Pizzocentrici dello Stivale tutto: troviamo un punto d’accordo, orsù. Sappiamo che i pizzaioli, ieri umili comparse, sono oggi uomini scherzosi ed eleganti, star con ciuffi e tatuaggi, frangette e maniche arrotolate.
Con quel che ne consegue, vi sento bofonchiare, e cioè che insieme agli impasti sono ben lievitati anche i prezzi.
Ecco il punto: che siate monogamicamente legati alla pizza napoletana o aperti alla più nordica “gourmet”, qual è il prezzo giusto di una pizza Margherita?
Attenzione, per una volta non parliamo dell’esborso sempre più oneroso richiesto alle nostre già martoriate carte di credito, ma del costo effettivo di una pizza Margherita, quello sostenuto dai pizzaioli considerati tutti i fattori produttivi, a partire dalle materie prime all’ultima bolletta della luce.
Così da poter calcolare, di conseguenza, il guadagno netto delle pizzerie per ogni singola Margherita sfornata.
Bene, per svelare questo arcano, Antonio Puzzi di Slow Food ha condotto una particolare inchiesta, confrontando i valori medi di tre pizzerie, due al Nord e una al Sud.
Obiettivo dichiarato: capire esattamente quali fossero i costi della Margherita venduta a 5 euro da Ciro Oliva e a 7 euro da Patrick Ricci e Corrado Scaglione, e preparata secondo la ricetta fornita da Attilio Bachetti, nipote del pizzaiolo napoletano che nel 1938 fondò la sua pizzeria- friggitoria, ancora oggi in attività, nel quartiere di Spaccanapoli.
I costi della pizza Margherita: gli ingredienti
Da Concettina ai 3 Santi, rione Sanità in quel di Napoli, la pizza di Ciro Oliva, 25 anni, costa in totale per le sole materie prime 2,22 euro, di cui 22 centesimi per il panetto di pasta da 250 grammi e 1,06 euro di ingredienti per la farcitura, suddivisi questi ultimi tra 1,06 euro per 90 grammi di mozzarella fiordilatte, 49 centesimi per 70 grammi di pomodoro San Marzano e 45 centesimi tra pecorino bagnolese grattugiato, olio e basilico.
Differenza con il prezzo vendita 2,78 euro.
La Margherita di Corrado Scaglione, 51 anni, cuoco con tanto di stage alla prestigiosa Enoteca Pinchiorri di Firenze, riconvertito pizzaiolo in quella che è era l’osteria di famiglia, oggi Enosteria Lipen a Canonica Lambro, nella dolce Brianza, viene a costare invece un totale di 1,46 euro, e Scaglione la serve sostituendo il pecorino bagnolese con un più consono, per territorio, Grana padano.
Differenza con il prezzo vendita 5,54 euro.
Infine, la Margherita di Patrick Ricci, 49 anni, proprietario della pizzeria Pomodoro & Basilico di San Mauro Torinese, alle porte di Torino, fa registrare un costo per materie prime di 2,06 euro, su cui incide il maggior costo per il panetto, di 39 centesimi, dovuto principalmente all’impiego di soli grani “antichi”, da Ricci correttamente definiti “convenzionali” –tanto di moda oggi ma di cui sappiamo meno di quel che crediamo, come a suo tempo evidenziato da Dissapore. Minore è invece il costo degli ingredienti per la farcitura perché non comprendono il formaggio grattugiato, poco amato da Ricci nella Margherita classica.
Differenza con il prezzo vendita 4,94 euro.
Quanto incidono i costi d’esercizio
Ovviamente, questi sono solamente i costi relativi alle materie prime.
Ma sulla pizza Margherita non gravano solo questi costi: spese per il personale, eventuale affitto dei locali, energia elettrica, acqua e ovviamente la legna per il forno, insieme a molte altre voci di costo, sono tutti fattori dei quali deve tenere conto una pizzeria nel fissare il prezzo delle pizze.
Sono costi diversi per ogni pizzeria, che variano in funzione di diversi parametri quali l’ampiezza dei locali, il fatto che il locale sia o non sia di proprietà, la quantità di personale impiegata, che spesso si attesta sulle dieci persone tra personale di servizio, pizzaioli e aiutanti, e di molti altri fattori.
Facendo comunque una media, nei tre locali presi in considerazione, i costi totali influiscono per circa il 45% del prezzo finale.
Ma soprattutto, per quel che maggiormente ci preme, l’incidenza dei costi può variare anche in relazione alla qualità delle materie prime impiegate.
Utilizzare ingredienti non di prim’ordine può portare, a detta dei tre pizzaioli intervistati, a un risparmio medio tra i 40 centesimi e 1 euro a pizza.
Un risparmio che però, alla fine dei conti, non si rivela quasi mai proficuo: fortunatamente, le persone che sanno riconoscere una buona pizza prodotta con ingredienti sopraffini non sono poche, e saranno proprio loro a premiare oppure a decretare l’inesorabile insuccesso di una pizzeria, esortando gli amici a non recarsi in quel locale “dove la pizza non è buona”.
[Credit | Link: Slow Food, Dissapore]