenatore che abbia voluto creare una squadra di calcio con undici Maradona, dimenticando che il mediano sacrificato, il secondo portiere, l’incontrista abbiano ognuno una funzione irrinunciabile; che il più brillante dei fantasisti non saprebbe rivestire.
Questa “sindrome da Seleçao”, questo esplicitare qualsiasi sapore in maniera sfacciata senza lasciare sottintesi, questa nudità integrale che rinuncia ai veli della lingerie, a mio avviso, mancano di quell’eleganza e della visione gastronomica totale che gli impasti di Martucci meriterebbero; e costringono quella che in potenza potrebbe essere molto più di una pizza a rimanere solo una grandissima pizza.
È vero, l’industria alimentare, la società dell’immagine hanno desensibilizzato ormai quasi del tutto le menti e i palati ai piaceri sfumati dell’equilibrio e della tenuità, e necessitiamo sempre più di essere indirizzati verso tinte piatte e forti; portati per mano ove l’effetto wow è assicurato e operare distinguo è tanto più facile quanto più netti sono i contrasti (si pensi a quanto tirano lo spunto acetico troncante di alcuni vini, il sapore di parquet impiallacciato di altri, o alle pastry stout piene di aromi artificiali di nutella e vaniglia tanto gradite a certi geek della birra)…
Ma è troppo ingenuo, nel 2020, pensare che forse il ruolo dell’alta gastronomia e dei suoi attori più illustri – i mostri sacri, i geni – dovrebbe essere esattamente quello di non assecondare questo baccano; educando ad amare una sana composizione orchestrale (allegro, arrangiamenti, triangolo, crescendo, fortissimo, piatti) più di un insieme di assoli sparati a massimo volume?
Informazioni
I Masanielli di Francesco Martucci
Indirizzo: Viale Giulio Douhet 11
Sito web: www.pizzeriaimasanielli.it
Orari di apertura: Martedì-Sabato 12-15 e 19-00.30, Domenica 19-00.30
Tipo di cucina: Pizza casertana contemporanea
Ambiente: Confortevole e moderno
Servizio: Efficiente, non eccessivamente cordiale